Risultati della ricerca per “black mirror” – lipercubo https://lipercubo.it/archivio _un blog_ Sun, 29 Dec 2024 13:58:05 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.1 https://lipercubo.it/archivio/wp-content/uploads/2024/08/Designer17-120x120.jpeg Risultati della ricerca per “black mirror” – lipercubo https://lipercubo.it/archivio 32 32 Guida breve al tecno-pessimismo https://lipercubo.it/archivio/tecno-pessimismo.html Sun, 29 Dec 2024 13:54:59 +0000 https://lipercubo.it/?p=99609 Tecnopessimismo in chiave pop, ovvero: Black Mirror. Una vision profondamente critica quanto radicale sulle nuove tecnologie, immersa nella cultura quotidiana in un formato accessibile, portata avanti con rigore quasi scientifico dagli episodi prodotti e ideati da Charlie Brooker. Non ci fu molto da discutere, all’epoca: le incursioni hacker nella vita di ogni giorno erano plausibili, realistiche. Rappresentavano un orrore tecnologico onnipotente, reale, effettivo, con numerosi e variegati personaggi immersi (loro malgrado) in paludi di bit, pronte ad afferrarli per le caviglie.

Divennero epitomo del rischio che i nostri dati privati finiscano in rete, e ci possano rimanere per sempre, esponendoci al pubblico ludibrio, al doxxing, al cyberbullismo. Soprattutto, c’è da puntualizzare, quelle scene erano lontane dalla plasticità stereotipata con cui si rappresentava, ad esempio, un hacker ridotto ai minimi termini, privo di spessore – come quello presente in Codice SwordFish intento a superare prove grottesche e inverosimili: hackerare in diretta, con una pistola puntata in testa nonchè durante un rapporto orale (sic).

Poi c’è la realtà di ogni giorno. Non ci sono certezze a riguardo, ma viene da pensare che i toni edulcorati e mitologici di certe opere non siano più applicabili. Niente più anti-eroi interpretati da attori celebri, neanche più classiche pornostar; c’è spazio per eroi quotidiani come Joker, al limite per qualche star di OnlyFans.

Siamo ben lontani dal classico perchè sappiamo quanto sia dura e indifferente la realtà, soprattutto da quando si è disvelata la blogosfera nella sua essenza più realistica: quella dei social, fatta di hacker più beceri e materialisti che mai, lontani da qualsiasi stereotipo idealistico, più simili al personaggio di Jenkins di South Park o, al limite, a Jeff Albertson dei Simpson che al personaggio interpretato da Hugh Jackman all’epoca. Da un punto di vista etico, hacker meno votati dogmaticamente al bene / al male di quanto le comuni narrazioni mainstream impongano.

Vale anche la pena di osservare – perchè non è un aspetto da poco – che gran parte della saggistica tecno-pessimista (e delle posizioni che ha generato, in modo diretto o indiretto) proviene da autori che non sono di formazione tecnologica, e che tendono a diagrammare la questione senza conoscere l’effettivo stato dell’arte –  senza neanche volerlo conoscere, a volte. Conoscerlo sarebbe essenziale, del resto, per avere un’idea di quantificazione anche grossolana del rischio, cosa su cui qualsiasi autore glissa e non sarebbe in grado di suggerire se il rischio sia 10, 100 o 1000: ci si limita a ridurlo ai minimi termini per superficialità, in certi casi, oppure al contrario a esacerbarlo, a volte per scopi di clickbait. Quanti articoli vi è capitato di leggere sul tema del tecno-pessimismo che raccontavano di IA pronte a schiacciare il genere umano, salvo poi rendersi conto che quella tecnologia era ancora in corso di sviluppo, era solo una speculazione di qualche guru o miliardario di turno, oppure non era ancora nemmeno stata messa in atto?

Scriveva Theodore John Kaczynski (giornalisticamente parlando: Unabomber) nel 1995:

Il continuo sviluppo della tecnologia peggiorerà la situazione. Essa sicuramente sottometterà gli esseri umani a trattamenti sempre più abietti, infliggerà al mondo naturale danni sempre maggiori, porterà probabilmente a una maggiore disgregazione sociale e sofferenza psicologica e a incrementare la sofferenza fisica in paesi “sviluppati.

Sia pure tenendo conto della sua biografia – dalla quale ovviamente non si può prescindere – è difficile dare totalmente torto a quelle affermazioni, che costituiscono forse uno dei testi più celebri in ambito anti-tecnologico. Una posizione tutt’altro che minoritaria, oggi, grottescamente anche sugli stessi social, dove in molti sembrano richiamarsi a quelle idee riuscendo, vale la pena puntualizzarlo, a tenerne fede solo in parte. Forse perchè il dado è già tratto da anni, e le nuove tecnologie sono già parte di noi, innestate nel nostro organismo come in un racconto di Gibson. Anche qui al netto degli stereotipi e di ciò che suggerisce l’intuito, la rivoluzione prefigurata da Kaczynski non sarebbe stata per forza violenta, da quello che desumiamo nei suoi scritti: il suo obiettivo (citiamo) sarà quello di rovesciare non i governi, ma i principi economici e tecnologici. O forse, come ha suggerito Giorgio Ruffolo non è la tecnologia che andrebbe demonizzata, bensì i principi economici che la regolamentano.

Il problema non è di agevole soluzione e quel che è peggio, a conti fatti, è che il tecno-pessimismo non è una posizione nè minoritaria nè agevole da smontare come fosse una bufala qualsiasi. Un problema c’è, risiede nel rimosso di ognuno di noi, e stiamo probabilmente tardando il momento di affrontarlo a dovere. Riprendere a considerare le tecnologie come mezzi e non come fini, ad esempio, può essere una potenziale piccola strategia per cominciare.

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Ecco l’impero dei sensi: l’eros psicoanalitico di Oshima che venne considerato contrario al buon costume https://lipercubo.it/archivio/ecco-limpero-dei-sensi.html Fri, 08 Nov 2024 10:21:08 +0000 http://lipercubo.it/?p=85017 Si tratta della storia di una giovane prostituta che diventa una sanguinaria killer, realmente esistita – nonchè ispiratrice di opere di vario genere e film su di lei (quello di Oshima è il secondo, in ordine cronologico). Una coproduzione internazionale tra Francia e Giappone, girata dal visionario e coraggioso Nagisa Oshima, destinato a suscitare numerose polemiche negli anni a venire e che valse ovviamente una singolare popolarità alla protagonista.

La vera storia di Sada Abe

Sada Abe era una giovane giapponese (nata nel 1905, data di morte non ufficialmente note) che aspirava a diventare una geisha; l’impatto con quel mondo non è dei migliori, in quanto viene relegata a soddisfare sessalmente i visitatori. Nel frattempo impara a suonare lo shamisen come tradizione imponeva e, dopo aver contratto la sifilide, decide di diventare una prostituta a tutti gli effetti. Conosce in seguito Kichizō Ishida, un uomo sposato con cui intrattiene una relazione clandestina: la storia racconta che rimasero a letto assieme per quattro giorni di seguito, e che Sada aveva sviluppato una forma di gelosia possessiva nei confronti dell’uomo, rivelando un’animo profondamente oscuro.

La gelosia diventa minaccia: Sada usa un coltello contro l’uomo per farle capire che fa sul serio e che lo vuole tutto per sè; in seguito, senza mai essere considerata seriamente da Kichizō, lo minaccia di castrarlo, il tutto dopo aver consumato l’ennesimo rapporto. Dopo una nuova notte di passione, Sada soffoca con la cintura il proprio amante fino ad ucciderlo, mediante una forma di asfissia erotica portata alle estreme conseguenze. In seguito castra il cadavere, scrive una frase d’amore con il sangue dell’uomo (Sada e Kichi, noi due), e tre giorni dopo viene arrestata. Al momento della cattura avrebbe affermato che il pene dell’uomo era il ricordo più caro che la legava a quella relazione.

Nella foto di archivio che viene associata al suo arresto Sada sembra sorridere, così come le autorità che l’avevano appena trovata (nel film viene detto che “risplendeva di felicità”: aveva letteralmente il partner, alla fine, tutto per sè).

