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Il mondo è zeppo di paura, incertezza e disinformazione (F.U.D.). E le multinazionali anni ’90 lo avevano “previsto”

Dieci, cento, mille Cassandre, profetesse di sventura digitale. Ognuna, per meglio dire, della propria personale versione della sventura, che avverrà per forza,  e che non sanno – nè vogliono – mettere in dubbio neanche per un attimo. Leggono tanto, questi soggetti, soprattutto (se non esclusivamente) le notizie digitali su smartphone e tablet: e vanno facilmente nel panico, prede di notizie ferocemente malposte, spudorate fake news o – alla meglio – parzialmente vere, spesso verosimili quanto false (fu un giornalista, anni fa, a farmi riflettere su quanto si tenda a confondere sui media, spesso deliberatamente, il “vero” con il “verosimile“). Quel panico lo spargono presso altre Cassandre, in un contagio emotivo di cui non si vede la fine.

Perchè poi questo tipo specialissimo di Cassandre, che definirei negativizzate, in fondo non sono (purtroppo per tutti) che fragili, egocentriche, narcisiste e autoreferenziali, ma guai a farglielo notare: non sono quasi mai provviste della dote di mettere in dubbio ciò che pensano. Insomma, se le contraddici non la prendono benissimo. Devono essere pessimiste, è il loro manifesto programmatico per impattare su una realtà forse troppo dura, per non affrontarla – o alla peggio costruirsi la propria, ennesima, personalissima post verità.

Che cos’è il F.U.D?

Prima di procedere oltre, è il caso di fare un po’ di chiarezza sui termini utilizzati. Quando su internet si fa riferimento all’acronimo FUD ci si riferisce a tre parole inglesi: Fear, Uncertainty e Dubt (secondo alcune versioni, Fear, Uncertainty e Disinformation). Paura, incertezza e dubbio (oppure disinformazione), insomma, e si fa riferimento ad una specifica strategia comunicativa basata su questi tre ingredienti, che può essere certamente mirata (tanto che è stata sfruttata da alcune multinazionali tecnologiche per contrastare concorrenti commerciali molto temuti, come vedremo), e che ormai potrebbe essere anche implicita, o vivere del riflesso provocato da chi si specchia in essa. Oggi in sostanza non c’è soltanto chi si diverte (?) a spargere il panico ad ogni costo, ma c’è anche chi quel panico lo subisce, e non dovremmo mai dimenticarlo. Non si tratta solo dell’ennesimo troll che diffonde l’idea che qualsiasi soluzione si pensi sarà inutile, che tanto moriremo tutti: è un concentrato di feeling politico, sociale e/o commerciale adottato da alcuni per provare a manipolare la realtà in cui viviamo.

Il film Predator, in fondo, aveva “previsto” anche questo (che moriremo tutti, naturalmente): a rigor di logica non aveva neanche torto, in effetti, salvo improbabili sieri dell’immortalità. Il punto è proprio che, ad oggi, dal FUD non se ne esce con il raziocinio e il solo debunking, ma anche – forse soprattutto – guardando le cose in modo diverso dal solito, usando altri strumenti.

Quando a spargere paura, incertezza e dubbio fu la Microsoft (e non solo)

Il FUD necessita di un doveroso approfondimento storico perchè, di fatto, è stata una tecnica di manipolazione e propaganda molto usata nel mondo dell’informatica. Siamo nel 2001: Linux si sta lentamente affermando come standard “alternativo” per l’informatica, in modo separato e indipendente dai modelli dominanti, costituiti da Windows e Macintosh. Un bel giorno succede qualcosa di significativo: mediante una citatissima intervista comparsa sul sito cnnmoney.com – di proprietà dell’emittente CNN – due dirigenti dell’ufficio legale della Microsoft dichiarano, di punto in bianco, che vari software Linux (tra cui Open Office) avrebbero violato ben 235 brevetti di proprietà della loro azienda. Incertezza, paura, dubbio, disinformazione: chi usa Linux sta davvero commettendo un reato o addirittura contribuendo ad un crimine informatico?

