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Cannibal Ferox: durissimo e insostenibile ancora oggi

Per consolidare una tesi sul cannibalismo visto come “mito” imposto dall’uomo bianco, un’antropologa si reca in Amazzonia presso un’autentica tribù.

In breve: film non per tutti, certe scene possono turbare i più sensibili. Il messaggio di fondo rimane sostanziale, ma il linguaggio utilizzato è decisamente crudo ed esplicito.

L’intreccio è sostanzialmente composto da due storie, entrambe costituite da bianchi in cerca, dentro la regione amazzonica, quando di smeraldi (uno spacciatore) quando di gloria (la laureanda). Il primo è un cinico calcolatore, che assieme ad un amico si trova sul posto per recuperare quattrini dopo aver fregato una banda di spacciatori di New York. Giunto sul posto entra in contatto con un indio che sembra sapere dove si nascondono le pietre preziose: sotto l’effetto della cocaina, si auto-convince che lo stiano prendendo in giro, e massacra il suo intermediario senza pietà. Nel frattempo entra in contatto con il gruppo di ricercatori, con cui tenterà una disperata fuga da quella regione: il contatto coi selvaggi avrà ovviamente sapore di feroce vendetta, che non guarderà in faccia niente e nessuno.

Il cannibalismo non esiste, è un semplice mito perpetuato dall’uomo bianco e dominatore, utilizzato come paravento per lo sfruttamento del selvaggio e combattere uno stereotipo suggestivo di cannibal ferox“.

Questa, in sintesi, la tesi portata avanti dall’antropologa protagonista (Gloria Davis, interpretata dalla Lorraine De Selle già vista in “Quella villa in fondo al parco“), che si fa accompagnare dal fratello e da un’amica (Zora Kerowa) all’interno di una tribù amazzonica di selvaggi, al fine di procurarsi prove documentali di quello che sostiene. Inutile sottolineare che troverà testimonianze in verso esattamente contrario.

Un film detestato e messo al bando da molti per via delle ultra-realistiche violenze contro gli animali: Lenzi, per dare l’idea della legge della giungla, mostra belve che si mangiano tra di loro oltre ad una testuggine ed un coccodrillo smembrati dai selvaggi. Se si trattava di trucchi, furono fin troppo realistici: se invece furono reali, come molti diedero per scontato, teoricamente dovrebbe trattarsi di testimonianze documentaristiche di ciò che quei popoli comunque usano effettuare lontano dalle telecamere.

Al di là di qualsiasi congettura sulla veridicità o sul mito di determinate scene para-snuff, comunque, Cannibal Ferox – oltre a fare denuncia sociale dell’ipocrisia dell’uomo bianco (forse un po’ scontata, ad oggi), non sarebbe null’altro che un documento storico certamente molto controverso e discutibile, ma quantomeno reale (ovviamente solo per quanto riguarda la barbara esecuzione degli animali che viene mostrata). Sta di fatto che il film è entrato nel guinness dei primati (!) per essere stato bandito in ben 32 paesi del mondo, ma – paradossalmente – adesso gira una versione uncut a prezzo non certo economico, per cui rimane il fatto che un minimo di interessamento verso questi prodotti, che sia esso ottimisticamente documentaristico o più realisticamente morboso, è rimasto sempre costante.

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Forse, a tale riguardo, aveva ragione Joe D’Amato quando affermava che la violenza dei suoi film era semplicemente ciò che gli veniva richiesto dal pubblico.

Lenzi confeziona un cannibalmovie estremo, molto violento e realistico, ricco di splatter ed in cui la trama può essere vista come una sorta di pretesto per confezionare sociologia (un po’ spicciola, secondo alcuni, oltre che visivamente molto esplicita). In effetti farei brutalmente questo tipo di discorso se non fosse per l’incredibile (e molto efficace) finale, nel quale l’unica sopravvissuta seppellisce tutte le crudeltà che ha visto, discute ugualmente la propria tesi di laurea sul “mito” del cannibalismo e fa assestare uno sonoro schiaffo poco politically-correct al mondo accademico, dipingendolo come eccessivamente miope rispetto alla realtà. Ovviamente si tratta di un parossismo che potremmo estendere all’umanità tutta, con tutte le conseguenze del caso.

Si possono dunque obiettare una molteplicità di argomenti, ma – ammesso che l’argomento sia il “buon gusto” o l’opportunità di “travestire” uno snuff da film – resta il fatto che Cannibal Ferox è un film violentissimo, stomachevole, discretamente recitato e con una buona  trama, di quelle che non lasciano speranza ed evidenziano ripetutamente la crudeltà umana. Quest’ultimo viene dipinto da Lenzi come un valore assoluto, non relativo, che accomuna affaristi  senza scrupoli occidentali a selvaggi che sfregano pietre per ottenere il fuoco. Tra le scene più raccapriccianti del film: i terrificanti ganci nel seno di Zora Kerova, ma soprattutto l’evirazione (in primo piano!) e decapitazione dello spacciatore, scene che rendono “Cannibal Ferox” un prodotto non per tutti e che metterà alla prova più di uno stomaco.

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