Le avventure del ragazzo del palo elettrico: la fantascienza borderline da riscoprire ancora oggi
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Breve film di Shinya Tsukamoto del 1987 di genere fantascientifico, in cui è possibile vedere qualche richiamo embrionale al successivo Tetsuo.

In breve: un mediometraggio artigianale e per nulla banale, anche se piuttosto lontano dalle successive punte di originalità del regista.

“Il ragazzo del palo elettrico è quello che salva il mondo accendendo una luce alla fine di un’epoca e collegandola all’epoca successiva. E’ il tuo destino. In altre parole è un eroe che salva la storia!”

A scuola qualcuno di noi veniva deriso dai compagni perchè era troppo riservato, perchè aveva un tic irrefrenabile, perchè era timido con le ragazze o magari semplicemente perchè portava gli occhiali. Ma per conoscere un nerd deriso dai coetanei perchè si ritrova un vero e proprio palo della luce che gli spunta dalla schiena bisogna guardare “Le avventure del ragazzo del palo elettrico“, mediometraggio favolistico del primo Tsukamoto (la seconda opera che ha girato). Due anni prima di concepire il capolavoro Tetsuo – The iron man, e lontano qualche miglio dai sentimentalismi introspettivi del più maturo Vital, la storia che ci racconta questa volta riguarda un giovanissimo protagonista, eterno incompreso dai coetanei ed oggetto di continuo scherno per via di questa sua particolare conformazione. In realtà tale forma di ennesima fusione uomo-macchina gli permetterà di diventare una sorta di “prescelto”, di viaggiare nel tempo e di lottare contro alcuni vampiri (Shinsegumi) che in un futuro apocalittico avrebbero minacciato Tokio.

Una storia atipica, prevedibilmente surreale e – se ci fosse bisogno di dirlo – inadatta per chi non ama il regista o non apprezza le sperimentazioni: curioso poi come, al di là di un primordiale riferimento al cyberpunk, molti richiami stilistici siano piuttosto simili ad un vero e proprio manga, da cui Tsukamoto pare ereditare la morale di fondo della storia e l’andamento generale dell’intreccio. La trama, di per sè, non sarebbe neanche eccezionale se non rimanesse il sospetto, alla fine, che l’intero film non sia stato altro che un semplice sogno, dato che il protagonista si ritrova, dopo l’incredibile viaggio, esattamente nel punto di partenza e, in fondo, la macchina del tempo sembrava dall’inizio un po’ troppo scassata per funzionare davvero. Puo’ darsi che la mia interpretazione materialistica sia completamente fuori luogo, ma posso garantire che pur trattandosi di una delle opere più “facili” da vedere del regista, l’ho trovata piuttosto complessa da analizzare, mentre quest’ultima mi pare l’unica nota di reale rilievo del film.

Un cult per gli amanti più appassionati del regista, proposto in TV occasionalmente da Rai Tre durante “Fuori orario“.

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