All’epoca si paventò che il software libero non sarebbe più esistito, come diretta conseguenza (dando per scontato, in modo decisamente irrazionale, che Microsoft avrebbe avuto ragione in sede legale), mentre personaggi come Steve Ballmer rimarcarono la propria posizione in favore della controversa e contestatissima brevettabilità del software (“What’s fair is fair“, quello che è giusto è giusto, affermava in modo tassativo quanto poco argomentato). Senza addentrarci nei meandri della filosofia dell’open source (che è vivo e vegeto, per inciso, e fa funzionare gran parte di internet così come la conosciamo, incluso questo blog, ancora oggi) e delle questioni spinose legate alla (non) brevettabilità di un codice, in molti osservarono la tecnica comunicativa adottata dall’azienda, che arrivò a minacciare di rivalersi legamente sui singoli utenti che facevano uso di soluzioni free e open source nei propri computer.

FUD puro, in sostanza, basato su un attacco comunicativo frontale, teso a diffondere paura (di essere incriminati per usare software “pirata”), incertezza (posso continuare ad usare Linux o è illegale?) e dubbio (i software si dovranno brevettare?). E con un effetto collaterale non da poco: provocare reazioni scomposte da parte di fan di Linux che, quasi come meccanismo di autodifesa, avrebbero continuato ad usare quel software “per dispetto”, quasi a sfidare un’autorità che comunque non riconoscevano (o avendo la sensazione di sfidarla, per meglio dire). Non sembra troppo diverso, in effetti, dalla spaventosa psicologia di massa che ha guidato molti negazionisti a porsi come eterni bastian contrari fin dall’inizio della pandemia (no mask, no green pass, no vax, …). E non serve nemmeno aver letto la Psicologia delle folle di Gustave Le Bon, alla fine, per capacitarsene (libretto del 1895), una lettura quantomeno stimolante ancora oggi, a mio avviso.

La diatriba tra Microsoftiani e Linuxiani mi ha sempre interessato poco o nulla, anche perchè mi ha sempre più incuriosito il punto di vista dei primi. Una specie di fanatismo implicito da parte di chi si sentiva fin troppo sicuro di sè, un fideismo convinto e dai tratti grotteschi, che non ha mai trovato una spiegazione nella contraddizione di fondo, par excellence: stai “tifando” per chi  vorrebbe dettare regole ferree che tu stesso, per primo, non vorrai rispettare nè mai rispetterai (chi ha sempre comprato software Microsoft originale?). Questo atteggiamento ambivalente quanto convinto è comune anche a certi livelli di militanza politica, peraltro, e probabilmente deriva da un’eredità culturale collettiva, forse (azzardo senza approfondire) dall’idea dell’inconscio collettivo di cui scriveva Jung. Senza contare che tantissimi dei fan della Microsoft, da quelli che sono i miei ricordi dell’epoca, erano spesso e volentieri le stesse persone che usavano Windows e possedevano almeno una parte dei rispettivi software in versione crackata, come andava di moda dire in quegli anni.

Tanto per citare anche Apple, peraltro, un FUD è la stessa cosa che avvenne quando, nel 2009, l’azienda sostenne apertamente che il jailbreak dei dispositivi iPhone avrebbe potuto avere conseguenze catastrofiche sui ripetitori dei cellulari (danneggiandoli o provocando violazioni informatiche in massa). Il tutto per una semplice richiesta della Free Software Foundation di “depenalizzare” la pratica del jailbreak, proprio perchè talmente diffusa da essere non arginabile. Come se le violazioni informatiche non fossero avvenute lo stesso, poi…

Ed è quasi inutile quanto doveroso sottolineare, a questo punto, che le tecniche basate su FUD sono all’ordine del giorno per le truffe informatiche basate sull’istillare, nell’utente medio, la paura di aver commesso reati: vedi il phishing da parte di false email delle “autorità”, tipicamente.

