I corsi di seduzione online non servono a molto (e lo dice la statistica)


In una mia precedente vita lavorativa mi venne proposto di frequentare un corso di seduzione in presenza, su “raccomandazione” di un collega che affermava pomposamente di conoscere un coach a cui voleva introdurmi. Trovavo molesto il modo di approcciare alla questione, soprattutto perchè stavamo andando a pranzo e non ricordo come eravamo arrivati a parlare dell’argomento (la dinamica non doveva essere diversa dall’equazione becera identificare un single + additarlo come sfigato, in effetti). Lo lasciai parlare per un po’, in omaggio alla dialettica lacaniana per cui il linguaggio, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno: per questo soggetto significava molto dirmi quelle cose, dato l’ardore e la falsa empatia con cui me lo comunicava, e anche perchè (credo) avrebbe incassato una potenziale commissione sul mio futuro acquisto del corso. Alla fine non se ne fece nulla. Dopo neanche un anno da questo episodio, nemmeno lavoravo più lì.

Mi ritrovo a ripensarci quasi quattro anni dopo.

Su Google si trovano 2 milioni e 190 mila risultati annessi alla ricerca corso di seduzione, nelle differenti varianti di pluralità (corsi di seduzione), di genere (corsi di seduzione per uomini, soprattutto, ma ce ne sono pure per donne) oltre che su base geografica (corsi di seduzione bologna, strangolagalli, roma, palermo, milano, pocapaglia, cosenza, capracotta e via dicendo). Molti si presentano tra i risultati come coach della seduzione, ed è impossibile non osservare che scrivono addirittura di essere psicologi, in alcuni casi. Il corso di seduzione ovviamente è un presumibile percorso in cui uno impara come sedurre l’altro, sfruttando specifiche tecniche e supponendo, ovviamente, che esista una tecnica (o più di una) per farlo. Mindset, 10 modi per copulare, come guardarla dritta negli occhi, come andare direttamente al punto (che era l’ossessione primaria e il mood dominante del libretto rosso del lupo di Wall Street)

Un corso di seduzione dovrebbe essere un tipo di programma di formazione o istruzione che mira ad insegnare agli individui come attrarre romanticamente o sessualmente potenziali partner. Questi corsi hanno la pretesa di insegnare abilità sociali, comunicazione efficace e strategie di approccio per aumentare le probabilità di successo nelle relazioni romantiche o sessuali. Alcuni di essi promuovono l’empatia, la comunicazione autentica e il rispetto reciproco come fondamentali per costruire relazioni sane (si spera), mentre altri possono concentrarsi su tattiche più maliziose o manipolative per cercare di “sedurre” qualcuno. Alcuni corsi hanno spesso sollevato preoccupazioni etiche qualora possano promuovere un comportamento coercitivo, ingannevole o (alla meglio) poco rispettoso.

In molti contesti i corsi di seduzione sono stati oggetto di controversie e critiche, in particolare per il modo in cui possono influenzare le dinamiche di genere e la percezione delle relazioni. Tutte le volte che ho parlato dell’esistenza di questi corsi con qualcuno (a parte il soggettone di cui sopra, ovviamente) il parere unanime era che non fossero efficaci (o peggio), ma la cosa che ho trovato sempre molto curiosa è che la discussione finiva lì: forse si erano imbarazzati e pensavano ne avessi fatto uno, forse (più probabilmente) nessuno avrebbe saputo dire per quale motivo non erano efficaci.

In alcuni casi, ad esempio, questi corsi provano a proporre elementi di linguaggio del corpo, ma anche una serie di frasi precostituite che un uomo X potrebbe dire ad una donna Y (o viceversa). In altri (mi baso sui video promozionali che ho visto, oltre che post su Twitter e Facebook) vengono promosse (soft?) skill del tipo come farti rincorrere dalla ragazza che ti piace (…rubandole la borsetta, verrebbe da ironizzare), al limite di instaurano preconcetti inconsci – tipo l’uomo è una bestia o è la puttana della donna, mutuando più o meno malamente dalla psicologia e dal mondo della leadership aziendale un po’ di terminologia, a volte prevedendo il futuro per generalizzazione (scoprirai cosa vogliono davvero le donne), senza dimenticare l’immarcescibile conquista del mindset da vero seduttore/seduttrice.

Non è raro che il corso sia condotto da donne per uomini, da uomini per uomini e via dicendo, in tutte le combinazioni possibili (e non è da escludere che possano riguardare anche i generi non binari), e se in alcuni casi sono autentici scappati di casa, in altri sono professionisti del settore a vari livelli (terapeuti, psicologi). In alcuni casi i corsi avvengono pure in pubblica piazza, con il coach che opera dal vivo e spiega all’allievo come esercitare l’arte di seduzione sulla gente che passa in quel momento per strada.

Nel libro Pensieri lenti, pensieri veloci dello psicologo Daniel Kahneman si trattano tematiche essenzialmente legate al mondo degli eventi statistici, con un taglio rigoroso quanto discorsivo e senza il piglio (e la supponenza) da scienza dura, rimanendo sempre ancorati ai fatti. Uno dei passaggi meno intuitivi del libro, peraltro, descrive quella che l’autore chiama scienza del “senno di poi” in questi termini, con un esempietto discorsivo:

Sta imparando troppo da questa storia di successo, che ha un po’ troppe cose giuste al posto giusto. Si è lasciato catturare dalla fallacia della narrazione.