Unknown author, Public domain, via Wikimedia Commons

Analisi del film

Tutti dovrebbero ormai conoscere, a quasi cinquanta anni dalla sua purtroppo claudicante distribuzione (dovuta a numerosi problemi con la censura), il mood esplicito e claustrofobico che presenta Ecco l’impero dei sensi fin dalle sue prime sequenze: nudi maschili e femminili in primo piano con nonchalance, corpi che hanno poco di erotico e che sembrano inermi a fronti degli amplessi; in molti casi vediamo anche, a riguardo, inusuali peni flaccidi (la teorica del cinema Isolde Standish si è spinta a sostenere, a riguardo, che questa scelta voglia intaccare l’assunto base della società patriarcale in cui, come in gran parte dell’hardcore sia professionale che amatoriale, il pene non può che essere in erezione). Molte scene di sesso non sono simulate e questo, alla lunga, disturba e fa riflettere anzichè eccitare; amplessi e sesso orale sono letteralmente ribaditi fino allo sfinimento dello spettatore; una protagonista che soffre di eretismo (uno stato clinico di perenne, instancabile e morbosa eccitabilità, il che non la rende troppo diversa dalla protagonista di Nymphomaniac). È altresì impossibile non pensare che film come Moebius siano stati molto ispirati dalla visione di quest’opera, che rimane sostanzialmente su una falsariga identica o molto simile.

La storia raccontata nel film è sostanzialmente fedele alle cronache dell’epoca, e la regia insiste sia sulle nudità (nella versione uncut, quantomeno) che su varie forme di perversioni sessuali, tra cui sadismo, masochismo, voyeurismo e pissing. Gran parte delle relazioni rientrano nel triangolismo:c’è sempre un terzo ad assistere all’amplesso e, in un caso, la cosa diventa vero e proprio cuckolding (triolismo), quando Sada invita l’amante ad avere un rapporto con una geisha più anziana per poter assistere alla scena.

Sinossi del film

Si racconta di un hotel in cui la giovane ex prostituta protagonista va formalmente a lavorare come cameriera. Nelle sequenze iniziali viene molestata da un’altra ragazza dell’hotel, alle cui avances risponde con fastidio. Notata dal proprietario, inizierà una passionale relazione clandestina con lui, basata sulla concretizzazione di fantasie sessuali di vario ordine e grado. Non ultimo, quella per cui il rapporto diventa quasi equivalente a quello tra una mistress e uno slave.

Spogliati! Non sopporto di vederti vestito.

Il rapporto è basato sull’idolatria reciproca (almeno all’inizio), sull’autoindulgenza esasperata (i due partner acconsentono a qualsiasi desiderio dell’altro, in modo sostanzialmente passivo, e indulgendo sempre più sull’abuso e sulla violenza) finchè la relazione non si capovolge inesorabilmente: Kichizo, da ricco proprietario sicuro di sè (nonchè simbolo della potenza fallica) diventa remissivo, sempre più sottomesso ai desideri di Sada, la quale – da ragazza timida e riservata – appare sempre più insaziabile, tanto da esigere ripetuti rapporti e una costante erezione da parte dell’uomo. Allo zenith della possessione, Safa prende possesso del corpo dell’uomo e minaccia apertamente Kichizo: se avrà altri rapporti con sua moglie, lo ucciderà. La relazione diventa sempre più aperta e priva di inibizioni, tanto da prevedere rapporti dei due anche in presenza di sconosciuti.

A dispetto del suo impianto visivo esplicito e – solo in apparenza – assimilabile ad un film erotico o addirittura pornografico, Ecco l’impero dei sensi si colloca tra vari rimandi alla cultura giapponese, a cominciare dalla figura delle geisha (芸者), artiste tradizionali in grado di suonare (come si vede più volte nel film) e danzare, spesso confuse con prostitute di lusso per quanto il loro ruolo non preveda, formalmente, nulla di sessuale. Il contesto è fondamentale per inquadrare una trama che si ambienta all’inizio del novecento e che, è bene tenerlo a mente, si basa su una vera storia. Se è vero che la prima metà del film può risultare difficile da seguire senza abbandonarsi a considerazioni spicciole, è la seconda che mostra l’autentico climax che rende L’impero dei sensi uno dei capolavori del cinema erotico: la relazione tra i due non è solo sesso, ma è diventata amore non corrisposto (Sada che esplode in un pianto liberatorio durante l’ennesimo amplesso), e nel contempo esce fuori la futilità delle altre relazioni mostrare (quella tra Sada e l’insegnante che la rifiuta pubblicamente).

Alla base di In the Realm of the Senses vi è una chiave di lettura di tipo psico-sessuale, che prende ispirazione almeno in parte dagli scritti di Georges Bataille. Dell’erotismo si può dire – scrive il filosofo e antropologo nel suo saggio L’erotismo che esso è […] l’erotismo è l’approvazione della vita fin dentro la morte. In effetti, benché l’attività sessuale sia all’inizio un’esuberanza di vita, l’oggetto di quella ricerca psicologica, indipendente, come ho detto, dal proposito della riproduzione, non è affatto estraneo alla morte.” per giustificare questo bizzarro paradosso, l’autore richiama l’attenzione di chi legge agli scritti del marchese De Sade, per il quale “il modo migliore di familiarizzare con la morte è quello di legarla a un’idea libertina“. Il che è esattamente quello che fa la sceneggiatura di Nagisa Ōshima, nel rappresentare una relazione clandestina che non sfigurerebbe, per come viene presentata, in un qualsiasi film erotico, mentre sono i significati delle frasi stesse pronunciate negli scarni dialoghi a cambiare senso: su tutti, non ci lasceremo più, affermazione e richiesta topica per qualsiasi amante che verrà interpretata fin troppo alla lettera.

Può anche esistere un riferimento alla classica penisneid freudiana, l’invidia del pene, resa esplicita dalla sequenza – poco ricordata dai più – in cui Sada si ritrova a giocare con due bambini, scorge la nudità del maschietto e ne prova un’attrazione che fa emergere un pesante senso di colpa. La penisneid in questa veste potrebbe essere stata rappresentata dal regista in modo letterale, così come il complesso di castrazione affliggerebbe – dualmente –  il protagonista maschile, a proprio agio con qualsiasi pratica sessuale quanto ossessionato, paradossalmente, dall’idea di perderlo per sempre. La liberazione di Sada avviene, non a caso, durante l’asfissia erotica che porterà la morte, in cui Sada afferma in estasi di avvertire il fallo “muoversi da solo dentro di lei”, conferendogli l’autonomia che tanto agognava e dando una motivazione al “taglio di coda” finale. La morte del protagonista, peraltro, viene vista dal regista come un sacrificio necessario, quasi un gesto di liberazione che l’uomo quasi accetta di buon grad, nella disperazione di non poter più reggere quella relazione.

Per quello che ne resta oggi, vale la pena anche l’assonanza sintattica – forse randomica – tra De Sade e il personaggio di Sada (che si rivelerà giusto una sadica possessiva, a dispetto di una relazione padrone-domestica che ha inizio in termini invertiti; in questo, potrebbero esserci degli echi del personaggio di Asami, visto in Audition di Takashi Miike), ma anche tra eretismo ed erotismo, a suggellare un potenziale legame semantico tra i due che, se fosse vero, renderebbe il sesso inquietante per definizione, a qualsiasi latitudine.

La lettura di Jacques Lacan

Nel libro Seminario XXIII – IL SINTHOMO, relativo ad uno dei suoi numerosi seminari aperti al pubblico, Jacques Lacan affronta una lettura psicoanalitica degli scritti di James Joyce, e da’ un significato profondo al flusso di coscienza che era in grado di produrre i suoi lavori. Nel capitolo XVIII (Del senso, del sesso e del reale) Lacan racconta al pubblico di aver visto Ecco l’impero dei sensi durante una proiezione privata, nel marzo 1976, quando il film non era ancora nemmeno uscito nelle sale. Lacan vede nel personaggio di Sada Abe l’erotismo femminile spinto all’estremo, quale delirante presenza fantasmatica che, dopo aver ucciso il partner, lo evira e si porta via il membro (“la coda”, come viene ironicamente chiamata dallo psicoanalista).