F.U.D. e La Cassandra negativizzata

Nella mitologia greca la figura di Cassandra è considerata nobile, come simbolo per eccellenza dei non-ascoltati, nota per antonomasia come preveggente e predicatrice-profetessa, sempre banalizzata o non creduta; tant’è che esiste la sindrome di Cassandra, studiata a vario titolo da psicologi e psicoanalisti, ed è ben nota nella letteratura scientifica.

Ad oggi, pero’, la sfumatura più specifica (e, temiamo, popolare) in tal senso si traduce nella figura della Cassandra-frequentatrice media dei social network, una figura ambigua e contraddittoria: a volte nel panico più sincero, altre sarcastica ostentatrice di cinismo nonchè quasi sempre (addirittura suo malgrado, a volte) profeta di sventura, terrore e confusione. In genere dice che tutto andrà male perchè è vittima poco consapevole del FUD (Fear, Uncertainty and Dubt), acronimo usato nel marketing come nella psicologia, sparso a casaccio dai social media, dai troll, dai giornali una volta dignitosi e oggi vittime sacrificali al Dio del Click Bait, o da chiunque altro abbia tempo e voglia di dedicarsi all’impresa di polarizzare un qualsiasi parere.

Di fatto, la tragedia di oggi non consiste nel non-essere-creduta, ma vale semmai il contrario: la Cassandra negativizzata sparge il panico mediante assoluti difficili da contestare con la sola razionalità (le persone fanno tutte schifo, rimarrò sempre solo/a, la pandemia non finirà mai, ci sarà sempre una guerra, i vaccini sono inutili), e le riesce fin troppo facile essere creduta – sempre e comunque, in modo acritico e di pancia, in nome di un fatalismo oclocratico che ha conquistato, e preso il sopravvento, su molti esseri umani più fragili.

La studiosa Laurie Layton Schapira aveva da tempo individuato in chi soffre della sindrome di Cassandra persone portate a crearsi relazioni disfunzionali senza rendersene conto, selezionando eventi e circostanze in modo che forniscano conferme indirette alle nefaste profezie messe a preventivo. Persone che potrebbero, a vario titolo, essere vittime del FUD nel senso di cui ne parliamo in questa sede.

Un concetto che sicuramente andrebbe studiato meglio, e mai sottovalutato perchè è figlio di un certo calcolo aziendalista di una trentina di anni fa, lo stesso che tanto ha lasciato nel mondo capitalistico e cinico in cui viviamo.

South Park e la puntata Put it down

Ancora una volta la serie animata di Trey Parker e Matt Stone si mostra all’avanguardia nel trattare questo particolarissimo tema, sia pur senza citarlo esplicitamente, e mettendo in ballo sia la consueta satira che raffinati concetti di psicologia sociale. La puntata in questione si chiama Put it down (in italiano, su Netflix, Metti giù il telefono), e si colloca temporalmente dopo la scampata guerra causata dai troll. Vediamo un personaggio poco citato quanto significativo come il piccolo Tweek, in perenne ipertensione a causa del troppo caffè, fin dai tempi mitologici della puntata grottesca sugli gnomi ruba-mutande: era lui ad averli scoperti, ma non veniva creduto da nessuno.

Il suo nome, Tweek, non è casuale: l’Urban Dictionary suggerisce l’assonanza con tweeker, un termine che indica un utilizzatore di metanfetamina, il cui abuso è risaputamente in grado di produrre ansia, disturbi della personalità e paranoia. Tweek è il piccolo paranoico per eccellenza, tanto più che è vittima del FUD indotto dai social media e dai giornali, che da tempo (seguendo la narrazione della puntata) paventano una guerra nucleare tra USA e Corea del Nord. La canzone che ha scritto e con cui si esibisce per gli altri bambini della scuola è una composizione di pseudo-musica sperimentale, in cui suona note senza senso ed urla sconnessamente (ancora una volta) moriremo tutti, manifestando la propria paranoia persecutoria.

