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Devolution. Una teoria DEVO è carico di amarezza (e realismo)

Sono tornati i DEVO, e lo hanno fatto con un documentario in free streaming, di quelli da non perdere per nessun motivo. Quello dei DEVO sul sito della RAI viene definito “rock sociologico”, una definizione originale quanto inedita quanto, a mio modo di vedere, azzeccata.

Il documentario “Devolution. Una teoria DEVO” viene proposto in Italia su Rai 5, ed è attualmente reperibile in streaming gratuito dal sito ufficiale; di fatto, attraversa le origini della celebre band, partendo dagli studi alla Kent State University che accomuna i quattro componenti (ad oggi, dopo alcuni cambi di formazione: Gerald V. Casale, Mark Mothersbaugh, Bob Mothersbaugh, Josh Freese) e snocciolando aneddotica, storie più o meno serie e quant’altro.

Il senso del documentario è chiaro: dopo molti anni dalle prime uscite discografiche (la prima fu del 1978, per la Warner Bros., dal titolo nerdistico Q: Are We Not Men? A: We Are Devo! il quale venne classificato frettolosamente come new wave) siamo arrivati ad un punto, nella storia dell’umanità, in cui la de-evoluzione è evidente (fake news, post verità, Trump, disastri ambientali e via dicendo) ed ha smesso di essere, di fatto, solo una mera narrazione da musicisti colti.

I DEVO seppero costruire intrecci musicali mai sentiti prima – dando un senso al rock elettronico che fosse quasi “pop” nella forma, quanto profondissimo nella sostanza: per convincersene, basta leggere il testo di Beautiful World e la celebre inversione di significato contenuta nel testo (il mondo è bellissimo per te – ma non per me).

Devolution: A Devo Theory (produzioni Escape Media) viene concluso nel 2020, agli albori della pandemia, per poi essere pubblicato l’anno dopo su varie piattaforme di streaming, a cominciare da quelle australiane. Il documentario è incentrato molto sulle interviste ai quattro protagonisti, esplorando così i DEVO delle origini, il contesto sociale in cui si mossero e la cupa filosofia che ne accompagna le esibizioni: l’uomo si sta de-evolvendo, diventando sempre più nichilista, avido e propenso all’autodistruzione della razza umana.

La critica culturale e sociologica dei DEVO passa ovviamente per i loro studi universitari, per il sentirsi “fuori dal coro” già negli anni ’70 e per episodi politici ben precisi (viene citata e ricordata la repressione, da parte della Guardia Nazionale, contro gli studenti durante la sparatoria della Kent State).

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Come ricordato anche nell’articolo sul video di Jocko Homo, quella dei DEVO fu performance dadaista sia musicale che visuale,  sviluppata in modo intelligente ed arrivata, ad oggi, ad un punto di non ritorno. L’uomo è diventato un imbecille senza speranza, pronto al suicidio collettivo-graduale, ovvero la de-evolution “profetizzata” è reale. Ciò che all’epoca faceva ridere o sorridere in nome del dada, oggi è forse più inquietante di un film post-apocalittico.

Il futuro è qui: e non è una bella cosa.

Già più di 40 anni fa i DEVO si accorsero che c’era qualcosa di sbagliato nella storia umana; l’evoluzione sembrava aver terminato il proprio corso, consegnando alla storia una spirale di morte all’insegna della decadenza, dell’approssimazione e di assurde teorie o convinzioni che aleggiano in ognuno di noi. Il riferimento all’oggi è diretto quanto credibile, oltre che azzeccato nella sostanza, e si evince grandemente dalla struttura dei loro testi. Il tutto per quanto, a ben vedere, molti di essi giocassero di (poco ovvi, forse) giochi di parole: nella citata Freedom of choice, ad esempio, si afferma “essere libero di scegliere è ciò che hai, essere libero di non farlo è ciò che vuoi“.

I fratelli Mark e Bob Mothersbaugh si unirono a Gerald Casale e Alan Myers, sulla falsariga delle delusioni derivanti dall’aver manifestato vanamente contro l’invasione USA in Cambogia. Vollero creare una musica nuova, che suonasse in modo diverso sia dal blues che dal progressive rock all’epoca dilagante.

“Volevamo essere solo un gruppo art rock un po’ strambo, non volevamo certo avere ragione”

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