Viene da chiedersi perchè non l’abbia fatto prima, suggerisce Lacan, ed il motivo è legato sia ad una forma di consumo della relazione – che è sempre più ossessiva, claustrofobica e insostenibile per lo spettatore e per il protagonista – che non può che culminare nella morte, unita all’esigenza di possedere ciò che ha reso la relazione stessa feticistica, ovviamente il pene del padrone. La castrazione diventa orrendamente sostitutiva dell’uomo e della sua sessualità, si arriva alla conclusione che non possa esistere un Altro con cui fare l’amore: l’uomo fa l’amore col proprio inconscio, come dovrebbe essere evidente anche dalla pratica dell’autoerotismo, mentre La Donna prolifica, come un dio, proprio come vediamo nel film. Tanto da potere e volere disporre a piacimento del corpo maschile, imponendosi con una violenza che è prima mentale e psicologica e poi, di conseguenza, fisica.

Censura del film

Il film ebbe una distribuzione complicata già all’epoca dell’uscita: in Giappone venne bloccato all’origine, il regista subì un processo da cui venne assolto negli anni 80 e non uscì prima dell’anno 2000; in Italia la Medusa si era impegnata a far uscire il film con dei tagli di censura, ma la Commissione decide contro la distribuzione, “in considerazione del quasi ininterrotto susseguirsi di accoppiamenti e perversioni sessuali, spesso rappresentati attraverso l’esposizione di nudi integrali e di dettagli anatomici dei protagonisti, ciò che – unitamente al clima di esasperato erotismo che caratterizza la vicenda – rende il film nel suo complesso, oltre che nelle singole scene, contrario al buon costume“. Altro che Bataille, Lacan, psicoanalisi, parafilie e questione fallica: Ecco l’impero dei sensi viene bollato all’istante come film letteralmente “maleducato”, e anche i successivi tentativi di farlo circolare non vanno a buon fine. Fu disponibile sul mercao una versione tagliata per altri anni ancora, fino al 2003 in cui finalmente arriva la versione uncut a cura della Ripley’s Home Video. (fonte)

Le scene di sesso non simulato

Da un lato il film parte dai presupposti tipici di ogni fantasia erotica: una persona comune che viene coinvolta in un’esperienza sessuale che assume, per molti versi, il carattere di un gioco ossessivo e ripetitivo, di un esperimento che presto sfuggirà di mano. Una cameriera che diventa oggetto di attenzioni sessuali, nello specifico, che è un topos classico per molte situazioni del genere, il quale peraltro vìola scabrosamente sia la relazione coniugale dell’uomo che – forse soprattutto – il tabù della relazione interpersonale tra padrone e persona di servizio, il che rende ancora più significativo, inaccettabile e problematico l’instaurarsi del rapporto. Gli amplessi ripetuti, ostentati, riproposti con la fredda camera che li ripropone come un ossessivo di flusso di coscienza, creano un disagio interiore nello spettatore che nessun film pornografico, neanche il più audace o estremo, sarebbe probabilmente in grado di proporre in quella veste. L’impero dei sensi è psicoanalisi erotica nella forma più raffinata, sfruttando una forma cinematografica che potrebbe essere ricondotta ad una sorta di neorealismo erotico.

Il godimento degli attori è reale, sia in senso simbolico che sostanziale: manca la dimensione ostentativa tipica dei film hard, in cui il gemito è urlato, tanto da apparire irrealistico, pura forma, uno status symbol, un modo per rendere didascalico l’amplesso (“attenzione: noi stiamo godendo!“), un modo per far capire senza equivoci al più ingenuo degli spettatori quello che si fa. Oshima si libera di questi orpelli – a loro modo tanto terrificanti quanto de-sensualizzanti per il genere – e ribalta qualsiasi assunto stereotipato: la forza de L’impero dei sensi, pertanto, non si limita a costruire presupposti tipici dei film erotici in cui le relazioni di potere sono simboleggiate in termini sessuali (Salon Kitty, per intenderci). C’è anche questo ma si va olte: Oshima rappresenta un sesso autentico, non simulato, realistico al massimo, anche a costo di de-sensualizzarlo, mostrare erezioni tutt’altro che perfette, ostentare sesso orale che sembra non avere alcuno scopo, rendere progressivamente l’impianto scenico sempre più esplicito e sempre meno eccitante. Eppure l’esperienza sessuale del singolo non è troppo diversa da quella rappresentata, in quanto è a volte segnata da equivoci, richieste non facili da accondiscendere o negare (la richiesta di essere soffocati, ad esempio), immaginari, situazioni e gradi di coinvolgimento che possono essere, in alcuni casi, sulla falsariga di quanto rappresentato nel film. E poi gli imbarazzi, i fastidi, il sesso che si consuma all’infinito ma poi non basta più, la perenne insoddisfazione interiore, l’attrazione fisica che muta serpentinamente in desiderio di possesso, esclusività e gelosia dell’altro. Chiunque non abbia ancora visto L’impero dei sensi, in altri termini, farebbe bene a provvedere quanto prima: perchè la sua forza ed il suo quid (sociale, politico e figurativo) sono ancora oggi molto attuali, tanto più che si parla di sesso e relazioni in maniera ancora problematica, e quella di Oshima è una buona doccia gelata per le nostre coscienze.

Per quanto non si tratti ovviamente di un film mainstream, data la sua forma in grado di sfidare la comune convenzione (il regista disse a riguardo che “L’impero dei sensi è diventato il perfetto film pornografico in Giappone, perchè non può essere visto. La sua stessa esistenza è pornografica, indipendentemente dal contenuto. Una volta visto, L’impero dei sensi non sarebbe più tale…”), unita la sua reperibilità non elevatissima (su Prime Video di Amazon, ad oggi, è disponibile con l’abbonamento a MUBI), Ecco l’impero dei sensi ha fatto scalpore per via delle numerose e ripetute scene di sesso reale.

Una scelta che non può essere casuale, ovviamente, e che non ha risparmiato censure e blocchi in vari paesi mondiali, sempre per motivazioni censorie. Il film contiene scene di attività sessuale non simulata tra gli attori, tra cui Eiko Matsuda e Tatsuya Fuji. La circostanza nel ginema è stata tutt’altro che infrequente, a ben vedere, dato che esistono almeno altri 273 film non pornografici (fonte: Wiki inglese) contenenti scene di sesso reale incluse nel girato. La lista che abbiamo reperito ad oggi include i seguenti titoli (sono riportati il più delle volte i titoli internazionali, quelli italiani solo qualora disponibili).

