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Birdman o (L’imprevedibile virtù dell’ignoranza): Iñárritu e la magia del teatro

Riggan, attore decaduto dopo il successo della sua monotona interpretazione del supereroe Birdman, decide di dare una svolta alla sua carriera presentando un lavoro teatrale tratto da What We Talk About When We Talk About Love interamente da lui concepito, diretto ed interpretato. Il ritratto in tempo reale, in un’unico piano-sequenza, delle sue vicende “viste” dall’occhio di chi le ha direttamente vissute.

In breve. Efficace ritratto dai toni satirici della “società dello spettacolo”, leggermente sottotono in alcuni passaggi ma efficacissimo nella critica al cinema commerciale americano ed alla ferocia ingiustificata di chi scrive recensioni. Edward Norton in una delle sue migliori interpretazioni di sempre.

È quasi paradossale scrivere una recensione su Birdman, diretto dal messicano Alejandro González Iñárritu: questo perchè il messaggio di fondo dell’opera sembra scagliarsi giusto contro i recensori “cattivi” (e soprattutto incompetenti), quelli che pilotano i gusti del pubblico e stabiliscono ad arbitrio cosa sia “cool e cosa, invece, non meriti la visione. Giocando con toni da meta-cinema, e senza mai decadere nell’autoreferenziale, il regista propone un cast di tutto rispetto (basti pensare a Keaton, Watts, Stone e Norton) ed amalgama alla perfezione i propri “ingredienti”. Il risultato è un film ben interpretato al di là della trama, e questa è già una buona notizia di per sè (cosa tutt’altro che scontata, nel cinema degli ultimi anni), e rende Birdman un film che fa passare determinati messaggi senza appensantire la visione.

Del resto, ambientare interamente il lavoro in un teatro di Broadway diventa la scusa per mostrarne vizi (tanti) e virtù (poche), seppur abbandonandosi a qualche sequenza un po’ inconcludente, a mio avviso, per non dire fine a se stessa. È il caso ad esempio dell’accennato rapporto lesbico tra Leslie (Naomi Watts) e Laura (Andrea Riseborough), evitabile nella misura in cui non da’ un vero contributo alla storia, oppure il (per me insopportabile) protagonista che vola, letteralmente, mediante un effetto visuale che evoca più che altro la saga di Harry Potter, col rischio, fondatissimo, di risultare involontariamente comico per il pubblico più smaliziato. Chi ama il teatro, del resto, non potrà non rimanere affascinato dalle interpretazioni dei vari personaggi, su tutti un Edward Norton perfetto nella parte dell’ombroso, bizzarro e dotatissimo – in senso prettamente artistico – personaggio di Mike (l’attore di rimpiazzo che creerà non pochi problemi al regista). Personaggio che, per inciso, sembra evocare parecchio il difficile carattere dell’attore, ed il successo della sua interpretazione deriva anche da questo. Altra nota rilevante è che l’amore, idealizzato dal titolo dell’opera teatrale e raccontata dagli intrecci che si formano tra i protagonisti (c’è qualche forzatura anche qui, per inciso), è forse la cosa meno rilevante – puramente decorativa – di tutto il film.

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Iñárritu non è Lynch o Cronenberg (i parallelismi di tono e forma con il suo recente Maps to the stars sono numerosi: anche lì, infatti, vi è un ritratto della società dello spettacolo decisamente decadente), del resto i toni sono più quelli da commedia: certo, mai banali, ma pur sempre commedia dall’umorismo amaro. Birdman merita una visione, perchè trasmette idee forti e chiare, tra cui una spietata “critica alla critica” teatrale, dipinta come incompetenza pura da parte di chi, frustrato, non sarà mai un vero artista (ecco perchè scrivevo all’inizio che è quasi grottesco recensire questo film), rappresentata da una figura detestabile per il pubblico fin dal primo minuto (un recensore al femminile che esagera fino al parossismo il proprio “avere il coltello dalla parte del manico“). Al tempo stesso, il tormentato protagonista (un Keaton sempre cangiante, e piuttosto in forma) demolisce la facliloneria del cinema americano mediante un efficace alter ego, una “voce interiore” rappresentata dal supereroe BirdMan, che serve a criticare il vuoto voler entusiasmare il pubblico (ad esempio quello dei fan dei supereroi) sfruttando in eterno gli stessi, logori e scontati meccanismi. Il finale, poi, mette a nudo il malessere che accompagna l’eroe della storia, mostrandone il carattere a 360° e, di fatto, dando al pubblico un lavoro che è molto probabile che possa diventare di culto tra qualche anno.

Girato in due mesi quasi interamente al St. James Theatre di Broadway, Birdman è interessante anche per la tecnica di ripresa: un piano-sequenza che dura quasi tutto il film (sono presenti solo 16 tagli, ed il regista ha fatto in modo di dare massima continuità alle riprese “spezzandole” il meno possibile), e per effettuare il quale gli attori hanno dovuto recitare fino a 15 pagine di dialoghi alla volta. Lo script, inoltre, si basa ufficialmente su una presunta riduzione teatrale di What We Talk About When We Talk About Love di Raymond Carver, anche se – interpretazione a mio avviso più interessante – secondo alcuni si tratterebbe di una rivisitazione del Macbeth di Shakespeare, in cui Keaton interpreta il re e Birdman rappresenta Lady Macbeth, colei che spinge costantemente il protagonista ad essere e fare ciò che più desidera. Alcuni elementi, tra cui l’attore di strada che recita dei versi del Macbeth e gli alberi danzanti che si vedono sul palco del teatro, sembrano dare conferma a questo tipo di idea.

Fonte: http://www.imdb.com/title/tt2562232

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