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Il gioco di Gerald: uno dei migliori horror di Netflix (M. Flanagan, 2017)

Nella speranza di salvare un matrimonio a pezzi, Jessie e Gerald Burlingame si recano in vacanza nella casa di lei sul lago. Gerald muore improvvisamente durante un gioco sessuale, lasciando la consorte ammanettata al letto…

In breve. Adattamento cinematografico decisamente coinvolgente dal celebre romanzo kinghiano; c’è spazio per introspezione, paura, e la scoperta di un passato terribile e sepolto. Horror particolare, soprattutto, perchè più di parola che visivo o di situazione; da vedere.

Per cercare le origini del romanzo da cui è tratto questa produzione Netflix bisogna tornare al 1992, anno di sostanziali conferme dei vari successi di Stephen King, quasi consecutivi ed incessanti tra loro. Particolare come stile narrativo, soprattutto, visto che buona parte della storia vive sui dialoghi interiori della protagonista. Del resto è facile intuire che la fama di questa storia (e questo adattamente di Flanagan non fa eccezione, credo) sia dovuta all’ambientazione claustrofobica, soprattutto perchè determinata da un gioco erotico andato male. Lo stesso a cui molti altri potrebbero aver pensato nella propria vita di coppia e di cui King si impossessa con fermezza, proponendoci un feroce what if (quasi da “manuale pratico dello scrittore horror”): cosa succederebbe se una donna restasse incatenata al letto, all’interno di una casa isolata?

Se sembra che la componente erotica del film giochi un ruolo dominante nella storia, in realtà si tratta solo di un pretesto per fare emergere orrori decisamente più perversi: e sono orrori che hanno a che fare con la natura violenta dell’uomo. Il panico, complessivamente, è il vero protagonista: e questo non solo perchè la situazione appare disperata fin dall’inizio, ma anche perchè esistono dei segreti sepolti nella mente di Jessie che dovrà, tra un sussulto ed un incubo, rievocare e combattere. Del resto il tempo non manca, ed il regista sembra prenderla per le lunghe: quasi due ore film, probabilmente al limite per un lavoro del genere. Flanagan è diretto, brutale nelle sue sequenze ma mai gratuito, e soprattutto lascia intatto il sottotesto anti-sessista che è alla base della storia. Chiaro che, in questo caso, lo stile non poteva allontanarsi da pellicole analoghe (viene subito in mente Buried, tra i recenti: lì il concetto era ancora più estremizzato per quanto, se vogliamo, idealizzato); sono due, pertanto, gli aspetti che meritano di essere citati ed esaltati de “Il gioco di Gerald”.

Il primo è l’universo che l’intreccio è in grado di spalancare, a partire dalla semplice camera da letto della casa delle vacanze di una coppia, sia pure con qualche differenza rispetto al romanzo originale. La metafora dell’eclissi come inizio del trauma, la figura dell’uomo che si affaccia nella stanza, il cane che sembra non aspettare altro che divorare il prossimo cadavere. Sono i classici archetipi dell’orrore, in sostanza, in particolare quello anni 80 e 90 tipicamente americano, con l’aggiunta di una sana dose di introspezione esplicata da dialoghi lunghissimi e molto sentiti, molto drammatizzati e molto più lunghi di quelli di un horror “medio”. Il secondo aspetto, poi, è lo stile delle riprese, oscure e sinistre quanto portatrici di una singolare e semplice trovata: fare apparire un “doppio”, truccato in modo leggermente diverso dall’originale, sia di Gerald che di Jessie. Una trovata surreale, onirica e quasi lunchiana in cui la donna (la saggezza) e l’uomo (l’istinto) sembrano in grado di consigliare o plagiare la protagonista. Questo incessante cambio di prospettiva arriva quasi sempre senza preavviso, e ciò provoca il giusto grado di sorpresa, a mio parere, senza stancare o disorientare troppo il pubblico.

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I singoli personaggi dicono tanto, in tutto questo: se Jessie appare come vittima di circostanze traumatizzanti sepolte dall’infanzia, Gerald è il marito possessivo ed egoista, che non nasconde di disprezzare le donne e di possedere una natura violenta tra le righe (cosa che lo accomuna, del resto, alla figura inquietante del padre di Jessie). Al tempo stesso, Gerald sottomette e sembra conoscere fin troppo bene la consorte, la quale cerca di fortificare la propria reazione solo gradualmente (in questo ci sono dinamiche che potrebbero ricordare, almeno in parte, quelle tra Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave, un film peraltro “kinghiano”, almeno in parte). Il fatto che sia legata ad un letto, a questo punto, non fa che rappresentare il suo viaggio di dolorosa rinascita e riscoperta di se stessa.

Se il romanzo originale era un horror onirico e sinistro, con una forte componente psicologica ma al tempo stesso narrato come una favola nera (nel romanzo è la ex compagna di college di Jessie a sostenerla e spingerla a reagire, tanto da essere quasi il “motore” dell’intreccio), questo film rimane fedele ai contenuti ed allo spirito dell’originale, esasperando l’aspetto introspettivo (qui è il “doppio” di Jessie a spingerla a reagire e scavare nel proprio passato). Differenze su cui potranno divertirsi i fan, e che nulla tolgono ad un horror girato con perizia ed i giusti toni, che pur nel suo equilibrio non manca di sequenze al limite del sostenibile (Jessie che si ferisce atrocemente, pur di provare a liberarsi: una sequenza dura ed interminabile). Fosse stato un po’ più breve, sarebbe stato il film perfetto: comunque da vedere.

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