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The bleeding house: home invasion di P. Gelatt che convince solo in parte

Una famiglia vive in una casa di campagna, quasi completamente isolati dal resto del mondo: neanche il tempo di iniziare a svelare gli scheletri nell’armadio che uno sconosciuto si presenta alla loro porta, chiedendo ospitalità. Le reali identità dei personaggi si sveleranno lentamente…

In breve. Una home invasion senza infamia e senza lode, per certi versi sulla falsariga di You’re the next, con la differenza che si gioca molto (troppo?) sulle sensazioni, sul voler fare meta-cinema, sul focalizzare quasi più i dialoghi che l’azione. Il risultato è “da intenditori”, nel senso che si lascia apprezzare da pochi: troppo pochi.

Le sensazioni che accompagnano questa mia ennesima visione horror sono contrastanti: da un lato penso che il film sia interessante, anche fatto discretamente (per essere un esordiente), per quanto (d’altro canto) l’idea di un’ennesimo sconosciuto che entra nell’ennesima casa sperduta per via degli ennesimi scheletri nell’armadio mi esalti davvero poco. Eppure questo è, nella sua brutale schiettezza,  “The bleeding house“: un’esaltazione della crudeltà che non lascia spazio a giustificazioni, arrivando a concepire qualche piccolo “vuoto” di troppo come pretesto per innalzare l’interesse. Te ne accorgi più o meno a dieci minuti dalla fine del film, quando sei troppo stanco o annoiato per pensare qualcosa di diverso (forse), eppure il meglio del lavoro è racchiuso lì: in quei minuti finali, che tardano un po’ ad arrivare dopo un film lento, non troppo incalzante e con qualche pretesa metaforica di troppo.

Del resto, con un cast del genere, con attori non troppo esaltanti, con l’ennesima ragazzina inquietante che non si capisce davvero “perchè, again & again“, è l’unica cosa che in onestà si possa scrivere a riguardo. Forse dipende molto da quanti e quali film si è visti, per quanto mi riguarda posso dire che si è visto di meglio altrove, in altri tempi e luoghi. Lo spettatore, per quanto intrigato dalla situazione iniziale, si troverà di fronte un lavoro certamente di livello decente, specie se paragonato a molte altre opere prime del genere. Manca quella marcia in più, manca quell’aspetto che possa davvero restare impresso nella memoria. E così la figura dello psicopatico vestito di bianco, tanto per (non) cambiare in vena di moralismo religioso, diventa una figura pallida, scialba, poco focalizzata ed altrettanto poco convincente. Peccato perchè i presupposti non mancavano: famiglia dal passato torbido (le madri dei vari Argento hanno pur lasciato una traccia), tensione, una punta di sadismo anche particolarmente originale nel modus operandi del maniaco. I due genitori sono una fotocopia malriusciti dei due (perfetti, nella loro umanissima imperfezione) di Funny Games, il resto è roba da slasher americano puro: resta impresso per poco, non impressiona ma non puoi neanche dire, in fin dei conti, di aver visto una schifezza. Tra venti anni diventerà un cult di sicuro, per cui tenetelo d’occhio quantomeno per questa ragione.

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