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Starman: la fantascienza light, romantica e toccante di John Carpenter

Gli esseri umani inviano una navicella spaziale con dei messaggi pre-registrati alla ricerca di extraterrestri. Qualche tempo dopo, una navicella da un altro pianeta arriva sulla Terra, ma viene distrutta perchè creduta un meteorite. Il messaggero riesce a sopravvivere e si rifugia a casa di una vedova, prendendo le sembianze del marito scomparso di recente.

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Starman è un film poco noto ed altrettanto anomalo di John Carpenter: un regista che vanta nel proprio curriculum diverse prove fuori dagli standard filmici che lui stesso, in effetti, aveva ideato o rafforzato. Starman è la prova filmata che anche i più materialisti hanno un cuore, ed è per certi versi un saggio sull’amore più sensato e accessibile di qualsiasi altro mattone sociologico o manuale di auto-aiuto.

Starman è anche un esempio da manuale di fantascienza mansueta, godibile, alla portata di tutti. Si muove sulla falsariga di E.T. e si basa quasi del tutto su un sentimentalismo tanto cristallizzato nell’idealismo quanto calato nel quotidiano. La regia è solida, riconoscibile.

La retorica sdolcinata che accompagna il film suggerisce che:

“ora che è morto mio marito ti aspetterò: aspetterò fino a trovarti laggiù, nello spazio”.

Utopia, speranza tradita, scissione dell’Io nell’Altro, o se preferite:

“ora che è morto mio marito ti aspetterò: aspetterò fino a trovarti laggiù, nell’ospizio”

Sogno, realtà, favolistico mix tra le due: impossibile risolvere il dilemma.

Gli alieni arrivano sulla terra, non sono loro a bombardarci ma è vero semmai il contrario.

E poi ce li troviamo davanti: non hanno il collo allungato, non parlano strane lingue, non sono qui per mettere incinte le nostre donne ed avviare una nuova stirpe. Sono come gli esseri umani, sono pacifisti e ragionevoli, e sono bboni come il pane. Non sono alieni grigi, non hanno partecipato a complotti, non hanno aperto siti di ufologia fatti male.

Del resto, signora mia, cosa si aspettava?

In Starman non troviamo villain crudeli e imperscrutabili, tantomeno inquietanti creature provenienti da abissi lovecraftiani.

Gli esseri più abominevoli sono esattamente gli esseri umani. Lo capiamo fin dall’inizio, proprio dal comportamento psicotico che viene rappresentato sulle prime. Gli uomini inviano una navicella spaziale con dei messaggi in tutte le lingue, in nome dei figli dell’amore eterno e dell’internazionalismo tra razze da ogni angolo dell’universo. Poi gli stessi umani bombardano alla grezza proprio quelli che avevano invitato, in un singolare esempio di cannibalismo spaziale post-nuziale. Purtroppo è da sempre così: prima si seduce, poi si divora il partner. Il pessimismo antropologico non è una novità per il buon Carpenter, che non lesina ugualmente più di un siparietto ironico-parodistico, realizzando un film sostanzialmente commerciale come forma e come sostanza. Perchè in fondo è l’amore che potrà salvarci, non certo i figli dell’amore eterno.

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La critica più sostanziale di Starman non è quindi legata alla rappresentazione dell’Amore ideale, che ci starebbe pure (ed aiuta anche a smontare la mitologia di un Carpenter spigoloso, cinico e poco avvezzo al tema). Un problema più sostanziale di Starman è legato ad un focus dell’obiettivo troppo focalizzato sul rapporto alieno-donna, forse per semplicità, forse per finire il film rapidamente, forse anche nel tentativo di piacere ad ogni costo al vituperato grande pubblico. Con il risultato definitivo di affascinare qualche spettatore nuovo, riuscendo a farne sbuffare qualcun altro più propenso al “volemose bbene” e all’amore verso i guru dell’amore.

Se si riesce a passare oltre questo e ci si lascia amorevolmente incantare dalla buona interpretazione della coppia Jeff Bridges e Karen Allen (soprattutto il primo, il quale caratterizza il proprio alieno studiando ornitologia ed imitando le movenze di un uccello), possiamo dire – senza timore di sparare minchiate – che Starman è un buon film, è commerciale ma è un buon filme, e rimane tale nonostante quel maledetto finale straziante (la cui unica possibile interpretazione non può che essere ironica, prima che catartica: siamo soli nell’universo, ma ti aspetterò ancora qui, alla fermata dell’amore, anche se fosse poco illuminata e l’autobus che ti trasportava dovesse investirmi).

Per guardare Starman serenamente, in definitiva, basta attivare il bottone di sospensione dell’incredulità, rilassarsi e cogliere la bellezza dell’impianto, la trama incalzante e l’ironia di certi passaggi, l’unico autentico salvagente per ogni single di ferro, terreste o interstellare che sia. Se è vero che Carpenter girò Starman dopo l’insuccesso commerciale de “La cosa”, ne potremmo dedurre che (al di là del messaggio del film) il destino è ingrato anche per i più bravi. Ciò che conta, forse, non è trovare l’uomo della tua vita nello spazio (magari scomodando i mezzi di Elon Musk), bensì – molto più modestamente – aspettare tempi migliori.

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