E poi, poco dopo, si scrive:

Non ho prove per sostenere che quell’azienda è gestita male. L’unica cosa che so, è che le azioni sono calate. È un bias del risultato, fatto in parte del senno di poi, in parte dell’effetto alone.

Le affermazioni sono veritiere e verificabili quanto, in apparenza, poco logiche: come si fa a dire che uno stia “imparando troppo” da una case history di successo, ad esempio? Perchè mai non dovrei dare peso al fatto che le azioni sono calate ed hanno causato cattiva gestione? In realtà potrebbe essere un caso  di inversione causa ed effetto: potrebbe essere capitato, in altri termini, che la cattiva gestione di cui il manager era a conoscenza lo abbia depresso e indotto a comportarsi male, e non (al contrario) che il suo cattivo comportamento abbia causato cattiva gestione.

In effetti non sembra neanche un azzardo prefigurare che un corso di seduzione specifico (non ci riferiamo a nessuno in particolare, tra quelli esistenti, tanto per sgombrare il campo da eventuali risentimenti o peggio: ne parliamo in generale) riporti una certa case history positiva, per dirla con l’autore un po’ troppe cose giuste al posto giusto. È opportuno specificare che quando le situazioni sono troppo “pulite” e prive di imprevisti sono proporzionalmente difficili da mettere in pratica, per lo stesso motivo per cui si studia nella scuola guida e poi difficilmente ti ritroverai degli incroci stradali nell’ordine in cui te li hanno presentati nel manuale. Non per altro, ma anche se uno mi fornisse un algoritmo esatto per sedurre non sono sicuro che potrei applicarlo facilmente: in gioco non ci sono singolarità, bottoni ON/OFF da accendere o spegnere. Semmai, direi, sono in ballo quelli che Deleuze e Lacan chiamano con­ca­te­na­menti di significato, contesti, persone con annesse storie ed esperienze, occasioni uniche nel loro genere, situazioni su cui spesso non sappiamo nulla a priori (possiamo avere tutta la formazione del mondo, per intenderci, ma non potremo mai evitare che il nostro crush sia già impegnato, ad esempio).

Kahneman dedica un paragrafetto del suo monumentale libro sul funzionamento del cervello umano (distinto da pensieri lenti elaborativi vs. pensieri veloci istintivi quanto fallaci) alle famigerate ricette del successo: la statistica potrebbe essere effettivamente uno strumento utile per misurare il tasso di “acchiappo”, del resto – semplificazione becera e degna dell’argomento del giorno. Se mi si presentano tre occasioni e le fallisco tutte, ad esempio, invece di dannarmi l’anima a capire cosa ho sbagliato potrei pensare di allargare il campione e porre N=100 o N=1000 tentativi, anche perchè il corretto calcolo della probabilità evidenzia la necessità di una adeguata numerosità del campione. Anche se non incontrerò mai 1000 super modelle o sosia di Jason Mamoa, per intenderci, nel lungo periodo mi ritroverò all’incirca una metà di casi potenzialmente favorevoli (e se consideriamo che molte esclusioni comportano che siamo noi a dire di no, ogni tanto, rilevarlo è quantomeno consolatorio). Non serviva un manuale per capirlo, a pensarci, che non fosse al limite uno di statistica e probabilità. Sui piccoli numeri, al contrario, non concludiamo quasi mai nulla: è quando si arriva a numerosi tentativi che le cose diventano interessanti, e non vale solo nella seduzione (qualsiasi cosa si voglia intendere con questa parola, in effetti).

Kahneman parla anche dell’illusione di aver capito il passato come ingrediente (tossico e fuorviante) per cui ci convinciamo, senza motivo, di aver “imparato la lezione” per il futuro, controllandolo. Come se in futuro si ripeteranno le stesse circostanze, come se il futuro diventasse nostro solo perchè abbiamo attribuito un senso all’esperienza. Sono illusioni confortanti, se non altro, a volte servono a ridurre l’ansia per l’incertezza, ma in generale sarebbe molto più utile imparare a gestire l’ansia un po’ per volta (magari mediante psicoterapia, mi permetto di sottolineare per esperienza diretta). L’autore fa poi l’esempio di blasonati quanto ingannevoli libri di management che mostrano le 10 aziende che hanno avuto successo, invitando i CEO a prendere esempio e replicandolo. 10 aziende scelte perchè hanno avuto successo e che quindi per forza ne avranno, magari dopo averne scartate altre 990 che tanto di successo non erano.

