Occhi bianchi sul pianeta Terra: il b-movie seminale di B. Sagal
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Nello scenario di una Los Angeles degradata ed abbandonata si aggira lo scienziato Robert Neville: apparentemente l’ultimo uomo rimasto sulla Terra, dopo un’epidemia che ha trasformato la maggioranza delle persone in esseri dall’aspetto pallido, soggiogati alla volontà dell’inquietante guru Matthias…

In due parole. Occhi bianchi sul pianeta Terra è uno di quei cult considerati tali in modo forse un po’ troppo sbrigativo (lo script originale, per inciso, andrebbe esposto in un museo). Si tratta di un discreto b-movie efficace, quasi sempre ritmato e gradevole (in particolare all’inizio). La tensione tende pero’ a scemare inesorabilmente fino ad un finale che, a suo modo, spiazza. Visto oggi è un film comunque importante: sia per il romanzo a cui si ispira che, direi soprattutto, per la marea di film che ad esso hanno finito per ispirarsi.

Da questo soggetto di Matheson – Io sono leggenda – sono stati tratti altri due film (“Io sono leggenda“, per l’appunto, ed il celebre “L’ultimo uomo della Terra”), senza dimenticare che – in modo indiretto e tutt’altro che casuale – svariati elementi sono stati fonte di ispirazione almeno per “La notte dei morti viventi” e 28 giorni dopo, senza dimenticare opere ottantiane imprenscindibii quali “Incubo sulla città contaminata” e “Il giorno degli zombi”. “Tanta roba”, insomma. La visione di “Occhi bianchi sul pianeta Terra” è in tal senso da considerarsi “propedeutica” ad esempio per il film di Lenzi, e questo per due ragioni principali: la prima è comprendere meglio lo spirito dell'”apocalittico” nel cinema (hai detto niente), mentre la seconda riguarda saper contestualizzare meglio alcune trovate che, probabilmente, già nei primi anni 70 potevano considerarsi “avanti”.

Del resto un elemento tipico di questi film, come la violenza intollerante e nichilista dei “contaminati” – un meme propagatosi nella cinematografia apocalittica di ogni epoca – appare fin troppo debitrice della storia originale del noto romanzo perchè qualcuno possa prendersi il lusso di snobbare un film così. Per quanto i presupposti sembrino alettanti, dunque, e per quanto il film sia stato diretto ed interpretato con grande personalità, non c’è secondo me abbastanza per dire che “Occhi bianchi sul pianeta Terra” sia qualcosa di avvicinabile ad un buy-or-die. Un intreccio horror fantastico che – sorvolando sulla noiosa questione del livello di fedeltà al romanzo originale – lascia la sensazione nitida di aver visto “un film”, un’opera di fiction pura e, di conseguenza, un po’ “frenata”. Di fatto bisogna ricordare che solo alcuni registi riusciranno – diversi anni dopo – ad introdurre sano realismo nelle storie cinematografiche, e solo pochissimi come Wes Craven saranno in grado a scaraventare lo spettatore addirittura dentro uno pseudo-snuff, facendolo sentire sporco per quello che aveva visto (Le colline hanno gli occhi). “Occhi bianchi sul pianeta Terra” è – per forza di cose – molto distante da questo tipo di concezione, alla quale oggi siamo quasi assuefatti; detto in altri termini, è un film stancamente ancoràto agli stereotipi della classica sci-fiction, strizzando l’occhio al pubblico generalista in un modo del tutto improprio rispetto all’argomento trattato. Tutto sarebbe di discreto livello se non fosse che, ad un certo punto, la storia si declina in conseguenze e conclusioni che, viste oggi, appaiono fin troppo “ovattate” o, se preferite, quasi-buonistiche, al limite dello scontato più atroce. Anche se gli scienziati-pazzi ci vogliono dstruggere non vi preoccupate… il vostro-amato-John-Wayne è pronto a salvarvi.

La figura stessa dell’eroe, ad esempio – il Charlton Heston hollywoodiano che tutti conoscono – appare molto stridente rispetto all’anti-eroe “perfetto” che, ad esempio Carpenter saprà delineare in Snake Plinsken collocandolo in uno scenario del tutto analogo. Anni, messaggi e personaggi diversi, certamente, e nessuno pensi che si stia criticando gratuitamente questo celebre film fanta-horror: tuttavia questa trasposizione perde fin troppo mordente. Cosa che, per inciso, ne “L’ultimo uomo della Terra” (1964) non avviene per nulla.

Per quanto Neville, dunque, sia un personaggio solitario con cui si simpatizza rapidamente, egli finisce per essere più simile al “buono da film western”: quello classico, insomma, quello super-rassicurante che – in mancanza d’altro – “spara a tutto quello che si muove“. Questo aspetto rende “Occhi bianchi sul pianeta Terra” molto distante dall’anticonformismo cinico ed esasperato di un Carpenter (o di un Lenzi) nei medesimi scenari, e molto più sulla falsariga di un ennesimo cult stra-citato come “L’invasione degli ultracorpi“. Prendere o lasciare, a questo punto, diventa una scelta di un pubblico sempre più smaliziato, che può decidere se valga davvero la pena di vedere ancora film del genere.

Difficile comunque che la visione di “Occhi bianchi sul pianeta Terra” lasci indifferente l’appassionato “medio” di horror, il quale non potrà che cogliere vari richiami alla poetica di George Romero fin dalla prima scena, senza dimenticare la bella connotazione primitivistica dei “cattivi” e, soprattutto, l’eterna lotta contro la diffidenza verso scienza e tecnologia, le quali – un po’ paradossalmente, se vogliamo – in questa sede assumono una valenza totalmente positiva e indiscutibile. Se è vero, in conclusione, che lo spirito degli horror apocalittici non è mai cambiato negli anni, e ciò li ha reso un prodotto essenzialmente di nicchia, il film di Sagal può essere un modo “indolore” per approcciare alla questione, ovviamente dal punto di vista del pubblico più “generalista”.

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