They Call Us Misfits
Blue Movie
99 Women
Double Face
Quiet Days in Clichy
Groupie Girl
The Deviates
Bacchanale
Kama Sutra ’71
Cry Uncle!
Slaughter Hotel
A Lizard in a Woman’s Skin
Luminous Procuress
Secret Rites
A Clockwork Blue
Pink Flamingos
Who Killed the Prosecutor and Why?
La verità secondo Satana [it] (lit. The Truth According to Satan)
So Sweet, So Dead
The Red Headed Corpse
Commuter Husbands
Delirium (Delirio caldo [it])
Christina, the Devil Nun (Cristiana monaca indemoniata [it])
I Jomfruens tegn [da] (Danish Pastries)
Ingrid sulla strada [it] (Ingrid the Streetwalker )
Thriller – A Cruel Picture
Revelations of a Psychiatrist on the World of Sexual Perversion (Rivelazioni di uno psichiatra sul mondo perverso del sesso [it])
A Scream in the Streets
The Devil in Miss Jones
Fleshpot on 42nd Street
The Other Side of the Mirror (Al otro lado del espejo [es], Le Miroir obscène [fr], Al otro lado del espejo [it])
Sinner: The Secret Diary of a Nymphomaniac (Le Journal intime d’une nymphomane [fr])
A Virgin Among the Living Dead
The Sinful Dwarf
The Devil’s Plaything
Anita: Swedish Nymphet
The Sex Thief
The Porn Brokers
Emmanuelle
The Eerie Midnight Horror Show
Zelda [it]
I Tyrens tegn [da] (In the Sign of the Taurus)
Score
Riot in a Women’s Prison (Prigione di donne [it])
The Girls of Kamare
La Bonzesse [fr]
Sweet Movie
Flossie [fr; sv]
Immoral Tales
Lorna the Exorcist
Countess Perverse (La Comtesse perverse [fr])
Carnal Revenge (Carnalità)
Keep It Up, Jack
The Hot Girls
Voodoo Sexy (Il pavone nero [it])
I Tvillingernes tegn [da] (In the Sign of the Gemini)
Der må være en sengekant [da] (Come to My Bedside)
The Image
Number Two
The Teenage Prostitution Racket (Storie di vita e malavita [it])
Black Emanuelle
Emanuelle’s Revenge
Felicia (Les mille et une perversions de Felicia)
But Who Raped Linda?
Female Vampire
Les Chatouilleuses [fr] (Le sexy goditrici [it])
L’Éventreur de Notre-Dame [fr] (Exorcism)
Justine and Juliette (Justine och Juliette [sv])
The Bloodsucker Leads the Dance
Lips of Blood
Rêves pornos (Le Dictionnaire de l’érotisme)
Wham! Bam! Thank You, Spaceman!
Breaking Point
Rolls-Royce Baby
Girls Come First
The Sexplorer
Le Sexe qui parle
Barbed Wire Dolls
Emanuelle in Bangkok
Luxure [fr] (Lust)
The Opening of Misty Beethoven
Alice in Wonderland (commedia musicale erotica)
Sømænd på sengekanten [da] (Bedside Sailors)
I Løvens tegn [da] (In the Sign of the Lion)
In the Realm of the Senses . Ecco l’impero dei sensi
Through the Looking Glass
A Real Young Girl
Die Marquise von Sade
Girls in the Night Traffic
The French Governess (Calde labbra [it])
Inhibition [it]
Around the World in 80 Beds (In 80 Betten um die Welt, Mondo Erotico)
Sex Express
Keep It Up Downstairs
Secrets of a Superstud
The Office Party
The Angel and the Woman
Agent 69 Jensen i Skorpionens tegn [da] (Agent 69 in the Sign of Scorpio)
Shining Sex [it]
Fate la nanna coscine di pollo (Amasi Damiani)
Blue Rita (Le Cabaret des filles perverses [fr])
Emanuelle in America
Emanuelle Around the World
Sister Emanuelle
Nazi Love Camp 27
Under the Bed
The Mark
The Ceremony
Monsieur Sade [fr]
Caligula’s Hot Nights (Le calde notti di Caligola [it])
Agent 69 Jensen i Skyttens tegn [da] (Agent 69 Jensen in the Sign of Sagittarius)
Behind Convent Walls (Interno di un convento [it])
Blue Movie [it]
Sister of Ursula (La sorella di Ursula [it])
The Coming of Sin (La visita del vicio)
Pleasure Shop on the Avenue (Il porno shop della settima strada [it])
You’re Driving Me Crazy
Immoral Women
Caligula
Images in a Convent
Play Motel
Giallo a Venezia
Malabimba – The Malicious Whore
Bare Behind Bars
Beast in Space (La bestia nello spazio [it])
Blow Job (Soffio erotico)
La gemella erotica [it]
Erotic Nights of the Living Dead
Sesso nero – Exotic Malice
Flying Sex (Sesso profondo [it])
Libidomania 2 (Sesso perverso, mondo violento [it])
Quando l’amore è oscenità [it] (lit. When love is obscenity)
Hard Sensation [it]
Hotel Paradise (Orinoco: Prigioniere del sesso)
Sex and Black Magic (Orgasmo nero [it])
Porno Esotic Love [fr] (Sexy Erotic Love )
The Porno Killers (Le porno killers [it])
Spetters
Taxi zum Klo
Fruits of Passion
Emmanuelle in Soho
Porno Holocaust
Caligula… The Untold Story
Scandale
Apocalipsis sexual [it] (lit. Sexual apocalypse)
Aphrodite
Il nano erotico
My Nights with Messalina (Bacanales Romanas)
The Virgin for Caligula (Una virgen para Caligula)
Luz del Fuego
Perdida em Sodoma
Killing of the Flesh (Delitto carnale [it])
Satan’s Baby Doll
Taking Tiger Mountain
Emmanuelle 4
Lillian, the Perverted Virgin [Lilian (la virgen pervertida)]
The Alcove
James Joyce’s Women
Devil in the Flesh
Emmanuelle 5
Emmanuelle 6
Hotel St. Pauli
Kindergarten
Kinski Paganini
トパーズ (Also known as: Tokyo Decadence and Topāzu)
The Soft Kill
La fille seule (English title: A Single Girl)
Xue Lian (English title: Trilogy of Lust)
La Vie de Jésus (English title: The Life of Jesus)
Idioterne (English title: The Idiots)
L’Ennui
Fiona
Jezus is een Palestijn (English title: Jesus is a Palestinian)
Romance
Pola X
The Man-Eater (La donna lupo)
Guardami
Vampire Strangler
Lies (Gojitmal)
Tokyo Elegy (Shabondama Elegy)
Baise-moi
Scrapbook
Intimacy
Le Pornographe (English title: The Pornographer)
Lucía y el sexo (English title: Sex and Lucia)
Hundstage (English title: Dog Days)
The Center of the World
Lazaro’s Girlfriend (La novia de Lázaro)
Le loup de la côte Ouest (English title: The Wolf of the West Coast)
Blissfully Yours (S̄ud s̄aǹeh̄ā)
Choses secrètes (English title: Secret Things)
Ken Park
The Brown Bunny
Private (Fallo!)
Rossa Venezia
The Principles of Lust
Anatomie de l’enfer (English title: Anatomy of Hell)
9 Songs
Story of the Eye
Kärlekens språk 2000
Stupid Boy (Garçon stupide)
All About Anna
Battle in Heaven
8mm 2
Kissing on the Mouth
天邊一朵雲 (English title: The Wayward Cloud)
Princesas
Lie with Me
Destricted
Shortbus
Taxidermia
Les Anges Exterminateurs
Auftauchen (Also known as Amour fou)
Ex Drummer
It Is Fine! Everything Is Fine.
The Story of Richard O. (L’histoire de Richard O.)
Import/Export
Lust, Caution
Serbis (English title: Service)
Tropical Manila
Otto; or Up with Dead People
À l’aventure
Amateur Porn Star Killer 2
Gutterballs
House of Flesh Mannequins
Antichrist
Enter the Void
The Band
Engel mit schmutzigen Flügeln (Angels with Dirty Wings)
Now & Later
Human Zoo
Bedways
Rio Sex Comedy
The Bunny Game
Año bisiesto (English title: Leap Year)
Gandu
LelleBelle
Q (English title: Desire)
愛很爛 (English title: Love Actually… Sucks!)
Chatrak (English title: Mushrooms)
Caged
Léa
The Wrong Ferarri
The Slut
Clip
Starlet
Paradise: Faith
They Call It Summer (E la chiamano estate)
I Want Your Love
Sexual Chronicles of a French Family (Chroniques sexuelles d’une famille d’aujourd’hui)
The Dark Side of Love
Nymphomaniac
Pornopung
Stranger by the Lake
Wetlands
Pasolini
Diet of Sex
Angry Painter (Sungnan Hwaga)
Love
Much Loved (Zin Li Fik)
Melon Rainbow
Paris 05:59: Théo & Hugo
We Are the Flesh (Tenemos la carne)
Needle Boy
Love Machine (Mashina Lyubvi)
The Night (La noche)
A Thought of Ecstasy
Ana, mon amour
Picture of Beauty
Portraits of Andrea Palmer
Marfa Girl 2
Mektoub, My Love: Intermezzo

Dove vedere il film?

Il DVD di cui sopra è reperibile in DVD Terminal Video come Impero dei sensi, per quanto esistano molte altre opere del regista. Ecco l’impero dei sensi è comunque disponibile in streaming su Prime Video.

