Brain damage – La Maledizione di Elmer: splatter ottantiano allo stato puro
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Un uomo si sveglia in una pozza di sangue: un alieno dalla singolare forma di verme è entrato nel suo corpo, e gli provoca un gradevole effetto allucinogeno. In cambio, la creature esigerà cervelli di cui cibarsi.

In breve. Horror a basso costo dignitoso e sostanzialmente ben riuscito: uno dei motivi per cui Henenlotter è diventato un regista di culto.

Girato con un budget di circa 600.000 dollari, questo film è uno degli horror definitivi nell’ambito dei b-movie: la menzione di Brain damage, che fa coppia con l’altro film dello stesso regista (Basket case), necessita di una breve digressione sulla sua stessa carriera: una carriera più complicata della media, a ben vedere.

Regista e scrittore di sceneggiature essenzialmente horror (per quanto Henenlotter preferisca un appellativo più generico quale exploitation), si tratta di un cineasta artigianale, vulcanico e impossibilitato a lavorare come vorrebbe da almeno 30 anni. Il suo cinema è exploitation nel senso più crudo (trash, privo di fronzoli, portato naturalmente all’eccesso, modello black comedy, molto gore), e al tempo stesso è parzialmente simbolo di qualcosa: se Basket case usava lo splatter (anche) per metaforizzare in modo estremo le relazioni tra individui, in Brain Damage l’alieno che si impossessa del corpo del protagonista procura al protagonista gli stessi effetti di un mix di droghe. L’idea di un alieno che si impossessa organicamente delle persone (il verme entra nel cervello attraverso la nuca, per inciso) e ne figura la dipendenza è, senza dubbio, una deviazione notevole dalla norma (molto spesso nei film americani gli alieni rappresentano più banalmente un “nemico” della nazione).

In un’intervista del 2008 al sito Offscreen, Henenlotter racconta l’omologazione del mercato cinematografico già ad inizio anni ’90, per la quale nessuno, ad un certo punto, sembrava interessato alle sue idee (e, viceversa, aveva perso gli stimoli a girare le proposte che gli arrivavano). Tanto che, da allora, Henenlotter preferì rimanere completamente fermo a livello produttivo, al netto di qualche sporadico film più recente (Bad Biology è del 2008). Brain damage, in tal senso, pur nella sua semplicità di concetto, rappresenta in questo contesto una vera e propria perla del genere.

Nella prima sequenza riusciamo subito ad inquadrare uno stile ben focalizzato: ci troviamo in un horror low-cost paradossale e tendente al paradosso – basta vedere l’anziano che consegna un cartoccio di cervelli alla moglie, destinati al piccolo Elmer (la goffa teatralità con cui esprimono la preoccupazione per averlo smarrito è già di suo leggendaria, per quanto il pubblico non capisca subito cosa sia successo). Il problema è che lo stesso, nel frattempo, sembra essere evaso attraverso i tubi di scarico (in questa sede la trama odora sapientemente di urban legend), e finirà da un vicino di casa della coppia, rimasto a dormire più a lungo del solito per via della sonnolenza indotta dal parassita. Subito dopo inizieranno le allucinazioni: il protagonista vedrà un liquido azzurrino inondargli la stanza (e il cervello: con tanto di primi piani sull’interno del suo corpo!) e provocargli un effetto estasiante, come uno stupefacente. Successivamente lo farà uscire di casa alla caccia di cervelli da procurare al suo ospite.

Alieno che, è bene ricordare, è caratterizzato in modo paradossale fin dall’inizio: non è gigantesco e non ruggisce in modo spaventoso come Predator, per intenderci, ma è molto piccolo di dimensioni (è una sorta di verme gigantesco) e possiede pure una voce impostata, fa discorsi forbiti (a doppiarlo nell’originale è John Zacherle, cantante e presentatore TV – scomparso nel 2016 – di vari format incentrati sul genere horror). Non solo: è anche un ottimo cantante, probabilmente sulla falsariga del fatto che Zacherle aveva realmente registrato vari album, e la sequenza con il verme canterino nel lavandino di Brian è di culto per eccellenza. Il patto tra i due è chiaro: l’alieno procurerà un mix di sensazioni al protagonista (tra euforia sconsiderata, allucinazioni, totale rilassamento ed ovviamente crisi di astinenza), e in cambio userà il corpo ospite come esca per procurarsi cervelli umani di cui nutrirsi. Brian è disgustoso quanto ridotto di dimensioni, ma è incredibilmente vorace, con due occhietti simpatici e, ovviamente, è dotato di orribili denti (il contrasto con la sua voce composta, da talk show, rimane un capolavoro del grottesco).

L’accostamento tra il tragico (la dipendenza da droghe) ed il comico (il modo di esprimersi dell’alieno) crea un mix accattivante che rende, ancora oggi, il film oggetto di curiosità da parte del pubblico, che troverà in questo onesto b movie spunti divertenti e inaspettati.

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