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Doctor Sleep non dispiace, ma le sequenze rifatte dal capolavoro di Kubrick non si possono guardà

Molti anni dopo gli eventi accaduti in Shining, Dan Torrance  è adulto, ha problemi di alcolismo e sta cercando di rifarsi una vita. A breve tornerà in contatto con il cuoco sensitivo che lo aveva salvato dalla furia paterna.

In breve. Horror poco comprensibile nel suo impianto, con qualche spunto in positivo. Paradossalmente (forse neanche troppo) senza conoscere il film di cui è sequel e senza quelle scene (rifatte sui fotogrammi originali di Kubrick) avrebbe funzionato meglio.

Doctor Sleep viene concepito ufficialmente a fine anni novanta, quando un fan (precisamente nel 1998) chiese a Stephen King che fine avesse fatto Danny, nella sua narrazione, subito dopo gli spaventosi eventi accaduti in Shining. Questo finì per dare una prima spinta all’autore a dare un seguito al romanzo Shining del 1977, che vide la luce solo nel 2013 come Doctor Sleep. Per quello che ne sappiamo, il regista Flanagan – che ha un rapporto ben focalizzato con la narrazione kinghiana (Il gioco di Gerald è, a suo modo, superiore alla media) – dovette convincere l’autore a filmare questo sequel, che viene tratto direttamente dal romanzo ma che, per scelta registica, possiede espliciti richiami al cult di Kubrick. Un film, quest’ultimo, che King non ha mai amato, e che non nasce certo sotto una buona stella, almeno filologicamente parlando. La versione kinghiana del film, del resto, non rientra certo tra i film memorabili del genere, e sarebbe stato impensabile (a mio modo di vedere) trarre un sequel da lì.

Si tratta del secondo sequel mai realizzato per un film di Kubrick (il primo è stato 2010 – L’anno del contatto, sèguito di 2001 Odissea nello spazio), e anche solo per questo si prefigura come un unicum nel suo genere. Per chi conosce quel cinema – che è, per sua natura, poco avvezzo ai seguiti, autoriale e tendenzialmente auto-conclusivo – l’operazione si presenta come un vero e proprio azzardo. Lo spettatore, di suo, lo guarda in due circostanze: perché spera in un’operazione modello Alvarez per La casa, o perché di Kubrick non conosce nulla, neanche le parodie-capolavoro dei Simpson (“Colpito nella schiena mi hai, dolore atroce mi fa“) nè i molteplici meme su Jack Nicholson che sfonda la porta a colpi di ascia.

Doctor Sleep è un sequel ambizioso e gliene va dato atto, tanto che contiene varie sequenze che servono a ricollegarsi alla storia da cui è tratto: questo è un passaggio fondamentale, ovviamente, anche se rivela progressivamente una certa vulnerabilità. Inizia come un classico horror-thriller in cui vediamo un protagonista dal passato traumatico, e poi introduce vari elementi nella storia in modo lineare – troppo lineare: l’atmosfera originale di Shining, lugubre, sinistra e quasi esoterica, va a farsi friggere, in favore della componente puramente fantasy e favolistica che, non a caso, Kubrick aveva estirpato.

Il film tratta degli avvenimenti avvenuti con il piccolo Danny da adulto, alla ricerca di una nuova vita dopo la morte della madre, trasferitosi in un’altra città e alla ricerca di lavoro come inserviente ospedaliero. Il nome Doctor Sleep, del resto, evoca la sua capacità di fare uso della “luccicanza” per assistere i malati terminali e dare loro l’ultimo addio (escamotage narrativo modello Il miglio verde). In questa narrazione si innestano i personaggi chiave, che sono un gruppo di gitani dai poteri paranormali che si nutrono, un po’ come dei cari vecchi vampiri, delle esalazioni vitali emesse da altre persone (in particolare bambini) che hanno anch’essi la dote della luccicanza (spesso senza saperne nulla).

Una skill che permette loro di comunicare a distanza, usare la telepatia, levitare nel vuoto – la sequenza in cui Rose lo fa, per inciso, è artigianale quanto spiazzante in senso negativo – inalare gli ultimi sospiri vitali delle vittime e così via. Altra novità sostanziale che scopriamo, poi, è che questi esseri hanno ambizione di immortalità, ambizione che si rivelerà – per alcuni di loro – del tutto fallace. In questo l’operazione kinghiana è filologicamente perfetta, in quando aderisce alla figura del vampiro di film quali Vampires o Miriam si sveglia a mezzanotte.