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Guida pratica al panottico (πανόπτικον) https://lipercubo.it/archivio/panottico.html Thu, 07 Nov 2024 18:21:05 +0000 https://lipercubo.it/?p=91407 Quello che ci offre il Panottico è una visione paradigmatica del controllo sociale, uno strumento potentissimo per manipolare e modellare il comportamento umano. Bentham, in tutta la sua genialità, ha forgiato questa prigione delle menti umane, dove un occhio invisibile osserva costantemente, ma non conosciamo mai il momento preciso dell’osservazione. Il concetto di Panottico è diventato ampiamente noto grazie alle opere di Jeremy Bentham e ha influenzato notevolmente il pensiero filosofico e sociologico sulla sorveglianza, il potere e il controllo sociale. Bentham coniò il termine “panopticon” per descrivere questa struttura, basandosi sulla sua etimologia greca e latina.

Il Panottico, o Panopticon, è un concetto architettonico e sociale ideato dall filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham nel XVIII secolo. Si tratta di un modello di prigione o istituzione di sorveglianza che ha lo scopo di ottenere un controllo costante ed efficace su un gran numero di individui con il minimo sforzo da parte dei sorveglianti.

Pensateci bene, siamo tutti potenziali detenuti in questa struttura di controllo. La paura di essere sorvegliati in qualsiasi momento ci induce a conformarci, a piegarci alle norme, anche quando nessuno ci sta osservando effettivamente. Ecco il vero potere del Panottico, una sorta di auto-sorveglianza interiore che si attiva, e questa auto-sorveglianza, questa disciplina auto-imposta, è il più subdolo dei poteri. Ma sappiamo che questo modello è imperfetto, perché, come sempre, c’è un gioco di potere in gioco. Chi detiene davvero il potere, chi controlla l’occhio che guarda? Non possiamo essere ingenui riguardo a chi ha il controllo sul Panottico. Potrebbe essere un potere centrale, un governo, o un’autorità invisibile e onnipresente, come la società stessa, le norme sociali, le aspettative internalizzate. E qui arriva il colpo di genio di Bentham: anche se il Panottico non esiste fisicamente, il suo modello permea la nostra società moderna. Le tecnologie di sorveglianza, i social media, il controllo digitale, tutto ciò sono strumenti moderni del Panottico. La nostra vita è sottoposta a un costante scrutinio digitale, e spesso siamo noi stessi a fornire volentieri i dettagli delle nostre vite.

Panottico in chiave paranoica

Sviluppare il Panottico come emblema per un uomo paranoico e psicologicamente fragile richiederebbe una rappresentazione che catturi i temi di sorveglianza e controllo, ma con un’attenzione particolare alla fragilità psicologica e alla paranoia dell’uomo moderno, immerso nei social e in un mondo che gli piace sempre meno. Ambientazione claustrofobica. Questo potrebbe simboleggiare la sensazione di essere intrappolati e costantemente sorvegliati, tipica della paranoia. Un occhio stilizzato e onniveggente, rappresentato come simbolo centrale.

Una catena spezzata o un simbolo di prigionia rotta potrebbe rappresentare il desiderio di liberarsi dal controllo e dalla sorveglianza oppressivi, simboleggiando il desiderio di rompere con le paure paranoiche. Potrebbero essere presenti espressioni o elementi che rappresentano l’ansia e la tensione psicologica, come linee spezzate, forme contorte o colori discordanti. Alcuni elementi che rappresentano la mente potrebbero essere inclusi per riflettere la fragilità psicologica, come labirinti, ingranaggi o vortici, suggerendo un flusso confuso di pensieri e paure. L’uso di colori scuri o cupi, come il nero, il grigio e il blu scuro, potrebbe sottolineare la natura oscura e opprimente della paranoia e della fragilità psicologica.

L’emblema dovrebbe essere realizzato con sensibilità e attenzione per non enfatizzare eccessivamente la paranoia o rafforzare idee deliranti, ma piuttosto rappresentare simbolicamente l’esperienza emotiva del paranoico e psicologicamente fragile, incoraggiando un’empatia verso la sua lotta interiore.

Significato panottico

L’etimologia della parola “panottico” deriva dal greco antico: la parola “pan” (πᾶν) nel greco antico significa “tutto”, “ogni cosa”, mentre “optikon” (ὀπτικόν) significa “relativo alla visione” o “ciò che vede”. Insieme, “panopticon” (πανόπτικον) significava “che vede tutto”, letteralmente “tutto ciò che vede”.

Questo termine fu poi adottato nella lingua inglese dal filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham nel XVIII secolo per descrivere il concetto architettonico e sociale da lui ideato. Il Panottico era un modello di prigione o istituzione di sorveglianza che permetteva a un unico punto di osservazione di vedere tutti i detenuti o soggetti sorvegliati, creando così un costante senso di vigilanza e controllo.

Film e serie TV ispirate al panottico

Questi film e serie televisive esplorano il tema del controllo sociale, della sorveglianza e della manipolazione delle masse, spesso offrendo spunti di riflessione sulla nostra società e sul futuro delle tecnologie.

  1. The Truman Show” (1998) – Questo film diretto da Peter Weir è un esempio classico di un individuo che vive in un ambiente controllato e sorvegliato senza saperlo. Il protagonista, interpretato da Jim Carrey, vive in una città fittizia dove ogni aspetto della sua vita è trasmesso in diretta televisiva.
  2. The Circle” (2017) – Un film diretto da James Ponsoldt basato sull’omonimo romanzo di Dave Eggers. Affronta il tema dei social media e della sorveglianza digitale, dove una giovane donna viene assunta in un’importante società tecnologica che promuove la trasparenza estrema e il controllo dei dati personali.
  3. “Gattaca” (1997) – Un film di fantascienza che esplora temi di eugenetica e controllo genetico. La società è organizzata in base al perfezionamento genetico, e chi non ha le qualità genetiche desiderate viene emarginato.
  4. “Equilibrium” (2002) – Questo film distopico presenta un futuro in cui le emozioni sono considerate illegali e soppresse attraverso l’uso di una droga. La società è altamente controllata e qualsiasi forma di espressione emotiva è punita.
  5. Black Mirror” (2011-2019) – Una serie televisiva antologica che esplora le implicazioni sociali e psicologiche delle tecnologie avanzate, spesso mettendo in evidenza la sorveglianza, la perdita di privacy e il controllo sociale.
  6. “Minority Report” (2002) – Un film di fantascienza diretto da Steven Spielberg, basato su un racconto di Philip K. Dick. La trama coinvolge un’unità speciale di polizia in grado di prevenire i crimini futuri attraverso la visione dei “precog”, individui in grado di vedere il futuro.

Immagine di copertina generata da DALL E (a dark modern panopticon).

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Black Mirror 6 funziona solo a sprazzi https://lipercubo.it/archivio/black-mirror-6.html Sun, 25 Jun 2023 23:46:40 +0000 https://lipercubo.it/?p=90749 Abbiamo visto i primi due episodi della nuova serie di Black Mirror (la numero 6), e ve ne parliamo qui. Uscita il 15 giugno 2023, come sempre si incentra sugli abusi tecnologici e sull’alienazione indotta dalle nuove tecnologie. I toni, pero’, sembrano essere cambiati rispetto alle origini. l’articolo sarà aggiornato volta per volta come finirò di vedere i nuovi episodi.

Joan è terribile (stagione 6, episodio 1, 2023)

Il ritorno di Black Mirror per la sesta stagione parte da un presupposto voyeuristico o paranoico (dipende dal punto di vista, ovviamente): Joan Tait lavora per una multinazionale, ricopre un incarico importante e sembra condurre un’esistenza ordinaria. Nella vita privata appare confusa, in quella lavorativa si dimostra sostanzialmente conformista e tendente alla passività. Dopo aver incontrato in segreto il proprio ex, torna a casa dall’attuale fidanzato. La cena avviene mentre guardano Streamberry, una piattaforma di streaming con una vasta gamma di proposte (si tratta ovviamente di un meta-riferimento a Netflix stessa).

