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Ab-normal beauty: l’anormale bellezza di Pang

Ab-Normal Beauty è una produzione del regista Oxide Pang del 2004, che fonde alla perfezione molti degli stilemi caratteristici del cinema horror nipponico. Agli spettatori più viziati, in un certo senso, non potrà non venire in mente la saga di The Ring, The Eye (di cui il regista fu il medesimo Pang, assieme al fratello Danny) ma anche la saga di Saw – L’enigmista. Un film a doppia faccia: horror psicologico a tinte oscure nella prima parte, frenetico e degno dei migliori anni 80 nella seconda.

In breve: Pang realizza un buon thriller nel classico stile nipponico. Piuttosto lento nella prima parte, accelera vorticosamente nella seconda.

La storia si sviluppa in una sorta di narrazione introspettiva, incentrata sulla personalità oscura della giovane Jinèy, studentessa di arte dalle spiccate doti e con una passione morbosa verso la fotografia. Dall’inizio del film la sua arte è condivisa assieme all’amica Jas, che sembra provare una torbida attrazione nei confronti della compagna. Improvvisamente Jinèy scopre, dopo aver assistito ad un incidente stradale, che quello che desidera di più è fotografare gli ultimi istanti della vita: la morte in diretta. Congelando quegli istanti in immagini morbose e shockanti, la ragazza non fa altro che esorcizzare un trauma infantile che non ha mai rimosso: un gruppo di ragazzini, tra cui il cugino, che anni prima l’avevano molestata.

Tale ricordo doloros le impedisce di provare sentimenti per il mondo che la circonda, compresa la madre troppo presa dal proprio lavoro ed il giovane ed impacciato collega Anson. La personalità morbosa e crepuscolare di Jiney, quindi, le impone di seguire l’ istinto di procurarsi morbosi book fotografici, effettuare scatti ad animali uccisi, o addirittura riprendere un suicidio in diretta. Appena convitasi a liberarsi di tutte quelle terribili immagini, Jinèy si imbatte in un serial killer che inizia a perseguitarla – prima con semplici fotografie, e poi con una videocassetta contenente quello che sembra uno snuff a tutti gli effetti. Molto presto quelle che non erano che fantasie estreme diventano una realtà cruenta, visto che il maniaco di turno sembra intenzionato a metterle in pratica contro di lei.

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Costellato di sequenze sconnesse azzeccatissime, riempito da tempistiche spesso surreali, dentro Abnormal Beauty il regista rappresenta alla perfezione il mondo di Jinèy, fatto di frammenti di vita tormentati e sensazioni mai pienamente vissute. Alcuni passaggi del film, probabilmente per accentuare l’effetto chiaro-scuro, sono probabilmente troppo stucchevoli per un’opera del genere, riuscendo tuttavia a rendere l’idea in modo tutto sommato “gradevole” (ammesso che sia lecito usare questo aggettivo per un horror).

La caratterizzazione dei personaggi è efficace, anche se alcuni di essi sembrano essere usciti da un manga giapponese, da cui ereditano una certa ingenuità (Anson, che entra nella trama un po’ forzatamente, ad esempio): Jinèy stessa, pur possedendo una personalità affascinante, malinconica e ben delineata, a volte indugia troppo in sguardi fissi nel vuoto, tanto da risultare un po’ finta, se vogliamo. Se non fosse, quindi, per l’indubbio spessore della trama, e per il trauma di fondo – la chiave di lettura del tutto – raccontato con agghiaccianti flashback in bianco e nero, staremmo qui a parlare dell’ennesimo horror adolescenziale, con tanto di serial killer insospettabile e solito corredo di aria fritta. Non si tratta di questo: posso dirlo con certezza, così come rimango convinto che la parte migliore del film sia tutta concentrata nel finale: un crescendo di gore e tensione per la gioia dei cinefili più smaliziati, mentre la prima parte è dedicata a tempestare la mente del pubblico più propenso alle introspezioni intellettualoidi.

Ab-normal Beauty è, in definitiva, uno dei migliori horror recenti che abbia avuto occasione di vedere.

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