S&MAN: un horror più provocatorio che altro
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Il regista Petty sta girando un documentario sull’horror underground americano, e si imbatte nell’inquietante Erik Rost: un regista di snuff movie.

In breve. Un finto-snuff nella media del genere, notevole per un’idea di fondo quasi inedita: più bellamente provocatorio che altro, alla fine dei conti.

S&MAN si pronuncia “sandman” ed è un documentario scritto e diretto da J.T. Petty, autore di videogame e regista horror noto nel sottobosco più underground: quello che passa (e cerca di emulare) Faces of death e Nekromantik, pellicole in cui l’orrore viene portato all’estremo con un’ossessione morbosa per il realismo delle immagini. Un po’ quello che, in passato (ed in modo addirittura più mainstream, se vogliamo) hanno fatto [REC] o The Blair witch project. Nel film si parla di S&MAN, una fantomatica saga in DVD in cui il girato è stato commissionato da alcune persone, ed in cui viene mostrato lo stalking di alcune ragazze, il successivo rapimento e l’omicidio finale. Un’idea mutuata da un sotto-genere realmente esistente (il porno su richiesta che alcune pornostar, ad oggi, realizzano per i fan più abbienti) che intriga ed appassiona lo spettatore, nella ricerca di una verità che non viene, forse un po’ troppo cinicamente, svelata.

Parliamo di un documentario che racconta il mondo dell’horror underground, popolato da goth e metallari alla regia (nel film viene intervistato più volte il prolifico regista di horror amatoriali Bill Zebub, con tanto di maglia dei Cannibal Corpse), oggetto di uno studio interessante da parte di un’antropologa americana, Carol J. Clover, che ha tratto uno dei libri principali di riferimento per la sottocultura slasher (Men, Women and Chain Saws, tuttora mai uscito in Italia). Le domande a cui prova a rispondere il documentario sono due: cosa spinge le persone ad apprezzare pellicole così cruente (e così essenziali da trovarsi al limite dell’amatoriale)? Soprattutto, questi film sono realmente girati e vengono realmente commissionati da qualcuno?

Di per sè S&MAN sarebbe un mockumentary horror medio, come tanti, troppi ce ne sono in giro: ma l’elemento di novità ruota attorno allo sviluppo narrativo della trama, solo apparentemente banale. Petty, infatti, ha l’idea di innestare in una serie di interviste a personaggi noti del settore l’incontro con l’inquietante Erik Rost, un regista che realizzerebbe snuff movie su richiesta. Molte recensioni hanno interpretato (toppando clamorosamente) alla lettera la circostanza, visto che viene furbescamente messa in ballo assieme alle figure di altri registi esistenti come Voger e Zebub,  ma si tratta del comico americano Erik Marcisak e Rost è solo un personaggio, come potrebbe esserlo qualsiasi altro serial killer del cinema. Il problema (o il pregio, se preferite) è che il regista si guarda bene dal dircelo, lasciando così un’ambiguità insopportabile allo spettatore e rincarando la dose nel finale: finale in cui, per inciso, il regista si vedrà recapitare un DVD di S&MAN personalizzato, avente come vittima la sua ragazza.

Il principale motivo di interesse che ruota attorno a S&MAN risiede negli estremi che lo popolano: da un lato inquietanti individui che, poco interessati alla qualità del cinema in sè, si preoccupano di sfornare pellicole a basso costo sulla falsariga di Horror Underground Mordum (il cui regista ed artefice della Toetag Pictures, Fred Vogel, viene lungamente intervistato), mentre qualcun altro degli intervistati racconta pacatamente di vendere e girare custom tapes, ovvero veri e propri snuff su richiesta. Sullo snuff tanto, forse troppo, si è scritto: il mio parere è che siano, al netto di certe suggestioni, estranei alla prospettiva media di qualsiasi horror, anche se è opportuno trattarli filologicamente e sembra lecito – al limite – accomunarli ad un sotto-genere di un reparto molto più ampio. Un po’ come avviene (per fare un esempio che sarà familiare ai più) con certa scena black metal in voga negli anni ’90 (la scena raccontata in film come Lord of chaos o Once upon a time in Norway) rispetto all’heavy metal in generale.

