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Una lucertola con la pelle di donna: quando il thriller psicologico era made in Italy

Thriller dalle tinte enigmatiche, con ottimi sprazzi horror che devono, onestamente, più di qualcosa ad un certo Dario Argento: l’altro regista romano era appena entrato sulle scene, circa un anno prima, con “L’uccello dalle piume di cristallo“. Ovviamente, in questa sede, Fulci veniva da altre celebri esperienze nel genere (“Non si sevizia un paperino” su tutti), per cui scrive e dirige questo film con massima perizia ed intelligenza, senza cadere nelle banalità scopiazzate tanto frequenti in quegli anni.

In breve: un cult del giallo all’italiana, con una certa contaminazione poliziesca e suggestive allucinazioni.

Ambientato nella Londra anni ’70, narra di una donna benestante (Carol, ovvero la Bolkan) che sembra aver ucciso la propria vicina (una hippie libertina ai suoi antipodi, interpretata da Anita Strindberg), evidentemente in preda ad un raptus omicida. Quel che è peggio, ella racconta di aver sognato esattamente la sequenza dell’omicidio nel momento stesso in cui avveniva.

I sospetti, nel frattempo, sembrano inizialmente annidarsi sugli abituali frequentatori della casa, sui quali qualcuno sembra voler far ricadere ogni colpa. Peccato che l’ispettore di polizia non sia disposto ad accettare interpretazioni troppo semplicistiche, guidato dal consueto scetticismo che accompagna la sua tipica, direi, figura. Tant’è che anche quando l’indiziata viene temporaneamente arrestata, non crede alla versione ufficiale dei fatti: e gli indizi nel frattempo si complicano, si completano progressivamente fino a svelare la brutale realtà.

C’è tempo per tutte le considerazioni sul movente psicologico: evidentemente la donna uccisa rappresenta per Carol quel livello di libertà assoluta che la sua condizione borghese le impedisce di esprimere liberamente. Al tempo stesso, il rapporto lesbico che avverte di vivere con la hippie uccisa è qualcosa che va contro se stessa, dato che si è ritrovata a sposare un uomo che evidentemente non ama affatto. Al tempo stesso il film ruota attorno al sogno, non tanto nella sua interpretazione letterale quanto nell’idea della finzione che aleggia su di esso.

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L’alibi psicologico della protagonista, comunque, si rivela alla fine solamente un alibi, poichè Carol si scopre effettivamente come l’unica possibile omicida reale della vicenda. Fulci gioca per tutto il film a farci credere che le cose non stiano così, mescolando sapientemente realtà e fantasia, sogno e verità, fino a lasciarci un messaggio di fondo: tutto quello che sognamo di fare, in fondo, siamo nelle condizioni di realizzarlo, anche se dobbiamo essere disposti a pagarne le conseguenze.

La celebre scena di questo film, che vede la Bolkan nel suo aggirarsi all’interno della clinica in cui è ricoverata (e che ricorda quanto si vedrà nell’ospedale de “L’Aldilà…“) è un capolavoro del cinema di genere. In particolare, l’allucinazione con i cinque cani smembrati vivi, con tanto di organi palpitanti bene in vista, assume anch’essa nel suo orrore una valenza fortemente simbolica.

Essa, come quasi certamente saprete, fu talmente realistica per l’epoca che Fulci pare venne costretto a ricreare l’effetto in tribunale per evitare sanzioni per maltrattamento di animali: ovviamente tutto si risolse al meglio per il regista romano, che riuscì a provare la propria innocenza.

Evidentemente questo film, con la sua consueta crudezza, ed il suo scagliarsi contro ogni ipocrisia e perbenismo, era riuscito nell’intento di scaldare gli animi appiattìti che esso stesso attaccava. “Una lucertola con la pelle di donna”, in definitiva, riesce tuttora a farsi beffe di molti prodotti simili & commerciali di oggi: suspance al punto giusto, un buon livello di recitazione, ed una storia intricata, certo, ma al tempo stesso credibile e con una spiegazione degna di un epico: “Elementare, Watson“.

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