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Dal 1971: “La coda dello scorpione” di Sergio Martino

Raro esempio di cinema di genere italiano senza titolo chilometrico, “La coda dello scorpione” è un giallo a tinte horror di Sergio Martino che segue la scia inventata e “benedetta” in qualche modo da Dario Argento.

In breve. Discreto film, non un capolavoro ma tra i migliori del genere: la trama procede senza grosse forzature, in certi momenti l’intrigo sembra degno di un film di Hitchcock e non ho rilevato i classici “buchi” che abbondano in film di questo tipo.

Una donna incassa un’assicurazione sulla vita del marito da 1 milione di dollari, e dopo diverse minacce rimane vittima di un omicidio. Le indagini volgono inizialmente in un modo abbastanza confuso, nel classico meccanismo che vede tutti coinvolti e tutti potenziali indiziati. Fino ad arrivare ad un inaspettato finale che mostra come spesso la realtà più semplice ed ovvia possa coincidere con l’agognata verità. Inaspettato ovviamente per chi non colga i dettagli rivelatori nascosti nella prima e nella seconda metà dell’opera…

L’interpretazione degli attori è certamente a buoni livelli: tra gli altri, sopra le righe abbiamo l’interpretazione del commissario di polizia Luigi Pistilli (lo scrittore de “Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave”), l’icona del genere George Hilton e la splendida giornalista Anita Strindberg. Il regista probabilmente abusa visivamente delle generose forme di quest’ultima, ma in fondo questo rende tale film ignoto ai più ancora più “cult”. Neanche a dirlo, il titolo riguarda un particolare non da poco per la spiegazione dei misteri…

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Se ci fosse bisogno di dirlo, sembra in più di un’occasione di assistere ad un tributo a Dario Argento: camera fissa, bambole senza occhi, quadri inquietanti, omicidi scenografici (tuttavia non eccelsi). Molto originale l’utilizzo dello slow-motion nella scena in cui l’asssassino tenta di forzare una porta e la povera vittima di turno corre per cercare di bloccarla. Non a caso, poi, la prima scena “clou” avviene sul palcoscenico di un teatro – e come in Quattro mosche di velluto grigio si assiste ad un tentato omicidio anche lì! Non voglio pensare ad un plagio, sia chiaro, tuttavia certe scelte stilistiche sono certamente dettate da quanto ha “deciso” Argento coi sui primissimi film. Insomma, gli appassionati del genere troveranno pane per i propri denti, al di là del tasso erotico del film e della violenza esplicita di alcune sue scene (bottiglia scheggiata in un occhio, “tagli” chirurgici dell’assassino, finta autopsia).

Da vedere per curiosità, se non l’aveste già fatto.

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