Tutti amano i gatti, soprattutto su internet. Il gattino è l’emblema della condivisione media dell’utente, in omaggio alla cosiddetta Regola zero: i gatti non si toccano, in nessun caso.
La storia di Don’t f**k with cats o Giù le mani dai gatti! , mini-serie Netflix in tre puntate, crea fin da subito un clima accattivante: una vera e propria caccia all’uomo incentrata sulla figura di uno Youtuber che posta l’infame video “1 boy 2 kittens“, cancellato e ripostato più volte sulla piattaforma. In questo video un ragazzo con un cappuccio in testa chiude due gattini dentro un sacchetto di plastica e li uccide per soffocamento togliendo l’aria con l’aspirapolvere: tecnicamente si tratta di un vero e proprio snuff movie, per quanto le vittime fossero animali e non persone. Cosa peraltro non esatta, perchè il protagonista di cui tratta il documentario smentisce l’idea che gli snuff non esistano, dato che arrivà a mettere online il sito di un reale omicidio ai danni di un ragazzo cinese. In questo ambito, peraltro, Giù le mani dai gatti! è anche atipico rispetto alle lungaggini delle serie medie, dato che si articola in soli tre episodi auto-conclusivi.
In questa sede, pero’, il contrasto più evidente risiede proprio nel doppio livello di popolarità del killer: adorato online dai fan che lo conoscono come modello, quanto odiato da chi lo conosceva come killer di gattini. Non solo: dall’aria sexy e vanitosa, infido e imprevedibile, fu in grado di creare oltre 50 account finti su Facebook, realizzati diabolicamente con fotomontaggi della sua faccia, utilizzando semplicemente foto prese a caso da internet. Abile a far credere di fare la bella vita per alimentare l’odio della rete e, implicitamente, mostrarne i limiti e l’attitudine “di pancia” e giustizialista. La sua identità venne scoperta molto tempo dopo: il macellaio di Montreal, così come fu reso noto dai media, venne condannato per l’omicidio di Lin Jun, con tanto di video dell’omicidio postato online su un terrificante sito di snuff movie.
La persona in questione, realmente esistente (la storia della serie, di sole tre puntate, è vera) è Luka Magnotta, viene identificata secondo il racconto della serie sull’analisi del video, a cominciare dalla coperta utilizzata a finire dalla conformazione delle sigarette inquadrata nel video. La serie non si limita a focalizzarsi sulla figura del killer, ma insiste sul clima che – grazie alla potenza dei gruppi Facebook – si diletta alla ricerca della persona in questione, abile a disseminare indizi con account fake e a prendersi gioco delle persone. Peraltro la caccia sfrutta la tecnologia in modo intelligente, dalla ricerca inversa delle immagini all’uso di dati EXIF ed alla scomposizione del video in fotogrammi: Un clima in cui le persone sui social riempiono di insulti ed aggrediscono verbalmente il killer, anche qualora non si tratti del vero responsabile ed evidenziandone il classico meccanismo di ocloclazia, o giustizia sommaria, tipico di queste dinamiche.
Non solo: la mini-serie insinua (e poi smantella) il sospetto che Luka non fosse solo, al momento dei crimini, visto che (ad esempio) nel video del gattino divorato da un boa si vedono quattro mani e non semplicemente due. Luka, una volta catturato, parla confusamente di una figura oscura, Manny, che lo avrebbe condizionato. L’interpretazione del caso, in questa veste, sarebbe ancora più spaventosa: Manny Lopez sarebbe stato apparentemente un cliente di Luka, violento, prepotente e con tendenze sadiche – in grado di architettare, sia a distanza che in loco, le varie efferatezze commesse. I vari video diffusi su internet, secondo una dinamica complottista piuttosto tipica del web, non sarebbero null’altro se non autentici snuff postati in rete. Una macabra ed irreale suggestione, in realtà, dato che il caso chiarì ufficialmente che ci fu solo un regista, e la dinamica dell’omicidio ripreso, per inciso, ricalca in parte quella della scena cult di Basic Instinct col punteruolo. Manny Vasquez era, per inciso, uno dei personaggi più importanti del film.
Che il protagonista fosse solo un mitomane appare del resto abbastanza riduttivo, visto che si trattò di un vero serial killer, abilissimo a disseminare falsi indizi e, come se non bastasse, piuttosto appassionato di cinema. Come se non bastasse, esiste anche un ulteriore dettaglio grottesco in tutta questa vicenda: l’omicida è anche autore di un tutorial sul blog DigitalJournal, dal titolo “Come sparire completamente e non essere mai trovati“, attualmente ancora online e ricco di dettagli in merito.
Non sai mai chi c’è dall’altra parte del monitor: questo il messaggio di fondo della serie, a prescindere dalla gravità di quanto avvenuto che, alla prova dei fatti, portò al linciaggio online di un utente che aveva ripostato il video, affetto da depressione e senza aver mai commesso alcun vero omicidio. Il protagonista della vicenda, aspirante modello, noto per essere il primo serial killer che diffondeva i video delle proprie gesta sui social media, venne finalmente catturato a Berlino mentre leggeva notizie sul suo caso in un internet cafè: venne condannato per omicidio di primo grado e ritenuto responsabile di omicidio su persone e animali.
Don’t F**k With Cats è una produzione Netflix del 2019, diretta da Mark Lewis e girata nello stile documentaristico classico del caso (altri esempi sulla stessa falsariga: The great Hack e Rapita alla luce del sole), assolutamente da vedere.