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Uccelli d’Italia: quando gli Squallor girarono un film

Uno dei due cult cinematografici degli Squallor: commedia ad episodi con assurdità demenziali all’ennesima potenza per un genere che, nel 1984, aveva ancora tanto da raccontare. La regia è di Ciro Ippolito, lo stesso che realizzò lo spin-off Alien 2.

Il trash consapevole di se stesso: le scenette tipiche dell’italiano medio riportate in chiave umoristica e non-sense e anche, c’è da dire, con grande intelligenza. In questo film i quattro geniacci della musica italiana (Bigazzi, Pace, Savio e Cerruti), spesso assieme a bellissime attrici (come Sabrina Siani o la fulciana Cinzia de Ponti) prestano i propri volti a scene irriverenti, quasi sempre fuori dalle righe, legate al demenziale più cristallino ed infarcito di siparietti pazzeschi e, proprio per questo motivo, assolutamente spassosi. Tutto è demenziale in “Uccelli d’Italia”, e tutto è dotato di uno humor pazzesco e forse piuttosto inedito per l’epoca, a cominciare dal titolo che fa riferimento all’inno nazionale “Fratelli d’Italia” (ma secondo alcuni sarebbe anche la parodia di “Uccelli di rovo“). Ma attenzione, questo non deve far pensare alla comicità gratuita a cui potremmo essere abituati oggi, fatta di vuoti tormentoni dei quali ridere in modo fine a se stesso: Ippolito e gli Squallor aggrediscono i luoghi comuni dell’epoca, il perbenismo e – direi soprattutto – sfidano la censura con la propria irriverenza, come fa ad esempio Daniele Pace quando pronuncia la parola “eiaculare” la bellezza di dieci volte di fila. Uno schiaffone alla cultura mediocre e democristiana dell’epoca che, di sicuro, nel suo piccolo non passò inosservata, e che fu uno dei motivi per i quali gli Squallor stessi nacquero.

Di fatto il film è molto abile a costruire atmosfere seriose (molto spesso da telenovela anni 80), per poi smantellarle con la spontaneità delle barzellette di Pierino o, se preferite, con l’immediatezza di battute al fulmicotone che probabilmente, oggi passano quasi indifferenti ma che, per l’epoca, furono avanti e anche di molto. Non bisogna dimenticare che dietro questo film vi è il lavoro di Bigazzi, Savio, Cerruti e Pace, attivi per circa 40 anni in una band seminale che nel frattempo è diventata di culto, artefice di ciò che tanti altri gruppi successivi avrebbero banalizzato come “rock demenziale”. E sono giusto i non-sense esasperati degli artisti che crearono “38 luglio”, “Cornutone” e “Tutto il morto minuto per minuto”, diretti dal regista di Alien 2 – Sulla terra, a prendere quasi completamente la scena. Immersi in una colonna sonora in parte degli stessi Squallor (“A chi lo do’ stasera“, che venne reinterpretata con testo leggermente diverso da Nadia Cassini), in parte dei Village People – che conferiscono, questi ultimi, al film un’atmosfera tipicamente ottantiana – non mancano tanti riferimenti a tormentoni e serie TV che ancora oggi fanno il loro effetto: su tutti l’intermezzo fisso tra un episodio e l’altro, che da “Italia Unoooo” diventa inesorabilmente “Italia culoooo“, senza dimenticare che “Anche i ricchioni piangono” e <<“Osvaldo non sarà più tuo“, un dramma tra due donne ed un mezzo culo in 185 puntate>>.

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Particolarmente riusciti sono l’episodio iniziale, con il prete che illustra molto chiaramente le proprie intenzioni nei confronti dell’amante clandestina, la storia di Bigazzi – scrittore in crisi creativa – tormentato da moglie e figli, che decide di risolvere la questione con una bomba a mano (!) e, forse soprattutto, una coppia che rientra a casa, lui è appena tornato da un viaggio, lei chiede insistentemente “Cosa mi hai portato da Parigi?“, e dopo uno strip-tease totalmente inutile alla storia l’uomo tira fuori dalla giacca una provola (!). Mini-film a sè stanti, quindi, perennemente in bilico da demenziale e comicità assurda, con alcune volutissime sbavature come il momento in cui Pace (che interpreta un morto di recente) scoppia dal ridere per via dei riferimenti di Cerruti, vestito da vedova, al capitone ed al celebre “e mo chi mi chiava ammè“. Un film spassoso in definitiva, recentemente uscito in DVD assieme al degno compagno “Arrapaho“, che si lascia guardare con piacere anche oggi, nonostante alcuni momenti alquanto spiazzanti, ma solo perchè i riferimenti non sempre si riescono ad intuire (come avviene molto facilmente, invece, con la parodia dei Visitors). Probabilmente sulla scia di “Uccelli d’Italia” con qualche mezzo in più sarebbe potuta nascere una sorta di Troma all’italiana (il feeling c’è tutto); del resto sappiamo tutti come venga visto un certo cinema dalle nostre parti, per cui probabilmente va benissimo già quello che abbiamo.

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