Sarebbe una giornata come tante, se non fosse che la coppia scopre la serie Joan è terribile, dove Joan è lei stessa, la protagonista dell’episodio (nella serie di Streamberry, viene interpretata da Salma Hayek). Si scopre che l’azienda ha creato una serie sulla sua vita a sua insaputa, che poteva farlo, perchè era previsto in una clausola nascosta dei termini e condizioni del servizio, e il tutto la manda definitivamente in crisi: non solo perchè si sente sfruttata per l’audience (come il buon Truman Burbank in The Truman Show), ma soprattutto perchè la serie ricalca tutto quello che succede davvero nella sua vita privata (inclusi i dettagli più piccanti). Siamo alle solite, insomma: Black Mirror – in questa sede con la regia di Ally Pankiw e il soggetto di Charlie Brooker – insiste sul consueto registro dedicato alle violazioni della privacy facendo leva sulle nuove tecnologie.

Si potrebbe discutere indefinitamente su come e quanto si riesca nell’obiettivo, ma sembra che qualcosa sia cambiato nell’andazzo: il registro dell’episodio è sostanzialmente light, non ha nulla dei toni delle origini, e anzi finisce per sfruttare una trovata che sa abbastanza di “pecoreccio” al fine di alimentare  il mood grottesco. È abbastanza inspiegabile come si arrivi alla trovata della defecazione in chiesa (perchè succede anche questo, con una Joan in preda all’esasperazione): non tanto per la trovata in sè, ma per come i personaggi ne parlano e ci ritornano a più riprese. Sembra più di assistere ad un film tipo Un milione di modi per morire nel West (una commedia diretta dall’artefice dei Griffin, Seth Mac Ferlaine, dove l’umorismo segue quella falsariga e risulta in stile stand up comedy) che ad un episodio di Black Mirror, che da sempre presente una sostanziale seriosità alla base del proprio successo.

Insomma, se uno non prende sul serio una serie del genere – perchè questo succede, se la si mette su quel piano – che ne sarà del resto? L’episodio è stato ben marketizzato per la presenza della Hayek, presenta molte sequenze sopra le righe e non mancano i colpi di scena più accattivanti, ma finisce per essere debole, al netto delle trovate del finale e delle scatole cinesi che lo caratterizzano (quasi nolaniane, verrebbe da scrivere). È la stessa idea di Strade perdute di David Lynch elevata all’ennesima potenza, alla fine: lì si rappresentava il conflitto lacerante tra Es e Superio, qui si vorrebbe simboleggiare  ogni persona / personaggio come il vuoto contenitore di un altro, tanto che nessuno è sicuro di essere se stesso e, come dire, siamo tutti Truman Burbank, ma siamo pure in un film di Nolan, forse anche di Lynch, io stesso non sono sicuro di essere io a scrivere – per non parlare di voi che state leggendo.

D’altro canto è interessante come abbiano fatto rientrare i deepfake (cioè i video realistici generati artificialmente) nella storia, e l’idea che la loro diffusione di massa possa portare a serie TV basate sulle vite degli abbonati ed interpretati da attori digitalizzati quasi inconsapevoli dello sfruttamento della loro immagine. Questo funziona, senza dubbio, ma non è nemmeno il vero focus della storia. Resta il fatto che Salma Hayek sia probabilmente la migliore interprete dell’episodio, in una originale e autoironica interpretazione di se stessa. Va benissimo che si scomodi un computer quantistico per concepire la potenza di calcolo in ballo, per inciso, perchè non sarebbe potuto essere un server o un Macbook: Streamberry sta creando delle serie TV per tutti i propri abbonati, auto-tutelandosi con un furbesco contratto e investendo sul computer quantistico per sopperire alle necessità di calcolo. Ma anche qui: i terms & conditions che non legge nessuno e che autorizzano futuri abusi sono cose già viste, ci erano arrivati Trey Parker & Matt Stone con l’episodio del 2011 HUMANCENTiPAD, nel quale ignare vittime firmavano termini e condizioni prolisse accettando di diventare un centipede umano (viene da pensare che la coprolalìa fosse più azzeccata, in quella circostanza, per quanto più marcata). L’impressione generale sull’episodio da un punto di vista dell’allerta tecnologica, del resto, potrebbe risultare distorta: un conto sarebbe stato parlare di smart TV, smartphone, dispositivi X o Y che spiano le persone e le registrano, altro conto è lasciare il riferimento talmente vago e inafferrabile che, per assurdo, il personaggio di Joan non si capisce con quali modalità venga spiata.

Andrebbe tutto bene, insomma, se non fosse che l’impianto narrativo scricchiola: non solo per i motivi indicati, ma anche perchè le reazioni di alcuni personaggi sono poco credibili (eufemismo: quando Joan scopre di essere spiata, in modo peraltro parecchio didascalico, nemmeno fa il tentativo di spegnere o distruggere il proprio smartphone). L’idea dei personaggi parte di un teatrino digitale di cui non sono consapevoli è peraltro vecchiotta, e pur senza citare per forza il sempiterno Matrix vale la pena ricordare che ha almeno un precedente di culto (L’invenzione di Morel). A poco vale, per inciso, che un personaggio specifichi che la serie segue il pattern “X è terribile” perchè quella negatività aiuta l’audience: rischia solo di sembrare molto didascalico, col senno di poi, senza contare che non rende giustizia al comportamento del personaggio di Joan, che ricorda in parte la più tipica profezia che si autoavvera (con il suo modo di fare e di porsi, in sostanza, finisce per essere lei stessa la causa dei problemi che le capitano).

Si lascia il riferimento tecnologico vago – e questo è considerabile un “delitto”, per un episodio del genere – ma poi si fa riferimento alla circostanza dei dispositivi che spiano le persone per poi mostrare pubblicità a tema, circostanza circoscritta a casi e dispositivi specifici nella realtà, da sempre ventilata dalla qualunque ma mai provata da nessun ricercatore (e dovuta, per quanto ne sappiamo oggi, ad un mix di confusione, imperizia ed effetto primacy). Se fosse vera e provata una cosa del genere, del resto, sarebbe una rivoluzione tecnologica, che ad oggi non è ancora avvenuta – per cui potremmo giustificare la scelta in termini avvenieristici per quanto, anche stavolta, lo si faccia un po’ a fatica. Un conto è darlo per assodato (quando non lo è), insomma, altro conto sarebbe stato porre il problema dell’uso critico delle tecnologie in modo più scientifico (che rimane sacrosanto e desiderabile, ovviamente).

La serie ha sempre premuto sulla propria orgogliosa “nerdaggine” – che nei primi episodi era a prova del debunker più sprezzante, geek e disilluso del pianeta – ma qui si è fatto un qualcosa di inedito, il che non lo rende esattamente un brutto episodio (le interpretazioni restano di livello e ci si diverte, alla fine), ma il tutto sembra relegato a una dimensione al limite dell’autocelebrativo, da parodia di se stessa. E questo, probabilmente, sarebbe stato meglio non farlo – pena rischiare di autodistruggere l’impianto stesso della serie.

Loch Henry (stagione 6, episodio 2, 2023)

Questo episodio per fortuna è qualitativamente superiore al precedente, per quanto riutilizzi topòs classici del cinema dell’orrore di due decadi fa: a cominciare da V/H/S (la storia è quella di due giovani registi che vogliono esordire), passando per  Le cronache dei morti viventi, ma potremmo citarne tantissimi altri, limitandoci a ricordare il clamoroso The last horror movie ma soprattutto la trilogia horror August Underground, un prodotto ultra amatoriale e talmente assurdo che in pochi, oggi, ricorderanno (era il racconto degli omicidi di alcuni sedicenti autentici serial killer girato interamente in soggettiva).

Partiamo dall’inizio: Loch Henry è ambientato nella svuotata provincia scozzese, dove un ragazzo (Davis, aspirante regista) presenta la propria nuova fidanzata, Pia, alla mamma. L’impatto non sembra dei migliori: la donna si mostra velatemente scontrosa e non troppo disponibile, per quanto la convivenza in casa sembri volgere al meglio. I due ragazzi hanno in mente di girare un documentario su un argomento di nicchia (per usare un eufemismo), ma presto cambieranno idea.  Parlando con l’amico Stuart, infatti, viene rievocata la storia inquietante di  Iain Adair, un abitante del posto con problemi di alcol che si era scoperto essere un feroce assassino seriale. Il progetto di produrre un banale documentario va a farsi friggere, e i ragazzi decidono di raccontare questa storia, girandola volutamente con le vecchie VHS per accentare l’effetto da horror POV. Siamo nel meta-meta-cinema, dato che vediamo un attore che interpreta un regista che gira un film che, a sua volta, diventerà il film della sua storia.

