Alien 2, sulla terra: lo spinoff italiano di Alien
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Sulla Terra piovono strane rocce azzurre: una di esse viene raccolta da un gruppo di giovani speleologhi.

In breve. Non è il seguito ufficiale di Alien – e si guarda bene dall’esserlo, anche se l’ispirazione nasce proprio dal cult di Ridley Scott. Uno spin-off senza pretese che finisce quasi per mettere la fantascienza in secondo piano, al fine di concentrarsi quasi esclusivamente sulla cruenza degli effetti speciali. Ne risulta un archetipico b-movie italiano, che si lascia guardare con la stessa rapidità con cui si fa dimenticare. Alcune sequenze non sono male – rispetto ai mezzi ed al periodo – altre lasciano un po’ a desiderare, e la recitazione non è sempre eccelsa: non c’è abbastanza sostanza, in altri termini, perchè il film meriti una qualche rivalutazione. Eppure ne parliamo ancora oggi…

Girato in buona parte nelle grotte di Castellana (Bari), “Alien 2 – Sulla Terra” è stato realizzato da Ciro Ippolito, il regista del capostipite trash Uccelli d’Italia: questo non sarebbe di per sè un problema per quanto venga confermata la tradizione che, del genere horror, è sempre meglio che se ne occupino gli “addetti ai lavori” (salvo note eccezioni).

La pellicola, in modo piuttosto elementare e senza ricorrere a troppi mezzi espressivi, racconta di un incontro da parte di alcuni giovani speleologhi con un’entità aliena molto aggressiva, ed il “face the consequences” arriverà fino all’estremo: tutta colpa, come sempre, dell’incosciente curiosità dell’uomo, incapace lovecraftianamente di comprendere i legami oscuri con il mondo che lo circonda ed affetto da forme di imprudenza – come al solito, in questi casi – quasi da ricovero. Della serie: trovi un essere informe sulla spiaggia che respira e palpita e cosa fai? Ovviamente ti avvicini un po’ meglio per farti massacrare: colpiscimi qui, sulla faccia, grazie!

L’ispirazione di questo mockbuster anni 80 non poteva che essere il classicone di Ridley Scott, con cui pero’ questo film condivide poca roba (al netto del titolo), immerso tra molti difetti e rari, singolari pregi. È facile notare altresì una certa somiglianza – più che altro a livello strutturale dell’intreccio – con Zombi 2 di Lucio Fulci, con cui questo film condivide, più o meno letteralmente (e morti viventi a parte) la cruenza di fondo ed il finale apocalittico. C’è da dire, di fatto, che l’atmosfera sarebbe potuta essere decisamente intrigante: lnaa “Cosa” proviene da mondi sconosciuti, e possiede una sinistra e indecifrabile natura, degna – solo sulla carta, per la verità – di un racconto dello scrittore di Providence.

Nella trama di “Alien 2 – Sulla Terra” ci sono tuttavia troppi pochi elementi perchè si possa usare questo abusatissimo aggettivo, cult: ad Ippolito rimase la probabile consapevolezza di quello che stava facendo (un horror low-budget come tanti – o troppi – ne vennero realizzati all’epoca), oltre ad un’uso di effetti splatter non certo indimenticabili, che conferisce a questa pellicola un valore trash cultistico quantomeno al di sopra della media. Tutto il resto, semplicemente, è poca cosa: la pochezza dei mezzi utilizzati, anche se venisse messa in secondo piano o trascurata, finisce per impattare in modo pesantissimo sulla visione, visto che il tutto è estremamente artigianale, il livello recitativo è piuttosto scarso e molte situazioni sono un vuoto riempitivo di cui si sarebbe potuto tranquillamente fare a meno.

Vedere Burt (Michele Soavi), ad esempio, aspirante romanziere che tenta di scrivere a macchina dentro la grotta a lume di candela (sic) fa sorridere almeno quanto il fidanzato che racconta dei poteri paranormali della propria ragazza, tacciati di una ordinarietà non troppo contestualizzata quanto, in fondo, godibile. Belinda Mayne, dal canto proprio, non recita neanche malissimo – e Ippolito la mostra in un paio di scene di nudo probabilmente esclusivamente per “fare cassetta” – ma possiede una poco credibile “aura” sovrannaturale che la rende, alla lunga, quasi irritante.

Questo è visibile quando vive dei momenti di trance in cui dovrebbe rivelare l’Innominabile, e poi si guarda bene dal farlo sussurrando un banalissimo “non lo so“, che fa un po’ crollare il mondo addosso allo spettatore. L’alieno, dal canto suo, è ben lontano dalla perfezione raggiunta nel film di Scott: una massa informe simile ad un “blob” con alcune “zampette” che fuoriescono, del quale non è neanche troppo chiaro come riesca a muoversi, e che il regista tende ad inquadrare il meno possibile (arrivando a riprenderlo in soggettiva, pur di non doverlo mostrare: somme licenze poetiche che soltanto in certi b-movie, per la cronaca).

Se film di questo tipo, partendo da presupposti tutto sommato divertenti – e sui quali la fantascienza di ogni parte del mondo continua a sfornare storie, a ben vedere – viene “arricchita” da perle di questo tipo è chiaro che il livello qualitativo è destinato a crollare. E questo, ripeto, nonostante i presupposti siano incoraggianti, ed il film sia un sostanziale crescendo di gore: più horror che sci-fi, più trash che tensione, da guardare per curiosità – forse anche per “completezza” rispetto alle uscite del periodo – e senza troppe aspettative, rifiutando la logica da “recensore colto” che guarda come minimo Herzog.

Ippolito ha firmato il film, per la cronaca, come Sam Cromwell, mentre Michele Soavi diventerà una delle future icone dell’horror italiano.

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