La moglie dell’astronauta: la fantascienza che riuscì solo in parte
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Una coppia di astronauti esperti subisce, durante una missione in orbita, quella che sembrerebbe una tempesta magnetica, attraversando due minuti in cui perde i contatti con la Terra: rientrano a casa, e nessuno dei due sembra aver voglia di raccontare cosa sia accaduto. Quale mistero si nasconde in quei due, interminabili minuti di oscurità?

In breve. Modesto b-movie che riesce solo a metà: presupposti inquietanti, buon ritmo dall’inizio ma il film si perde, passo dopo passo, nel “già visto”, dissolvendosi come un biscotto economico nel latte bollente – e rivelandosi, purtroppo, poca cosa.

La moglie dell’astronauta” fa parte di quella fantascienza di “basso livello”, dai tratti dichiaratamente b-movie – e con impianti/effetti visuali decisamente modesti, che cerca di fare leva sulle interpretazioni degli attori (l’impianto ricorda vagamente L’arrivo di Wang), genere da sempre contrapposto alla sci-fi più pretenziosa (il recente Interstellar). Da un film del genere ti aspetti un livello di cultismo che deriva da più fattori: la coppia di protagonisti (di solito Deep è una garanzia), il regista poco conosciuto, l’ambientazione nello spazio (almeno in parte), lo sviluppo imprevedibile della storia. Invece lo spettatore che riprenda questo film oggi, all’epoca strombazzatissimo, non potrà che restarne deluso: in effetti al botteghino fu un flop, e questo nonostante la presenza della Theron e di Deep, che ne escono pressappoco a testa alta, ma senza riuscire a convincere quasi nessuno.

Se è vero che i presupposti del film non sono da poco, e che i primi 20 minuti serrati, brutali ed imprevedibili illudono lo spettatore di stare per assistere ad un masterpiece, il resto del film si dilegua in poco o nulla: e a niente serve la figura ambigua, e progressivamente tenebrosa, di Deep, da marito amorevole ad inquietante individuo capace di perseguitare la moglie-vittima, e minacciarla (senza un motivo troppo chiaro, peraltro). Motivo che poi, a metà film, inizia a diventare più nitido fino a svelarsi nella sua interezza: ma anche qui, la rivelazione è fiacca, e la sostanza della stessa rischia di fare quasi più sorridere che altro. Questo genere di difetti mette in secondo piano anche la mancanza di continuity di alcune sequenze, difetto trascurabile in un film del genere e che qui, invece, diventa determinante in negativo. Non è un caso, del resto, che buona parte di quanto mostrato – inclusa i suoi semplicistici concetti di “umanità allo sbando”, e di “altri mondi” ostili ed infidi – si possa prestare più ad una parodia modello South Park che altro.

La Theron, di suo, emerge come figura iconica, donna-simbolo anche piuttosto credibile e ben interpretata, e questo per ciò che viene tirato in ballo nella storia (su tutto, la tematica dell’aborto ed il disprezzo della società “per bene” contro chi compie tale tragica, quanto spesso inevitabile, scelta): serve a lasciare un che di dignitoso al tutto, in un certo senso, ma non basta a salvare “The Astronaut’s Wife“, lavoro che zoppica lo stesso, passo dopo passo. Quello che non funziona in soldoni è proprio l’impianto generale della storia, troppo poveristica nel suo allestimento, troppo semplificata e scontata in certi passaggi e forse, credo, troppo poco legata al cinema di genere “che conta”, affidato ad un regista con troppa poca esperienza (nelle mani di John Carpenter, tanto per dire, lo stesso soggetto sarebbe forse diventato ben altro).

Se non parlassimo di un film a mio avviso fiacco ( di un’occasione persa, in un certo senso), bisognerebbe spendere qualche parole sul finale della pellicola: un finale a sorpresa, se vogliamo, in cui il tema è quello dello sconosciuto che assume le sembianze di una persona amata, e diventa in grado di impadronirsi della sua vita, senza che la vittima possa accorgersene in alcun modo. Neanche malissimo come conclusione da fanta-horror, ma in giro c’è molto di meglio e, soprattutto, non ce n’è abbastanza per ridimensionare la fama non esaltante che La moglie dell’astronauta possiede. Esiste anche un finale alternativo, sul quale sorvolo perchè comunque non sembra cambiare troppo la sostanza.

Rand Ravich, dal canto suo, dopo questo film ed un precedente corto non ha fatto più nulla in veste di regista (non a caso, verrebbe da pensare), dedicandosi invece a sceneggiatura e produzione. Se resta vero che molte critiche rivolte a “The Astronaut’s Wife” sono piuttosto gratuite, resta la considerazione realistica su un film che poteva dare molto di più, e che si appiattisce fotogramma dopo fotogramma fornendo solo tensione a sprazzi.

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