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Tenebre: il thriller definitivo di Dario Argento

“L’impulso era diventato irresistibile. c’era una sola risposta alla furia che lo torturava. e così commise il suo primo assassinio. aveva infranto il più profondo tabù, e non si sentiva colpevole, nè provava ansia, o paura, ma libertà”

La storia è quella di uno scrittore che subito dopo un viaggio, per una serie di misteriose circostanze, si trova ad essere minacciato da un misterioso killer che sembra emulare le storie dei suoi libri. Le oscurità dell’uomo sembrano essere costantemente in agguato, fieramente pronte ad emergere per scavare dentro le debolezze insite in ognuno di noi. Nessuno escluso.

Quanti segreti, illusioni ed atrocità incoffessabili possono nascondersi nella vita umana? Sono i misteri che prova a raccontarci il nostro Dario Argento in una delle sue migliori opere di sempre, mai abbastanza celebrata: Tenebre è un ibrido di giallo classico e thriller-horror di ottima annata (del resto siamo nei primi anni 80).

Nella scena forse più emblematica del film, ad esempio, vediamo l’agente di Peter Neal – lo scrittore protagonista – aspettare qualcuno nel mezzo di una piazza: nel mentre, assiste alla vita, quella quotidiana, dipinta magistralmente dal regista. Vediamo una zuffa poco vicino, un litigio tra due fidanzati, una palla che scivola via da un ragazzino. Ed ecco per il personaggio sopraggiungere, spietata come sempre, come una perfetta emulazione della frase iniziale del film, la morte. Il tutto avviene alla luce del giorno, rendendo tremendamente efficace l’intera sequenza.

Il film sembra essere parzialmente incentrato sulla perdita di certezza, cosa che quasi certamente proverà lo spettatore dopo uno dei migliori finali mai escogitati da Argento. Come sottotesto costante dell’opera, la paura di essere aggrediti, sopraffati, schiacciati senza motivo come accade alla vittima di Inferno, trucidata senza un motivo invece di essere soccorsa. Oppure possiamo pensare alla ragazzina che viene spaventata dal cane che, dopo essere stato stuzzicato, inizia ad inseguirla in una sequenza che lascia seriamente incollati allo schermo: il momento in cui la bestia scavalca la rete che sembrava dare sicurezza e protezione, è un’altra idea con cui Argento ama spaventare il proprio pubblico, riuscendoci alla grande.

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Nenia infantile: altro leitmotiv – ripreso da Profondo rosso – del regista romano. Anche qui, nel ricordo dell’assassino, viene ucciso il personaggio interpretato da Eva Robbins: un paio di secche coltellate, e finisce al suolo. L’assassino raccoglie le scarpette rosse (onnipresenti nel film ed elemento fondamentale per la trama), ed ecco una dissolvenza sull’occhio dell’assassino. Proprio in quel momento, vediamo la sua pupilla dilatarsi visibilmente quasi a sottolinearne la sadica soddisfazione. Non possiamo non citare, infine, il taglio del braccio del personaggio interpretato da Veronica Lario, ormai ex moglie del Berlusconi che ha creato Mediaset su cui, a quanto risulta, durante la trasmissione del film questa cruenta scena è stata fatta fuori.

Quando hai eliminato l’impossibile, quello che rimane per quanto improbabile, è la verità“, ci suggerisce Argento: neanche a dirlo, come se il rasoio razionalista di Occam avesse armato, nella sua lucida essenzialità, la mano dell’assassino, che uccidendo materializza la propria (ir)realtà fatta di ossessioni, paure, incubi precedenti e delusioni in un atto di annientamento estremo. Tenebre è un film bellissimo, concluso da un clamoroso doppio finale con colpi di scena innestati: circa quindici minuti di angoscia, paura e capovolgimenti di fronte che lasceranno lo spettatore amante del genere estasiato.

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