Una studentessa spagnola sta realizzando una tesi sull’estremizzazione della violenza negli audio-visivi: finirà coinvolta in una singolare storia di commercio clandestino di snuff-movie.
Tesìs è un film molto interessante dal punto di vista narrativo, in cui la presunta faccenda dei filmati amatoriali che mostrano violenza e morte reale di vittime umane diventa un pretesto per proporre una forte critica al voyeurismo dei media e, soprattutto, degli spettatori stessi. Abituati a tonnellate di orrori che i media usano proporre spesso senza filtri e mezzi termini, Amenàbar – qui al suo esordio cinematografico – si rivolge a tutti noi, e riesce a riassumere in due ore tutte le angosce e la morbosa voglia di guardare che accomuna gli esseri umani.
All’inizio del film, in effetti, è riassunto in pochi minuti quello che è lo spirito principale dell’opera: i passeggeri di un treno, tra i quali la protagonista Angela (Ana Torrent), vengono fatti scendere ad una stazione poichè una persona è appena finita sotto lo stesso. I passeggeri vengono fatti uscire ordinatamente in fila, ma quasi nessuno di loro – protagonista inclusa – puo’ fare a meno di cercare di carpire qualcosa del macabro scenario appena accaduta, provando a sbirciare al di là della zona interdetta.
E’ questo, in definitiva, l’interrogativo che si vuole porre all’interno di Tesìs: non tanto comprendere se gli snuff siano un fenomeno vero o inventato, quanto chiedersi perchè le persone cerchino questo genere di opere. E la risposta sembra essere legata alla stessa natura umana, insensatamente e pessimisticamente crudele. L’effetto straniante dell’assistere alla “morte in diretta” viene presentato in modo molto ambiguo a partire dalla stessa protagonista: la brava ragazza della porta accanto, per la quale il regista non puo’ fare a meno di sottolineare il suo guardare-non guardare, il suo rifiutare la violenza visuale di quelle crude (e realistiche) immagini ma esserne, al tempo stesso, fortemente attratta. E’ vero che le immagini le serviranno per la ricerca ma, in fondo, sembra quasi che le brami solo per se stessa. Cosa peraltro molto ben delineata dalla sua doppia attrazione sia verso Chema, suo collega misantropo appassionato di cine-gore (ed in possesso di svariati e violentissimi mondo-movie), che verso il “normale” Bosco Herranz, prototipo di bullo da college.
Un film davvero notevole, senza mai un calo di tono e che riesce a farsi seguire con grande attenzione, rivelando alla fine uno scenario che vuole un professore della scuola di cinema coinvolto nei fatti: perchè, dice a più riprese, l’unico modo per salvare il cinema è dare al pubblico ciò che vuole (che è anche una celebre affermazione di Joe D’Amato: “Quello che noi abbiamo sempre cercato di fare è stato dare al pubblico quello che il pubblico voleva. Con passione ed entusiasmo. E senza un filo d’ipocrisia“). Il tono del film, comunque, non è mai inquisitore o moralistico, nè tantomeno accondiscendente: lo sguardo della telecamera non mostra mai più che un accenno ai presunti snuff, e il più delle volte limita la sua rappresentazione alle espressioni disgustate – o soddisfatte! – dei protagonisti che, loro malgrado, osservano. Bello anche il finale, geniale nella sua impostazione per un film davvero senza alcun vero difetto.
Sul mondo degli snuff, del resto, andrebbe aperto un articolo a parte, e a tale riguardo mi sembra interessante l’analisi effettuata da Snopes che li declassa a mera leggenda metropolitana.