Ricompare l’emittente Streamberry, avida e priva di scrupoli nel voler fare audience, e  si nota un ottimo livello narrativo, una storia più solida della precedente, meglio diretta e anche meglio interpretata, più credibile, narrativamente compatta, per quanto i fan dell’horror old school non vi troveranno nulla di sconvolgente. Anche perchè lo shock per la sorpresa finale (che è doppio o triplo, alla fine) non può essere più grande di quello indotto da un qualsiasi POV ben fattio, considerato che non è manco più la novità di qualche decennio fa e che, d’accordo citare The Blair Witch Project, ma esistono prodotti come [REC] da molto tempo.

Insomma, la valutazione qui è da considerarsi molto positiva, per certi versi è un omaggio sentito al cinema horror POV e funziona in toto, incluso il finale clamoroso e quel tocco di tragedia romantica che, in fondo, non fa che accentuare la critica sociale alla disumanizzazione collettiva e, ancora una volta, agli abusi tecnologici. Il punto, semmai, è che il riferimento agli eccessi tecnologici sembra quasi di troppo, e un semplice smartphone usato di sfuggita non sembra abbastanza per giustificare la sua presenza in una serie come Black Mirror (mentre avrebbe fatto la propria figura, per intenderci, in un contesto come The ABCs of Death). Probabilmente potrà sembrare forzoso il riferimento alle vetuste VHS – che sono una tecnologia di qualche secolo fa, ormai – e quasi per nulla a smartphone e computer, ma la sostanza (in questo caso) sembra poter giustificare l’eccezione.

Beyond the Sea (stagione 6, episodio 2, 2023)

Episodio ambientato negli anni 60, in una realtà alternativa: due astronauti sono stati coinvolti in una singolare missione spaziale, appoggiandosi a due rispettivi androidi che sono la loro replica fisica esatta. In questo modo posso trasferire la propria coscienza di sè istantaneamente e all’occorrenza: sull’astronave quando c’è da lavorare, sulla terra quando c’è da stare con moglie e figli. La macchina che permette di farlo è simile ai lettini della pillola rossa di Matrix. Una notta delle due repliche viene coinvolta in un incidente mortale, modello eccidio di Cielo Drive: una banda di hippie (che considera gli android immorali e non naturali) si introfula in casa di notte e fa strage della famiglia di David, inclusa la sua replica.

La situazione degenera: l’autocoscienza di David è rimasta sull’astronave, assiste al funerale dalla cabina dell’astronave (non avendo più una replica a cui appoggiarsi) e si fa progressivamente travolgere dalla disperazione e dalla solitudine. Motivo per cui, per evitare che faccia gesti sconsiderati sull’astronave, i due astronauti concordano che David possa usare il corpo Cliff per vivere a casa sua e superare il trauma. Naturalmente la trama è destinata a complicarsi, fino a esibire le contraddizioni tipiche dei film basati sui doppelganger e sui paradossi di scambio di personalità. I toni dell’episodio sono totalmente cronenberghiani: non solo perchè si pone l’accento sulle ambiguità delle macchine umanoidi, ma anche perchè è in gioco il concetto filosofico di autocoscienza (oltre a quello di scambio di personalità), ed è in gioco (come in Blade runner) la logica dell’amore: ci innamoriamo dell’esteriorità di una persona o della sua totalità? Cosa succederebbe in caso di swap di autoconoscienza ai nostri affetti? Si pone peraltro un mindblow psicoanalitico considerevole, giocato sull’Io e l’immagine dell’Io: Josh-Cliff picchia quello che è, realmente, il figlio di Josh-David: la cosa non disturba David più di tanto, ma pone il problema dell’ambivalenza del gesto agli occhi del bambino (e agli occhi della madre, che è attratta dall’esteriorità quanto respinta dall’interiorità della replica).

Episodio validissimo, originale, coinvolgente quanto contro-intuitivo: viene sovvertito il principio alla base di tanta fantascienza (per cui uomini e androidi sono e rimangono eticamente distinguibili, cosa che qui non avviene), e si stabilisce un curios scambio di autocoscienze che, per quanto concetto quasi squisitamente concettuiale, rischia di non essere comprensibile di primo acchito per parte del pubblico. Josh Hartnett fa un lavoro considerevole sul proprio personaggio, considerando che deve interpretare sia David che Cliff e che non esistono tratti distintivi visuali che possano rendere l’idea, ma si affida tutto all’atteggiamento (più estroverso in veste originale da David, più introverso in quelle di Cliff).

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Hard Candy: il thriller di David Slade stravolge le regole del genere https://lipercubo.it/archivio/hard-candy.html Sat, 05 Dec 2020 19:30:50 +0000 http://lipercubo.it/?p=36963 Jeff e Hayley si conoscono in chat, e decidono di incontrarsi per la prima volta: tra di loro ci sono diciannove anni di differenza d’età.

In breve. Thriller minimalista a tinte forti, girato in un asettico “appartamento degli orrori”. Da vedere, al netto di qualche lungaggine, di qualche nota pretenziosa e a patto che la violenza insistita (mai esplicita, ma intuibile) non vi risulti insostenibile.

Hard candy rientra nel thriller claustrofobico come probabilmente tanti ne sono stati girati, ma con caratteristiche che lo rendono un unicum. Si tratta di un film dalle tinte decisamente cupe, girato in soli 18 giorni e quasi del tutto all’interno di un appartamento. Ci sono due soli personaggi, a differenza dei tre che popolano ad esempio La morte e la fanciulla, e interessante parallelismo (almeno in termini di tema principale) con l’opera di Polanski. Su tutti, il senso del dubbio che accompagna un processo giusto o sommario, indefinibile nella sua essenza e con un senso di risoluzione che lascia probabilmente più interrogativi che altro. L’idea di Slade è quella di interrogarsi su un inquietante what-if: cosa succederebbe se chi si prefigura come predatore non fosse realmente chi dice di essere? E se il predatore fosse invece la vittima?

Il tutto a sottolineare un mood ossessivo ed inquietante per il primo lungometraggio di David Slade, noto anche per aver girato l’episodio interattivo Bandersnatch della serie Black Mirror. Poco budget e tanta qualità, da non perdere – seppur con qualche riserva. L’ispirazione della storia, per inciso, nasce dalla cronaca giapponese, secondo cui alcune ragazzine adescavano adulti via internet per derubarli o aggredirli, spesso mediante vere e proprie baby gang.

È difficile parlare di questo film in termini assoluti, soprattutto perchè rifugge i meccanismi classici della narrazione, dello stesso rape’n revenge, dell’eroismo e di “togliersi un peso” – lo stesso che, solo alla fine, pervade addirittura pellicole nichiliste come The Human Centipede. Sono le specificità a farla da padrone nel lavoro di Slade: a cominciare dal tipo di riprese dettagliate, dalla fotografia magistrale ricca di primi piani, all’insistere su una recitazione fortemente drammatizzata (la sceneggiatura è scritta da Brian Nelson, americano che ha scritto molto teatro), dall’uso minimalista dei suoni e della colonna sonora, fino alla definizione di due personaggi per cui i ruoli – senza troppe sorprese, alla fine – si invertono.

L’horror ci ha abituati suo malgrado, anche se non sempre, alle figure femminili vittime di “orchi” – alla meglio, diventavano scream queen coraggiose, violente quanto liberatorie. In Hard Candy, invece, Slade sembra prendere la storia come pretesto per mettere in risalto il problema della pedofilia, non in ottica puramente giustizialista (almeno, non del tutto) mostrando un’anti-eroina con cui può essere facile, o meno, identificarsi. Soprattutto se ci chiederemo a chi Hayley abbia scritto la mail raccontando dell’aggressione: alla baby gang di cui fa parte? Alla polizia che l’ha addestrata a dovere?

