Freaks out: Mainetti racconta il pregiudizio in chiave fantastica
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1943: siamo nella Roma occupata da nazisti. Le peregrinazioni di quattro artisti di strada assistono alla scomparsa del proprietario del loro circo, Israel. Nel frattempo, un nazista dagli inconfessabili segreti è sulle loro tracce.

In breve. Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot sarebbe stato facile scivolare o non convincere del tutto: l’opera di Mainetti è ancora una volta re-invenzione culturale del cinema fantastico, e Freaks out ne è la prova lampante. Non tutto nel film convince pienamente, soprattutto l’eccessiva diluizione della trama, ma il resto è un parco delle meraviglie in cui sarà delizioso perdersi.

Secondo lungometraggio di Gabriele Mainetti, ambientato nell’Italia della seconda guerra mondiale e ispirato, in apparenza e a partire dal titolo, al leggendario Freaks di Tod Browning. Se il cult anni ’30 metteva nero su bianco la storia struggente di autentici fenomeni da baraccone, il nuovo film di Mainetti teatralizza quei presupposti, li rende personaggi unici nel loro genere e poi, come già in Lo chiamavano Jeeg Robot, localizza la vicenda a Roma, contestualizzando nel periodo nazista.

Le deformità dei “fenomeni da baraccone” (come vengono chiamati usualmente, con connotazione spesso spregiativa) creano un conflitto massimo con l’intolleranza degli occupanti nazisti, contrastata a sua volta dalla presenza di partigiani dall’accento ciociaro o calabrese (parte del film, per inciso, è stata girata nella stazione di Camigliatello Silano). È un mix di singolarità, localismi, omaggi al cinema fantastico di culto e ricostruzioni storiche che non poteva che funzionare, a conti fatti, soprattutto per la convinzione registica e la assoluta fluidità del girato.

Per certi versi, del resto, è quasi come se Freak fosse miscelato ad Inglorious bastards di Tarantino, e il paragone non deve sembrare improprio perchè l’operazione di revival del b-movie è quasi identica. Non solo: i personaggi protagonisti possiedono delle singolarità da supereroi dei fumetti, il che evoca la pluri-citata massima di Spider man sui “grandi poteri che implicano grandi responsabilità“. Sì, perchè è impossibile non rimanere stregati dalle potenzialità peculiari dei quattro protagonisti come dalla loro marcata umanità, dalla concretezza e dal senso di coscienza, il che li rende empatici con il pubblico fin dall’inizio.

Mainetti è abile a costruire una trama solida ed originale, al netto di qualche lungaggine troppo insistita (soprattutto nelle scene di guerra). Per il resto dirige un cast di livello, sicuramente superiore alla media dei casi nel cinema di genere italiano. L’ispirazione del lavoro utilizza peraltro una forma di (poco sfruttata, nel cinema italiano) ucronìa, una reinvenzione del passato in cui si immaginano fatti noti (l’occupazione nazista dell’epoca) sotto una luce differente: la citazione del film di Tarantino, in effetti, non era causale anche per questa ragione.

La rappresentazione dei nazisti nel cinema, peraltro,è da sempre oggetto di controversie, quasi fosse un conto in sospeso mai realmente saldato dall’umanità. Se da un lato esistono i classici film di guerra che rappresentano quei soldati in modo efficace quanto, il più delle volte, stereotipato, dall’altro troviamo gli eccessi dei film di Don Edmons, Cesare Canevari o Luigi Batzella, tanto eccessivi e violenti da diventare nasty movie ed essere naziploitation banditi da paesi come il Regno Unito.

A questi due macro-gruppi andrebbe poi aggiunta la pletora di film ambientati nel periodo che, in modi diversissimi, raccontano una storia X lasciando l’orrore della guerra e del totalitarismo in secondo piano, presi come sono da narrazioni forzatamente lacrimose quanto, a ben vedere, stucchevoli o auto-referenziali. Freaks out trova il giusto registro per raccontare quegli orrori, avendo il merito di raccontare una storia accattivante senza mai perdere il focus sull’orrore nazista del periodo, evocando per certi versi l’equilibrio da manuale di film come Train de vie. È vero, assistiamo alla continua riscoperta dei personaggi, ai loro drammi emotivo-esistenziali ed al senso di fuga e terrore che li attanaglia: le svastiche e le fibbie dei soldati tedeschi sono onnipresenti, sono parte integrante della narrazione e va sottolineato, perchè non era scontato mantenere quella compostezza narrativa.

Senza contare il personaggio di Franz, un villain sui generis perchè caratterizzato da singolarità insolite per un nazista: non solo è un freak anche lui, come si vedrà, ma possiede una particolare capacità di premonizione che gli consente di vedere il futuro (anche qui, piccolo dettaglio ucronico), come è possibile vedere in una delle scene più simboliche del film in cui, dopo l’assunzione di etere, vive una sorta di allucinazione delirante sull’umanità a venire, realmente imperdibile. Nel vedere Santamaria nei panni di Fulvio, per inciso, sarà difficile non farsi venire in mente il fake trailer del 2007 Werewolf women of the SS, tratto dal film Grindhouse, che proprio la naziploitation intendeva omaggiare.

Freaks out è una storia di freak costretti a combattere contro il pregiudizio per eccellenza, quello dell’ideologia nazista, interpretati tutti e quattro splendidamente e per cui, a fine film, ti alzi dal tuo posto quasi nella speranza che possano diventare parte di una saga. Anche perchè il mood fumettistico è molto evidente, nella regia, così come il rigetto della spettacolarizzazione truce ed esibizionistica tipica del cinema USA, con cui questo film potrà rivaleggiare pur mantenendo un’identità fortemente originale quanto, se vogliamo, europea. In una produzione oltreoceano, del resto, difficilmente un “uomo lupo” avrebbe parlato tedesco in modo fluente come vediamo fare al personaggio (per quanto avrebbe comunque fatto sesso con la donna barbuta, viene da dire).

Viene anche in mente, più volte durante la proiezione, il nano Hans protagonista di Freaks: in un momento di sconforto, riconosce amaramente di come “la gente grande” non si renda conto che anche lui è un essere umano, che anche lui è in grado di provare sentimenti. E questo il film ce lo ricorda spesso, costringendoci ad affrontare il nostro lato oscuro e i nostri, ancora oggi persistenti quanto immotivati pregiudizi. Il sentimento assolutista e totalizzante del nazismo diventa pertanto l’antagonista perfetto a tali considerazioni, che pervadono un piccolo grande film italiano, omaggio al cinema fantastico ad ogni latitudine e finalmente nelle sale da qualche giorno, dopo essere stato bloccato per due volte a causa della pandemia.

Cast: Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Giorgio Tirabassi, Max Mazzotta, Franz Rogowski, Astrid Meloni , Christoph Hülsen

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