Vale la pena di osservare che Tweek è anche un personaggio inclusivo: ha un fidanzato (Craig, al suo estremo opposto, sempre sereno e controllato), e gli altri bambini sembrano aver imparato ad accettarne l’omosessualità senza discriminarlo. Nel frattempo si sviluppano due linee narrative parallele: da un lato i bambini che portano avanti una campagna contro l’uso del cellulare alla guida (il che non diminuisce le vittime di gente alla guida, sempre distratta dalla lettura di fake news), dall’altro abbiamo Cartman che, in un delirio di egocentrismo e coltivando una relazione tossica sui toni passivo-aggressivi, minaccia di suicidarsi, improvvisandosi pure rapper a tema.

Tweek non teme semplicemente di essere ucciso dalla guerra: teme che la Corea del Nord ce l’abbia specificamentamente con lui, tanto che vediamo il presidente USA trollare grottescamente la nazione straniera (di fatto, Trump sotto le mentite spoglie del signor Garrison) e istigare con vari tweet a bombardare la casa del povero bimbo. A nulla vale l’atto di sincera gentilezza verso la nazione (dei dolci preparati da Tweek, e spediti a Kim Jong-un, che li apprezza pure), dato che ci pensa sempre il Presidente USA a rovinare tutto, con volgarità assortite e coprolalìe offensive e gratuite.

Per quello che ci interessa, Tweek è una vittima designata e simbolica del FUD inscenato dai giornali, il tutto per avere click e l’attenzione delle persone, tanto da non rendere più distinguibili i livelli di cronaca: chi dice la verità viene ignorato, chi la spara più grossa viene ascoltato, per quanto possa essere in aperta contraddizione con altri che l’avevano fatto poco prima. La soluzione ideata è risolutiva: Tweek alla fine chiedeva “solo” di essere ascoltato dal fidanzato, finalmente ci riesce, si tranquillizza dopo averci parlato e scrive una nuova canzone, per l’appunto: semplicemente, Metti giù il telefono se sei il Presidente, e non ci sarà più alcun problema.

Basta aprire un social qualsiasi, oggi, per leggere almeno un post di qualche nostro contatto che si inerpica nel fatalismo generalizzato, senza discussione e autocompiaciuto, un punto di arrivo (anzichè intermedio o di partenza, come si dovrebbe pensare), che non solo “non la vede bene” o ha paura per il futuro (il che ci starebbe pure), ma ci tiene ad ostentarlo, magari con un selfie a tema Covid-19. Una delle cose più inquietanti che ho visto in questi anni pandemici, del resto, è stata una mia conoscenza che ha postato una foto in posa, con tanto di scollatura in vista e duckface, in cui annunciava con candore di essere positiva al Covid (ho faticato ad immaginare con quale preciso stato d’animo uno possa fare una cosa del genere, ma tant’è). Siamo talmente saturi o assuefatti al FUD, secondo me, che a volte lo decliniamo nelle modalità più bizzarre.

Chi prevede il peggio in ogni caso, in molti casi, lo fa per una ragione ovvia, se vogliamo: la sua vanità ci fa sentire al sicuro, sicuramente meglio di quanto staremmo. E diventa così un vettore di sventura, perchè viviamo pur sempre in un mondo di parità di opinioni, in cui qualsiasi frase detta da uno vale esattamente come quella di qualsiasi altro, politici e VIP inclusi. Perchè i tempi che viviamo sono questi, di falsa parità digitale, ma sarebbe ora di attrezzarsi per viverci meglio e, se possibile, senza inutili patemi, prendendo meno sul serio qualsiasi cosa passi su uno schermo e ricordando quanto possano essere verosimili (ma non certo veri) certi video deepfake.

Procuste: il brigante che “ha inventato” il FUD?

Purtroppo il profeta di sventura medio è portato a creare autonomamente le condizioni perchè quello specifico “peggio” possa verificarsi, cosa visibile dalle tante contraddizioni patologiche che vive ancora oggi: bastian contrarismo e cultura negazionista, ad esempio, che finiscono per essere causa dello stesso mal che si lamenta (profezie che si autoavverano, direbbero quelli bravi).