Ho sempre pensato – e questo film, documentario o para-culumentario che di si voglia, non mi  fa cambiare idea – che lo snuff (così come l’horror estremo quanto realistico) sia semplicemente lo specchio di quanto profetizzato da Videodrome: spettacolarizzazione pura dell’orrore, totale mancanza di trama, ed un affidamento a sensazioni “di pancia” che in S&MAN scomodano una sessuologa ed uno psicologo per spiegarcene le ragioni.

Nel film, ad esempio, viene mostrato un frammento del vecchio filmato electrocuting an elephant, un episodio reale attribuito erroneamente (a quanto pare) a Thomas Edison, ma che in realtà sarebbe stato effettuato perchè l’elefante Topsy aveva ucciso due persone. Il problema, comunque la si voglia pensare, è l’hype morboso e l’atmosfera da urban legend che pervade questo sotto-genere di (non)film, finisce inevitabilmente per degradarne qualsiasi merito artistico. E su questo feeling il regista sguazza in maniera molto disinvolta, lasciandoci un film che, al netto di tutto, merita probabilmente una visione.

D’altro canto la prospettiva in cui quei film (o presunti tali) vengono inquadrati in S&MAN è scientifica: sentiamo il parere di una sessuologa (che associa il gusto degli spettatori ad una specifica parafilìa, ovvero li considera – senza giri di parole – dei malati da curare), di uno psicologo (che rincara la dose) e soprattutto della Clover, la quale – con autorevolezza e serietà – difende il contenuto e la forma anche degli horror più estremi, peraltro da una interessante prospettiva femminista che vede nelle final girl oggetto di riscossa e non, come spesso si è temuto o scritto, di becera misoginìa.

Le immagini mostrare da S&MAN sembrano, almeno all’apparenza, confermare quest’ultima tendenza: viene mostrata, ad esempio, una ragazza stalkerata e ripresa per giorni, successivamente adescata, narcotizzata e aggredita in un bosco con mani e piedi legati. Ma l’idea di fondo rimane il fatto che S&MAN sia, alla luce di quanto detto all’inizio, un film più provocatorio che realistico. Il problema è che il volto di Marcisiak (villain con la faccia da bravo ragazzo semplicemente epocale) è totalmente sconosciuto ai più, se non probabilmente al pubblico USA, e questo ha contribuito a costruire una fama di vero documentario all’opera. Che le donne siano spesso vittime nell’horror in genere, del resto, è una verità (parziale), per quanto poi – alla prova dei fatti – le pellicole ambigue in questo ambito siano, se non altro, relativamente poche. Anche la violenza di quei film è quasi sempre simbolica, e possiede spesso un sottotesto sociologico o politico – ma il problema di fondo sembra essere nel fatto che non tutti riescono o hanno voglia di trovarne uno.

Il film cita, tra gli altri, Peeping Tom (il capostipite degli horror girati in soggettiva dal serial killer), Non aprite quella porta e naturalmente Henry pioggia di sangue. Molti altri film, tra cui la misconosciuta produzione di Zebub (che ha girato oltre 60 film, per la cronaca), sono presentati dal regista stesso come fantasiose variazioni sul tema del classico porno amatoriale.

Tanto per inquadrare il contesto, S&MAN venne presentato al Toronto International Film Festival nel 2006, e poco dopo il sito di news di cinema Twitch pubblicò un report in cui venne appellato come hoaxumentary, un bufala-mentario.  Un sotto-genere diverso dal classico mockumentary (il falso documentario alla Cannibal Holocaust o The war game, per intenderci) per un aspetto fondamentale: vorrebbero farci credere che Erick Rost esiste davvero. In altri termini S&MAN si presenta come un documentario in cui si rimane ambigui non tanto sui vari z-movie che vengono presentati (che si presentano, per inciso, come non-film nel senso esplicitato da Pulici e Gomorasca in un recente numero di Nocturno) quanto sulla possibilità che esistano e vengano davvero realizzati horror snuff su richiesta (e di cui ne vediamo alcuni, solo sedicenti tali: impressionanti frammenti girati con camera fissa o in soggettiva, taglio rigorosamente amatoriale, vittima e killer incappucciato).

In definitiva, quindi S&MAN riesce nell’impresa primaria di qualsiasi horror che si rispetti, ma usa modalità poco trasparenti nei confronti dello spettatore, lasciando il mito degli snuff vivo e vegeto.

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