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È chiaro che, in questa veste, Doctor Sleep sarebbe un horror pure accattivante (per quanto, ad un occhio un pochino più cinico, già visto), ma il problema sorge soprattutto nell’innesto con la storia originale: vengono infatti proposti, fin da subito, vari flashback in cui il protagonista ricorda la follia del padre, gli scenari dell’Overlook Hotel ed i momenti più drammatici accorsi in quella narrazione. Flanagan gira quelle scene con piglio preciso e scrupoloso, ma commette un’ingenuità di fondo: si limita infatti (nell’era del digitale e dei deepfake che più realistici non si può) a ricorrere ad attori somiglianti a quelli originali. Questa operazione, di per sè lecita, risulta clamorosamente fuori bersaglio, generando un film che da un lato è accattivante e ben focalizzato sull’orrore (alcune sequenze sono considerevoli, e molto fedeli agli stilemi classici di King), ma dall’altro si prodiga disperatamente a spiegare fin troppo dell’originale. Senza questa incomprensibile ossessione (e a parità del resto), il film sarebbe a mio avviso risultato più autonomo e disinvolto.

Questo è il punto di debolezza a mio avviso più considerevole: il problema di Doctor Sleep è che tende ad essere verboso (dura più di due ore) e, al tempo stesso, troppo didascalico: un mix letale per un horror moderno che, di solito, spinge quasi sempre sulla sintesi e sulla velocità. Per convincersene basta considerare la scena in cui, ad esempio, Danny ritrova l’iconica scritta Redrum, che poi viene inquadrata in uno specchio a evidenziarne la reale natura (murdeR, cioè omicidio). Un effetto sorpresa un po’ fiacco, una novità che, semplicemente, non è tale, e di cui si potrebbe sopravvalutare la portata (anche la scelta di includere nel trailer Danny adulto dentro l’Overlook Hotel, bruciando i primi tre quarti di storia fin dall’inizio, è abbastanza discutibile).

Varie sequenze ricalcano fedelmente quelle dello Shining kubrickiano (non è questo il problema), a cui il regista si è ispirato perchè, a suo dire e giustamente, più familiare per il pubblico. Danny che gira in triciclo nei corridoi dell’hotel, la vista aerea sulle montagne, la colonna sonora originale, un po’ di ricostruzione in digitale (ad esempio per la neve) ed ecco Doctor Sleep. Il problema pertanto non è la fedele ricostruzione in sè di quelle scene, quanto l’idea di realizzare una sorta di reset ed invitare, in qualche modo, gli spettatori a non ricordare “troppo” il capolavoro di Kubrick. Un film, Doctor Sleep, in cui peraltro troneggiano vari jumpscare in modo asettico e impersonale, dando l’impressione di trovarsi sul set del film e con l’impressione (o la speranza) che Kubrick possa sbucare da una macchina del tempo, scuotendo la testa e chiedendo perché.

L’impressione, in sostanza, è che il film si rivolga a chi conosca il libro ma non il film con Jack Nicholson, e l’effetto spiazzante che il film produce – di fatto – è far sembrare lo Shining di Kubrick (uno degli horror più raffinati, iconici e autoriali mai visti su uno schermo), un b-movie della Hammer. Del resto lo scontro finale tra buoni e cattivi possiede dinamiche assurdamente da cinecomics de noantri, ma soprattutto la ricomparsa degli ospiti dell’Overlook Hotel in veste di simil-zombi (sic) produce esattamente quel risultato.

In questo senso Doctor Sleep, col suo horror di stampo puramente mainstream e USA (in cui pero’ tutti personaggi sono azzeccatissimi: Rose Cilindro, ad esempio, è un personaggio affascinante quanto archetipico per l’autore del Maine, così come la giovane Abra Stone), racconta sì una storia accattivante, ma la pone in una veste discutibile. Non tanto per una presunta “lesa maestà” a Kubrick, intendiamoci, quanto per l’impianto stesso che tira fuori, che da’ a più riprese l’impressione –  orribile – di voler omaggiare l’originale senza riuscirci.

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