E si tratta anche, a ben vedere, di sfruttamento di tecniche di comunicazione applicate da sempre al mondo del marketing come il FUD, e ormai massificate, di pubblico dominio. Acronimo per dire, lo ribadiamo: Fear, Uncertainty and Dubt (preferiamo non metterci di mezzo Disinformation per una sorta di impopolare quanto sincero ottimismo, per una volta), cosa che una volta veniva applicato consapevolmente per diffondere opportunisticamente il panico nell’opinione pubblica all’occorrenza, oggi sembra diventato un’arma del nostro inconscio che possiamo sfruttare per manipolare la realtà, scoraggiare gli altri o magari imparando a non cadere in certe trappole emotive e sociali.

Il tutto ricordando un altro mito interessantissimo: quello di Procuste, un brigante dalla straordinaria forza e statura, proprietario di una locanda (diremmo oggi) da autentico film dell’orrore. Ogni ospite veniva fatto accomodare su un letto, fatto addormentare e immobilizzato: qualora il letto fosse troppo piccolo, il feroce Procuste gli amputava braccia e gambe, diversamente lo allungava. Significativamente, questa figura è l’archetipo del manipolatore in grado di mettere in difficoltà il prossimo, proprio perchè era dotato di due letti: uno esageratamente corto, l’altro esageratamente lungo.

Il mito fa riferimento alle situazioni in cui determinati soggetti cerchino di sminuire chiunque considerino meglio di loro, limitando brutalmente le potenzialità altrui, anzichè provare a migliorare le proprie doti.

Di Sconosciuto – http://freisinnige-zeitung.de/archives/8094, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17846340

La cosa più interessante, a mio avviso, è che molti di noi stanno adottando il registro comunicativo basato sulla FUD senza neanche rendersene conto. La mia ipotesi, a questo punto, è che abbiamo interiorizzato quel modo di comunicare propagandistico, dopo averlo subìto o averne sentito parlare in vari ambiti. E ora siamo qui a fare noi stessi da vettori di sventura, a provocare noi stessi il danno, quasi nello slancio di masochismo di chi si offre volontariamente e passivamente al nemico, per non sopportare più lo stress dovuto al conflitto, e per compiacerci assurdamente di averlo fatto. Ci muoviamo ormai in un mondo talmente cinico che, forse, nemmeno John Carpenter o George Romero avrebbero saputo rappresentarlo.

FUD: paventare il terrore, in realtà senza causarlo

Al netto di questa lunga (e intensa, mi rendo conto: ho impiegato quasi 2 settimane a finire il tutto) digressione a tema, vale la pena di ricordare che – tornando a tema informatica – l’azienda  di Redmond cercò di far valere le proprie posizioni sfruttando il FUD (paura, incertezza e dubbio) instillando il dubbio negli utenti Linux, specie quelli più oltranzisti (in base al contrappasso psicologico di cui parlavo prima), che stessero davvero sfruttando indebitamente brevetti Microsoft.

Per quanto poi, è opportuno ricordare, l’azione legale paventata non avvenne mai, non c’è traccia, da quello che risulta, di ulteriori dettagli (ad esempio quali software fossero “illegali” e quali no), tantomeno di un seguito della vicenda. Insomma: tanto rumore per nulla, tanto che varrebbe la pena chiedersi cosa resterà nella storia, tra un po’ di anni, di tutto questo. Nonostante il nostro sguardo attento, il FUD funzionava e funziona ancora adesso, diffondendo paura, dubbio e incertezza, alla meglio buttandola in caciàra.