Insomma un’ottica differnete dalla media, difficile da paragonare a qualsiasi altra cosa sia stata girata prima, e di questo ne va dato atto. Slade sembra comunque strizzare l’occhio ai revenge movie modello Prosperi e Craven, riprendendo quegli stessi eccessi – con la differenza fondamentale che, stavolta, il sadismo è di marca femminile, mostrando un adulto, con un certo bagaglio di esperienza (mite quanto insospettabile) contrapporsi ad una ragazzina dall’aria nerd, dalla natura infida e imprevedibile. Viene anche il dubbio, delle volte, di come una quattordicenne possa essere tanto attrezzata per seviziare la propria vittima, anche se qualcosa si intravede all’inizio fuoriuscire dalla borsetta (forse la pistola taser).

Non c’è dubbio che Slade, poi, riprenda quanto era stato fatto in Funny Games, che – con le sue ville isolate ed i suoi adolescenti psicopatici pronti ad uccidere dietro l’aura del candore – presenta vari punti di contatto con Hard candy (termine, per inciso, è un modo slangato per indicare le minorenni che vengono adescate in chat). Il tutto con un aspetto importante da sottolineare: proprio come nel film di Heneke, non possiamo accertare il motivo della vendetta, o meglio lo conosciamo – ma non abbiamo prove certe. Ad ogni modo la revenge è cieca, e per questo terrorizza, e non rimane appesa inesorabilmente ad una coscienza collettiva, come avveniva ne La morte e la fanciulla. Il fatto che siano una ragazzina a torturare un adulto disorienta, ma viene comunque più volte il dubbio su chi sia la vera vittima e chi il reale carnefice.

Se si volesse cercare un ulteriore difetto, poi, c’è da sottolineare che certi momenti sono troppo prolungati, e rischiano di risultare pleonastici: la fin troppo citata scena della castrazione, del resto, sembra raccontare di una parte di pubblico che implora per la conclusione della stessa – addirittura prima che il protagonista maschile si decida a farlo.

“Solo perché una ragazzina sa imitare una donna, non significa che sia pronta a fare ciò che fa una donna”

il meccanismo narrativo è affascinante, quanto subdolo: come in gran parte di La muerte y la doncella, non sappiamo se la vittima sia davvero responsabile, e nei panni di un invisibile avvocato Escobar, anche se lo meritasse fatichiamo a comprendere la situazione. Del resto vedere Jeff nelle mani di una teenager vendicativa (e forse poco realisticamente quasi invulnerabile) scatena un meccanismo di tensione raramente visto su schermo: basterà a fare un buon thriller? La risposta è, almeno in questa fase, che basta e avanza.

Non c’è dubbio, poi, che molto della tensione psicologica vada a svilupparsi quando la protagonista rigira come un guanto la casa del fotografo, alla ricerca di prove della pedofilia di cui lo accusa. Prove che potrebbero esistere o meno: il messaggio di fondo è anche che ognuno possiede i propri scheletri nell’armadio, e la violazione della privacy di chiunque potrebbe portare a risultati inquietanti. Aspetto non banale che in pochi, in fase di analisi e critica, hanno osservato, a mio avviso.

Hayley appare come un demone implacabile, scatenatore di una hybris (nel senso letterale di far “pagare le conseguenze del passato“), una vendetta feroce che, proprio come nella tradizione dell’antica tragedia greca, colpirà senza pietà e a prescindere. La cosa che potrebbe far sollevare qualche sopracciglio, del resto, è il sospetto che la vendicatrice anti-pedofila potrebbe essere una mitomane, che sta mortificando l’altro senza che lo stesso sia l’autentico responsabile. Non è chiaro, non sembrerebbe essere così, e forse poco importa: Hard Candy, per manifesto, si erge al di sopra di qualsiasi morale – e lo testimonia un finale tutt’altro che liberatorio. Questo, per inciso, non implica che non possa essere anche pretenzioso – o addirittura semplicistico – nel trattare un tema così delicato, cavalcando generalizzazioni magari improprie, troppo di “pancia” o biased.

Hayley, in fondo, ammette di essere un “simbolo” di tutte le vittime della pedofilia, il che è una rivelazione ridondante: ci sta l’allegoria, ma ci si chiede anche perchè renderla didascalica. La narrazione A tale riguardo condivido e prendo in prestito la frase usata da Tim Brayton – in una recensione sarcastica,molto più critica della mia – dal suo sito AlternateEnding: “se un personaggio dovesse formalizzare in assoluto l’idea di rappresentare un gruppo o un classe, semplicemente non potrebbe farlo“. Il che è vero, per quanto se ne possa discutere, ed è probabilmente un limite narrativo che il film prova a sviscerare.

Slade sembra comunque a proprio agio nell’impostare in questi termini la sua storia, che – al netto di almeno sei colpi di scena clamorosi – forma un buon film, un thriller sopra la media che vive, pero’, di un imprevedibilità diluita, spesso fine a se stessa. Ovviamente sarà importante vedere il film fino alla fine prima di esprimere qualsiasi giudizio, anche perché ribaltamenti di fronte saranno numerosi e, un po’ come nella tradizione argentiana o hitchcockiana, basta un dettaglio per ribaltare tutto. Ma resta l’idea che il bersaglio sia stato, in qualche modo, poco messo a fuoco.

Dopo innumerevoli twist nella trama si arriva, dopo quasi due ore di film, ad un finale simbolico e angosciante – anche se pare ne esista uno più aperto ed ambiguo, ci racconta il regista nel commento audio. Hard candy è questo, un po’ come un film analogo (e altrettanto crudo) uscito l’anno prima – Mysterious Skin, per la verità forse tutt’altra storia. Blindato nella sua narrazione soffocante e minimale, caratterizzato da dialoghi molto curati e da interpretazioni di livello, minato imprevedibilmente da un’idea che non si capisce bene dove volesse arrivare. Ma in fondo, forse, va bene lo stesso.

Hard Candy non è mai uscito in Italia (dato il tema trattato, non c’è troppo da meravigliarsene), per cui non esistono versioni doppiate, ma soltanto sottotitolate. Immagine di copertina di Bart ryker, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=1906180

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I 14 corti horror più brevi di sempre https://lipercubo.it/archivio/horror-piu-brevi.html Sat, 16 Jan 2021 19:00:20 +0000 http://lipercubo.it/?p=40499 Siete amanti della sintesi? Riuscireste a credere che possano esistere corti horror che durano pochi minuti, se non addirittura secondi? Se non ci credete, questa lista è quello che vi farà cambiare idea per sempre. Ovviamente il fatto che siano i più brevi non sempre comporta che siano i migliori, ma sicuramente l’approccio è apprezzabile e lascia vivido l’interesse nello spettatore.

Noi vi sfidiamo a guardarli tutti di fila: secondo noi il migliore è l’ultimo, anche perchè – ci crediate o meno – dura circa 10 secondi!

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Lights out

Un corto sulla paura del buio che colpisce anche gli adulti, con un tocco di ironia nera che non guasta.

Red Girl

Forse non perfetto nel finale, si segnala per un’idea notevole quanto migliorabile. Da segnalare, comunque, per la buona capacità di sintesi.

Love Hurts

Horror intimista e allucinato, forse prevedibile quanto dotato di un notevole doppio twist. Da non perdere…

The black hole

Un originale corto sull’idea di buco nero, un modo per collegare punti fisici non direttamente connessi, e qui espresso attraverso uno stratagemma semplice ed efficace.

Emma

Uno dei corti più famosi sul web per la sua brevità, forse eccessiva quanto efficace nel suo concepimento.

 

Night terrorizer

Il tema del doppio e dell’autolesionismo ricorre, tra realtà ed immaginazione, in questo breve ennesimo corto ambientato in una camera da letto.

The drawing

Notevole per l’idea e per come viene sviluppata: questo soprattutto perchè vengono usate due tecniche differenti all’interno dello stesso corto, con risultati oserei dire davvero splendidi. Da non perdere neanche questo!

Clickbait

Last bus home

Bedfellows

The moonlight man

NUN

The mirror

Balcony

Terrificante, inaspettato quanto surreale nelle conclusioni: forse uno dei migliori corti usciti negli ultimi anni.

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