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Il cinema di Mario Bava: “La ragazza che sapeva troppo”

Nora, giovane appassionata lettrice di gialli, arriva a Roma in aereo e conosce un individuo che viene arrestato poco dopo l’atterreggio: turbata per quanto successo, si reca a trovare un’anziana zia nel centro della capitale, finendo poco dopo coinvolta a testimoniare un orrendo delitto…

In breve. Formalmente si tratta del primo vero giallo all’italiana: quasi tutti gli archetipi, gli stili, le dinamiche di scena sono riportate fedelmente all’interno di un film davvero interessante, che bilancia macabro ed ironia con grande classe e che risente ancora oggi solo in parte del peso dell’età.

Ispirato chiaramente, fin dal titolo, al notissimo film di Alfred Hitchcock “L’uomo che sapeva troppo“, viene introdotto da una suggestiva voce fuori campo (che accompagnerà la narrazione modello noir), che presenta l’arrivo all’aeroporto di Fiumicino di Nora Davis, arrivata a fare visita ad un’anziana zia che abita nei pressi di Piazza di Spagna. Nonostante qui manchino i funambolismi che di solito soffocano i personaggi del regista e produttore britannico, bisogna riconoscere che “La ragazza che sapeva troppo” affascina, conquista ed intriga, riuscendo a risultare poco scontato nel suo concepimento, per quanto le motivazioni dell’assassino possano diventare chiare, se viste oggi, un po’ prima che il film finisca. Varie poi sono le macchiette, i personaggi ironici, le figure rivelatrici capaci di tenere in piedi molto dignitosamente la trama, sempre – se ci fosse bisogno di dirlo – con l’eleganza ineguagliabile che contraddistinse Mario Bava.

Sarà l’inizio di un incubo, che pero’ – molti trascurano di ricordare, in effetti, Bava sembra voler spiegare sfruttando l’arma dell’ironia: Nora ha probabilmente fumato una sigaretta di marijuana, ed è questo il motivo per cui viene lasciata una certa ambiguità su come effettivamente si siano svolti i fatti. Tensione, intrighi e paura sono quindi gli ingredienti basilari di questo lavoro: non male per un film dei primi anni sessanta, ambientato nell’Italia non certo all’avanguardia su questi temi per l’epoca, e molto prima che arrivassero gli anni 70 e le loro psichedeliche visioni allucinatorie su pellicola. Questo dovrebbe far capire quanto possa essere interessante questo film oggi, sia per la storia in sè che per l’interpretazione di John Saxon e dell’affascinante Leticia Romàn, sempre intensa ed altrettanto autoironica, che non si riesce a capacitare – come già vari personaggi argentiani – di cosa realmente abbia visto: ha forse sognato un omicidio? Ha rivisto un delitto consumato dieci anni prima? Come è stata davvero coinvolta all’interno della vicenda? Tutte domande che riescono ad affascinare lo spettatore, fino ad una sorta di “doppio finale” davvero emblematico di un certo cinema giallo a venire (Lenzi, Fulci, Argento), e soprattutto senza dover ricorrere agli eccessi exploitation da cui molti registi (e produttori) si fecero trascinare in seguito.

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Tra i luoghi più importanti del film, ricordiamo ovviamente la scalinata di Trinità dei Monti (dove avviene l’agguato notturno), il portone di casa di Valentina (sulla destra della scalinata, in corrispondenza di quella che oggi dovrebbe essere la Keats-Shelley Memorial House, la casa in cui è morto il poeta inglese John Keats – ricordato sul posto con il nome di Giovanni Keats), il Foro Italico ed il Palazzo del Ragno di Quartiere Coppedè.

Il killer de “La ragazza che sapeva troppo“, idealmente “nonno” o “zio” di quasi tutti gli assassini argentiani, indossa impermeabile, guanti e cappotto nero, segue l’ordine alfabetico per uccidere le proprie vittime e questo, per quanto rende “telefonata” la vittima numero quattro – D come Nora Davis – alimenta l’idea nello spettatore di una specie di “congiura” collettiva contro la protagonista, favorendo l’immedesimazione nel lettore pur senza degenerare nelle paranoie ossessive rappresentate, qualche anno dopo, da Polanski. In breve La ragazza che sapeva troppo, pur non essendo certamente esponente dell’horror che ha reso famoso Bava nel mondo, rappresenta una notevolissima escursione nel genere, ed è irrinunciabile per qualsiasi amante del giallo all’italiana.

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