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Gelidi, pallidi giovani vampiri: “Lasciami entrare” (T. Alfredson, 2008)

Oskar è un ragazzino vittima di bullismo che vive con la madre divorziata: presto conosce Eli, una misteriosa vicina di casa, da cui rimane  subito intrigato: nel frattempo qualcuno commette degli efferati omicidi nella zona, un isolatissimo quartiere svedese…

In breve. Riduttivo, in questo caso, parlare semplicemente di horror, perchè Alfredson tira fuori un film davvero unico nel suo genere, che mette in ballo relazioni sociali e problematiche familiari utilizzando, come fece in modo embrionale King nelle sue “Notti di Salem“, il vampirismo come linguaggio per raccontarlo. “Lasciami entrare” non è mai appesantito nella narrazione, vive un’atmosfera surreale e merita appieno la visione.

Se state cercando un horror fuori dai canoni, l’avete trovato: se siete alla ricerca di un film recente sui vampiri che scansi gli stereotipi emo diffusi in broadcast da qualche anno, eccolo qui. Se state cercando un film che affronti un tema sociale come il bullismo in modo garbato, e a tratti favolistico, questo è proprio “Lasciami entrare“. Tratto dal romanzo del talento letterario svedese John Ajvide Lindqvist, autore tra gli altri de “L’estate dei morti viventi” (si veda qui per maggiori informazioni) oltre che, qui, autore della sceneggiatura, narra – in un paesaggio svedese tanto gelido e surreale da sembrare favolistico – la storia di due ragazzini, vicini di casa, che fanno amicizia nel cortile del palazzo: il primo è Oskar, un ragazzo introverso ed insicuro che abita lì con la madre divorziata, la seconda è Eli, una ragazzina dall’aria pallida e molto misteriosa che vive con quello che sembra essere l’anziano padre. Fin troppo anziano, per la verità, tanto che si scoprirà molto presto la sua natura: si tratta di una piccola vampira che ha bisogno di sangue per vivere, e che l’anziano coinquilino gli procura uccidendo chiunque gli capiti a tiro. Immergendo lo spettatore in uno scenario silente e perennemente innevato, fatto di numerosi silenzi – molte scene topiche sono riprese programmaticamente da lontano – Alfredson calibra ogni ripresa nel minimo dettaglio, mostrando solo il necessario e anzi, in molti casi, evitando di esplicitare le scene più sanguinolente. Si sviluppa così la tipica narrazione del protagonista vessato da bulli sadici (spaventosi perchè crudeli come solo i ragazzini sanno essere, ed in buona parte inconsapevoli) senza degenerare nel solito racconto che ci si potrebbe aspettare: la narrazione è lenta, c’è tempo perchè  ogni personaggio mostri la propria introspezione e, a ben vedere, non ne esce fuori – incredibilmente – quella pesantezza che molti potrebbero temere.

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Lasciami entrare, dunque, tanto per ricollegarsi alla tradizione secondo cui i vampiri possono fare ingresso in casa solo se invitati da qualcuno: il resto c’è anche, dalla fobia per la luce alla necessità di procurarsi sangue fresco periodicamente, ma la storia è ambientata nella Svezia proletaria e leggermente claustrofobica dei primi anni 80. Ma c’è anche la storia romantica, mai smielata, di due ragazzini che vivono il benessere del proprio rapporto, entrambi respinti dalla società per motivi differenti, e basato sulla reciproca comprensione: Eli non può uscire di giorno, non va a scuola ed ha dimenticato la propria età, ma sa dispensare consigli sensati al giovane amico.  Oskar è vessato da feroci bulli verso i quali non mostra alcun segno di reazione, e questo diverrà la scusa per comprendere l’importanza delle buone (!) frequentazioni nella vita di un ragazzino. Il rapporto tra i due servirà a rinforzare entrambi i personaggi, finchè la situazione arriverà ad un’evoluzione piuttosto imprevedibile, con un finale anche piuttosto sopra le righe. Mai un eccesso gore, mai un’esagerazione, davvero intelligente  il modo di affrontare il candore romantico di due ragazzini – contrapposto alla eventuale ferocia di cui sapranno mostrarsi capaci. Non c’è traccia di sensualità in “Lasciami entrare” proprio perchè si tratta di due giovanissimi, ed anche le eventuali critiche sull’opportunità di mostrare certi dettagli, in effetti, appaiono del tutto fuoriluogo proprio perchè Alfredson ha le idee chiare – come ha spiegato a Nocturno – e ci sa fare con la macchina da presa: del resto ha lavorato a stretto contatto con l’autore della storia, cercando di non forzare la mano in nessun caso e lasciare il film aperto a varie interpretazioni. Una pellicola da vedere senza dubbio, diversa nei ritmi e nelle modalità espositive dal solito horror, senza scomodare astrusità visionarie bensì mantenendo sempre lucidamente il lento, ed inesorabile, filo del discorso. Di questa gelida, coinvolgente e surreale pellicola esiste anche un remake “americanizzato” che è stato descritto nel dettaglio qui.

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