Bad Taste: lo splatter demenziale di Peter Jackson
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Film d’esordio per il barbuto regista neozelandese, noto ai più per aver realizzato l’epica saga de “Il signore degli anelli” all’inizio del nuovo millennio. In quest’opera cult dello splatter demenziale sangue, frattaglie, disgusto e non-sense costruiscono un intreccio demenziale che è poco più che un pretesto per trovate geniali, genuinamente low-cost e assolutamente Troma-style.

In breve: il manifesto di Peter Jackson delle origini. Prima di iniziare a fare colossal fantasy ultra-diluiti, produceva splatter a basso costo pure abbastanza divertenti, e questo rimane uno degli esempi più clamorosi.

“Non vorrei essere nei panni di quel poveraccio che dovrà ripulire!”

Cerchiamo di immaginare cosa avranno provato inizialmente i fan della saga di Tolkien nel sapere che Jackson, autore di splatter demenziali di cui Bad Taste è senza dubbio uno dei migliori, aveva intenzione di realizzare la notissima trilogia. Un miscuglio di terrore deve aver attanagliato le loro menti, nel chiedersi come diavolo possa essere venuta in mente un’idea del genere all’autore di questo pazzoide frattaglie-horror fatto di cervelli spappolati, alieni venuti dallo spazio, fast-food spaziali e via delirando. Eppure Jackson conosce il genere, e ci sa fare parecchio: giocando e divertendosi con gli stereotipi del genere, e citando a palate i classici dell’horror americano, tra cui “La casa”, confeziona uno splatter demenziale disgustoso, pieno di dettagli anatomici purulenti, di oche spappolate visibilmente finte, di alieni cannibali e della mitica calcolatrice a mo’ di tastierino numerico, con la quale inserire la password per… accedere alla sega elettrica!

Nel film gli abitanti della città neozelandese Kaihoro iniziano a scomparire subito dopo avere dato l’allarme per un avvistamento UFO. A chiarire la situazione, con metodi assai poco ortodossi e fin troppo efficaci, una squadra speciale denominata “The Boys“, armata di pistole, mitra e bazooka, che scoprirà che gli alieni stanno usando carne umana per alimentare una catena di fast-food intergalattica. E come se non bastasse, la casa in cui si annidano gli esseri dalla testa gigantesca non è altro che un’astronave (vedi anche Rocky Horror Picture Show), con la quale tenteranno una disperata fuga finale e saranno terminati a colpi di sega elettrica, presa in prestito probabilmente da Ash Williams (saga di Evil Dead, per l’appunto). Stra-cultistiche molte scene del film, tra cui la pecora colpita dal bazooka, il “boy” che si tuffa dentro il mostro modello kamikaze, alieni che perdono pezzi di cervello strada facendo e vomito verde a go-go: tutto ciò, per chi ama il genere (e non sono tantissimi) credo che renda l’idea di quanto – e perchè – questo film sia talmente considerato anche oggi. Da vedere e riscoprire nelle classiche serate tra amici horrorofili, a patto che siano propensi all’auto-ironia.

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