Colour from the dark: il colore venuto dallo spazio (di Zuccon)
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Pietro e Lucia abitano in una casa di campagna isolata dal resto del mondo, assieme alla giovane sorella di lei (Alice). La ragazza è affetta da una strana malattia che le fa vivere singolari allucinazioni, ed il tutto sembra ricondursi ad una misteriosa presenza nel pozzo vicino casa…

Liberamente tratto dal lovecraftiano “Il colore venuto dallo spazio“, e fatte le doverose premesse per i fan dello scrittore (vedi qui e qui), Zuccon presenta la storia ambientandola interamente nell’Italia del 1943, coniugando gli orrori della guerra con quelli della generica follia e, in parte, della religione. Trattasi di una rielaborazione del noto racconto “Il colore venuto dallo spazio“, mentre – dal canto suo – il regista sembra seguace dello spirito “sovversivo” che, shockando senza preavviso, fece traballare le certezze del pubblico americano qualche decennio fa. Al tempo stesso si tributa onestamente la scuola italiana di Fulci e Soavi, con il suo orrore inquietante, fisico e spesso irriverente.

Senza conoscere il racconto originale, del resto, l’influenza del cult di William Friedkin “L’esorcista” sembrerebbe essere stata pesantissima: tuttavia pensare ad un mero remake a basso costo di tale capolavoro (del quale non sono mai stato un fan, per la cronaca) appare limitativo e profondamente ingiusto rispetto al lavoro svolto. Quindi attenzione a non cadere in tentazione (!), anche se alcune scene non potranno che evocarne l’atmosfera malsana, e tenendo conto che le conclusioni sono molto differenti. Zuccon traspone abilmente il racconto di Lovecraft, e non era facile: descrivere la “cosa colorata” che alberga nel pozzo è già complicato in una recensione, figurarsi filmarla… cosa che invece è stata realizzata con intelligenza e (a mio parere) grande efficacia. Il regista ha lavorato con sicurezza dietro la macchina da presa, ed è riuscito a spaventare dosando abilmente sangue, allucinazioni e splatter (poco), imponendo un ritmo lento agli spettatori e deliziandoci con “scatti da cento-metrista” intensi e paurosi. Sembra quasi, a mio parere, che il “burattinaio oscuro” che domina progressivamente le menti dei protagonisti crei un inquientante parallelo con le sensazioni che il regista suscita nello spettatore: un film coinvolgente, dunque, a dispetto della spocchia media di certo pubblico e della sua tendenza irresistibile a ridicolizzare i film a basso costo.  Esattamente nello stesso modo in cui i tre contadini sono coinvolti dalla vicenda, urlano inizialmente al miracolo e progressivamente perdono se stessi, Zuccon “gioca” con le paure dello spettatore, indagando dentro un incubo sovrannaturale a tinte scurissime.

A livello concettuale mi pare, inoltre, che si tratti di una trasposizione più nichilista che in qualsiasi modo “spirituale”: è il Nulla, l’Oscurità lovecraftiana ad essere rappresentata, ed il messaggio che passa è che forze oscure regolano i destini umani e non saranno mai pienamente note. La presenza del demonio, di fatto, è rappresentata esclusivamente dagli occhi dei protagonisti: semplici contadini isolati dal mondo che, infatti, finiscono per attrarre un prete – e non un medico, ad esempio – ai primi sintomi di malattia. Un male universale, capace di illudere e di far crescere ortaggi di bell’aspetto, salvo poi farli appassire inesorabilmente; un Male, in definitiva, non semplicemente anti-cristiano bensì, più coerentemente, anti-umano. Ciò che era riconducibile ad un’entità aliena nel racconto originale diventa un “IT” (e viene chiamato sempre così), un “Qualcosa” che non perde occasione per sottolineare la propria miscredenza e onnipotenza, manipolando i personaggi come se fossero burattini ed adulandoli con inganni crudeli, spesso di natura sessuale. A tal proposito sarebbe ingiusto non sottolineare, a parte la buona interpretazione di Michael Segal e Eleanor James, l’abilità delle due sorelle Debbie Rochon (veterana scream queen ben nota ai fan Troma) e Marysia Kay, capaci di interpretare sia caste donne di campagna che “bombe” sexy e provocanti, in un miscuglio di eros e orrore quasi d’altri tempi.

Il colore venuto dallo spazio è giustamente consideratoun dramma sull’indifferenza della natura alle tragedie umane” (la definizione è di Giuseppe Lippi, curatore italiano di Lovecraft), e Zuccon ha probabilmente scelto il modo più opportuno per omaggiare questa definizione: con pochi mezzi, senza strafare, con buoni attori, con uno script solido ed un discreto numero di effetti. Alcune scene sono cult già da sè, tra cui le serpentine mutazioni (fisiche e mentalI) dei protagonisti e le atroci pugnalate ripetute (non aggiungo altro per non fare spoiler gratuiti). Non mancano i difetti, ovviamente, riscontrabili in una location forse troppo spartana (è la stessa dove Brass girò Miranda, by the way) e in un finale che ad occhio (sperabilmente non di prete…) mi sarei aspettato più movimentato.

Direi in definitiva che si tratta di un buon film low budget, ed è un peccato che in Italia sia così difficile vederlo: è probabile del resto che l’argomento “demoniaco” non abbia giocato a favore della diffusione, rispetto al consueto framing che va per la maggiore nel nostro paese. “Colour out of dark” è disponibile mediante la Distribuzione Indipendente nelle piccole sale dall’inizio di marzo, e anche direttamente online (per inciso: gran cosa questa videoteca sul web, speriamo che i titoli crescano).

Unico piccolo freno al pubblico italiano è il fatto che il film è in inglese (sottotitolato in italiano), visto che il doppiaggio non è stato effettuato per i ben noti problemi di distribuzione: esce in Italia ben quattro (!) anni dopo l’uscita internazionale, all’estero è stato molto amato a quanto si legge, e finalmente – è il caso di dire – possiamo vederlo anche noi.

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