Nel mondo in cui viviamo e nei social in particolare, strumenti di comunicazione del tutto radicati nelle nostre vite, la diffusione di paura, dubbi e incertezza è all’ordine di giorno: esce qualcosa di nuovo, l’utente Pinco Pallino pubblica un tweet in cui “fa solo domande”, “esprime dubbi” quasi sempre in modalità passivo-aggressiva, con mitezza solo apparente. E se parte la condivisione, il diBBattito (il dibattito nooo, avrebbe detto il buon Nanni Moretti), è la fine. Se lo metti in discussione generi una shitstorm o comunque sono guai, perchè il cassandrismo è all’ordine del giorno.

I cassandristi di oggi hanno, insomma, quasi sempre torto, ma vengono creduti, in un’inversione clamorosa dei termini su cui varebbe la pena indagare ancora. Del resto, anche se avessero ragione – come potrebbero certamente avere su certi fronti – riescono a porsi in modo talmente disfunzionale o addirittura antisociale da avere comunque torto (purtroppo per loro, purtroppo per tutti).

FUD sui social network e Napalm Death

Basta un (qualunquista) utente che esprima un’opinione allarmistica per scatenare, spesso e volentieri, un effetto domino, in cui tutti si interrogano sulla questione (anche se non ci sarebbe nulla da discutere, e non sia obbligatorio avere un’opinione su tutto), ma comunque la rielaborano e creano, in maniera completamente autonoma (per non dire inconscia) la pluricitata causa del proprio mal.

Nel lontano 1994 i Napalm Death produssero uno dei loro album più notida loro registrati, dal titolo significativo Fear, Emptiness, Despair, incentrato su paranoie e terrori indotti dalla allora crescente modernità anni ’90 – la stessa a cui tanti altri non sopravvissero, travolti da tossicodipendenze sottovalutate, forse anch’esse sminuite o disinformate – sfogando la propria frustrazione in un disco epocale, da sempre considerato “sperimentale” rispetto alla loro discografia (ricco di elementi industrial, groove e death metal). Non sapremo mai con certezza se quei musicisti abbiano davvero profetizzato (aridaje) il caos del mondo di oggi, ma di sicuro l’assonanza fa impressione, anche solo a livello di pensiero magico.

Le Cassandre-narciso moderne, del resto, assumono un ruolo ambivalente, ovvero sembrano compiacersi del ruolo che si sono ritagliate nel caos informativo e nella mancanza di punti di riferimento in cui viviamo. Parlano spesso di sofferenza, evidenziano certamente qualcosa che gà c’è, ma danno pure l’impressione inquietantissima che, fosse per loro, potrebbero vivere e sguazzare negatività per sempre. Anche a costo di rinchiudersi per sempre in casa, cosa che (senza giri di parole e senza approfondire per brevità) ho visto fare anche a miei conoscenti, dopo il 2020. Anche questo, pur di non “dare ragione” agli “altri”, chiunque essi siano – e qualsiasi cosa ciò significhi.

Per quanti sia ammissibile che molte di quelle Cassandre oggi possano urlare al complotto ad ogni respiro, anche a costo di indurre ancora più contraddizioni di quante già non siamo costretti a sopportare, resta la considerazione sulla necessità di una sostanziale rivalutazione di questa figura mitologica. Dai più considerata positiva, del resto, vittima dell’incomprensione della massa, ma oggi totalmente assorbita dalla modernità e da rivalutare – in chiave, ad esempio, psicologica: perchè fu lo psicoanalista Jung ad popolarizzare il concetto di narcisismo patologico insito in varie persone, e niente esclude – a ben vedere – che anche le varie “Cassandra” possano essere stata affette da ciò. Dovremmo ricordare che, se da un lato non c’è nulla di male ad avere posizioni diverse (per quanto ciò che provochi violenza o darwinismo sociale resti comunque deprecabile), dall’altro non siamo obbligati ad avere contatti, a “trattare” e discutere con queste persone. Perchè se la discussione è viziata da bias cognitivi ed è solo uno strumento come un altro perchè l’altra persona possa ostentare la propria, presunta, “superiorità”, ci guarderemo bene dal voler avere a che fare con loro.

Immagine di copertina: Evelyn De Morgan, Public domain, via Wikimedia Commons

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