Del resto il vituperato principio di imitazione – nello specifico l’idea libertaria o liberale che un pinco pallino qualsiasi possa avere successo imitando beceramente la gente che è considerata cool – sulle prime sembra che non presenti nulla di anomalo, anzi. Se ha funzionato per te, perchè non dovrebbe funzionare per me? Provate ad applicarlo quando vedete il palleggio virtuoso di un giocatore di serie A e capiterete cosa intendo. Statisticamente parlando, insomma, ci sono vari errori e bias cognitivi in ballo se decidiamo di seguire questo approccio: chiaro, è evidente che esiste un’influenza tra le scelte del CEO ed il fatturato aziendale, così come le nostre azioni quotidiane condizionano il fatto di rimanere single per X anni o al contrario innamorarci della collega del piano terra. Ma non possiamo controllare tutto e non abbiamo tutto questo potere in mano, alla fine. Al netto del contesto (che è un bel mattoncino da considerare nella sua interezza, e che si potrebbe riassumere nella massima sbrigativa non possiamo controllare tutto, e prima lo accettiamo meglio sarà), entra pure in ballo la  fallacia della narrazione, un ulteriore livello di randomicità che molti scienziati e saggisti hanno evocato per riferire la falsa attribuzione di cause agli eventi, l’illusione di aver capito qualcosa, l’idea che una narrazione accattivante sia pure realistica, l’idea che A provoca B quando in realtà le correlazioni sono quasi sempre randomiche, non causali (esiste una correlazione spuria totalmente insignificante tra il numero di morti per annegamento ed il numero di film girati da Nicholas Cage).

Consultare o seguire metodi di seduzione facendone uso in senso propositivo può sembrare sulle prime un’idea creativa, quasi divertente, ed è anche fuori di dubbio che esistano almeno un po’ di casi di successo in tal senso. Il problema è che sono comunque affetti dal bias del risultato: significa che tendiamo a considerarli validi perchè hanno prodotto un risultato favorevole, ma questo non vuol dire affatto che sia stata una buona idea farne uso a monte. Molte relazioni iniziano malamente e finiscono peggio anche per questo motivo, ed è comune che uno possa pentirsi di aver preso quel maledetto caffè quel giorno, per poi ritrovarsi con un partner geloso e indisponente al seguito. Senza contare che il tutto si somma ad un potenziale effetto alone, che si esplica nel percepire un tratto basandosi su un parametro errato che non c’entra niente: giudicare l’intelligenza in base all’aspetto fisico, ad esempio, oppure la seduttività mediante il numero di ore giornaliere connessi online.

La positività e negatività di un approccio di seduzione qualsiasi, in altri termini, è soggetto alla valutazione ed al coinvolgiment di fattori non misurabili (su tutti, il benessere dei soggetti coinvolti) e non andrebbe pertanto affidato a nostro avviso a considerazioni troppo semplicistiche o biased. Questo discorso potrebbe non aver convinto il lettore reduce dal centoquattordicesimo due di picche consecutivo, ma (anche qui) è plausibile che ci sia un bias di campionamento di mezzo: il motivo dei continui fallimenti potrebbe essere legato all’aver escluso (magari inconsciamente) tutte le situazioni favorevoli, limitandosi a considerare quelle negative, assaporando (si fa per dire, ovviamente) la pluri-citata profezia che si autoavvera.

Non se ne esce facilmente, insomma: l’unica cosa che sappiamo scientificamente è che allargando il campione le probabilità favorevoli prima o poi arrivano, anche perchè esiste il fenomeno di regressione alla media che tende a distribuire  il numero di lanci della moneta tra testa e croce in modo globalmente uniforme (senza che ciò implichi che i casi si “bilanciano”, perchè altrimenti si scivolerebbe nella fallacia del giocatore). Prima o poi, insomma, su lungo periodo qualcosa di buono arriva. Se ci mettiamo a manipolare il campione come io stesso ho fatto per anni, ovviamente, i tempi possono diluirsi un po’ (si spera non troppo).

L’amore è legato alla fortuna, in fondo: si tratta di un tabù che la società tecnologica e accelerata come quella in cui viviamo non riesce a riconoscere senza diventare isterica, o tende addirittura a negare o ad attribuire ad una “mancata formazione” in ambito seduttivo o allo scarso uso di app di dating. Dubito che la persona che mi propose quel corso con quel modo viscido o passivo-aggressivo fosse troppo esperto della materia, peraltro: a suo stesso dire, a ripensarci, aveva sposato una vicina di casa da ragazzino, e non dava comunque, di per sè, esattamente l’idea di essere l’uomo di mondo che non deve chiedere mai.

L’ingiustamente vituperata fortuna, del resto, sembra ancora un retaggio odioso e ripugnante, e quanto è antipatico Gastone e quanto è simpatico Paperino, ma andrebbe probabilmente rivalutata nell’ottica di Richard Wiseman,  psicologo sociale orientato (anche qui) sulla statistica, che nel suo libro di auto-aiuto Fattore fortuna suggerisce come, per certi versi, per essere più fortunati nella vita basti (si fa per dire) provarci un po’ di più, in molti casi. Ovviamente bisogna considerare anche ciò che significa per noi soggetti, senza mai sentirci cavie di un progetto malefico: oppure, se preferite, senza mai sottovalutare il nostro vero stato d’animo.

Una cosa che si impara esclusivamente a proprie spese, del resto.

Foto di Thomas Bormans su Unsplash

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