Tre passi nel delirio: tre registi per un film d’autore

Tre episodi basati su racconti di Poe: una nobildonna dissoluta che si vendica di un amante che la respinge, un ufficiale austriaco alle prese col vizio del gioco ed un attore decaduto che accetta di girare un film per una Ferrari.

In breve. Buon film ad episodi, forse “datato” per il gusto del pubblico di oggi, che vogliono essere un chiaro omaggio a Mario Bava ed al suo gotico all’italiana. Diretto da Federico Fellini, Louis Malle e Roger Vadim.

Tre passi nel delirio è un film collettivo targato 1968, suddiviso in tre episodi a sè stanti e liberamente ispirati a racconti di Edgar Allan Poe; un cast di tutto rispetto (Jane e Peter Fonda, Terence Stamp, Brigitte Bardot, Alain Delon, Milena Vukotic per citarne alcuni) rispetto alla media in lavori del genere, e che deve moltissimo all’impostazione data a suo tempo dal gotico italiano di Mario Bava (che viene anche omaggiato in maniera esplicita). Il filo conduttore delle storie, sullo sfondo di un decadentismo pressocchè costante, è legato alle ambizioni personali dei protagonisti, ed a quanto riescano a “spingersi oltre” per soddisfare i propri vizi (lussuria, gioco d’azzardo e avidità).

Diretti rispettivamente da Louis Malle, Roger Vadim e Federico Fellini, bisogna a mio parere dire la verità: se non fosse stato per il coinvolgimento di Fellini (che applica il suo riconoscibilissimo stile ad una storia horror, con risultati tutti da gustare) sarebbe stato un film dei tanti, troppi – cioè senza infamia e senza lode, da annoverarsi tra le troppe trasposizioni di racconti di Poe. Del resto, l’osanna generale sull’episodio “Toby Dammit“, tratto da Fellini molto liberamente dal racconto Mai scommettere la testa con il diavolo, funziona nella misura dell’apparizione dell’inquietante ragazzina coi palloncini (omaggio ad una scena di Killy, Baby Kill altresì noto come Operazione paura), il cui sguardo grottesco ed enigmatico restituisce già da solo la dimensione dell’episodio. La storia dell’attore decaduto ed alcolizzato Toby, che si presta ad un film western di ambientazione mistica per avere una Ferrari in cambio (il che sarà causa della sua rovina), evoca un gioco di meta-cinema con cui il regista sembra rappresentare il mondo dello spettacolo, costruito quasi esclusivamente sulle apparenze. Dal punto di vista narrativo la storia non è tra le più corpose – molto più solidi gli altri due episodi, ovviamente come intreccio, dato che le doti di Fellini non sono in discussione.

Metzengerstein e William Wilson restituscono una dimensione di horror a tinte vagamente erotiche (soprattutto il primo, con una conturbante Jane Fonda), per la verità già vista in molteplici occasioni, e su cui c’è poco da discutere. Tre passi nel delirio procede con il ritmo “lento” tipico del gotico all’italiana, e va visto in quanto film “storico” notevole nel suo incedere, per quanto possa essere prevedibile un lavoro basato su racconti classici di Poe (quasi sempre rielaborati). Nel farlo, si rappresentano tre momenti storici diversi (due nel passato più remoto, il terzo leggermente più recente) e personaggi sempre convincenti ed accattivanti, con qualche perla indimenticabile (su tutte: le surreali movenze di tutti i protagonisti dell’episodio felliniano, e l’interminabile sfida di Wilson contro Giuseppina). Qualcuno sostiene che i tre episodi siano in crescendo, ma in realtà il livello di tensione rimane pressocchè costante, con qualche picco sul sulfureo, e decisamente macabro, finale a sorpresa girato da Fellini – dai toni quasi fulciani, come qualcuno ha osservato.

In definitiva un buon film ad episodi, come tanti ne sono stati fatti (esempio: I tre volti della paura di Mario Bava), forse sopravvalutato dalla manìa qualunquista di rendere ogni film vecchio un cult, ma certamente apprezzabile e di buon livello (fonti: offscreen.com).

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