Bandersnatch: il primo film interattivo di Netflix
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1984: un giovane programmatore sta lavorando all’adattamento di un libro in forma di videogame. Dopo qualche tempo inizia a dubitare della realtà in cui vive…

In breve. Slade colpisce nel segno e dirige in modo magistrale, omaggiando gli anni 80, le prime psicosi indotte dalla tecnologia e le primissime case di produzione di videogiochi. Da vedere in tutte le possibili combinazioni.

Non potevamo esimerci dal parlare, su questo blog, di Bandersnatch, apparentemente una delle novità più interessanti di Netflix – e questo, proprio  per come è stato strutturato: si tratta infatti di un episodio completamente interattivo. Nel corso dello svolgimento del film sono presenti delle scelte obbligate, che lo spettatore dovrà prendere selezionandole. A seconda della scelta, la storia prenderà una piega differente (e non tutte le scelte sono rilevanti come potrebbero sembrare). La cosa interessante è che le possibilità sono tutte binarie (0 oppure 1, guarda caso), vanno prese in pochissimo tempo e, cosa non da poco, inducono tensione anche quelle di poco conto (tipo far decidere al protagonista che musica ascoltare).

Il film dura orientativamente 90 minuti: tutto dipende dalle scelte che vengono fatte, mentre il girato “lordo” si aggira attorno alle 5 ore. Alla base, l’idea di sviluppare una trama su e dentro un librogame, un genere letterario molto popolare negli anni ’80, con qualche superstite ancora oggi. Questo ha portato ad una schematizzazione di tutti i possibili finali che si possono raggiungere, caratterizzati da vari livelli di difficoltà (esattamente come avviene in un videogame).

Insomma il gioco in cui è coinvolto lo spettatore impone di ricostruire un diagramma di scelte che, molto probabilmente, anche uno sviluppatore di videogame o uno sceneggiatore potrebbe aver utilizzato nella realtà. Ma un conto è la realtà, un altro è il videogame – oppure no: su questo Slade e lo sceneggiatore Charlie Brooker sembrano lasciare uno spiraglio ambiguo. Alla base della trama, comunque, vi è una paranoia complottista piuttosto comune: la sensazione che le scelte individuali siano ininfluenti, il che porta il protagonista ad una progressiva de-responsabilizzazione e dissociazione mentale, destinata a culminare nel crimine in quasi tutti i possibili sviluppi della trama. L’unico barlume di razionalità è offerto dalla psicologia, che sembra suggerire allo spettatore che in particolare le scelte retro-attive (all’interno del gioco-film, nel videogame e, di riflesso, nelle nostre vite) siano del tutto inutili (“he past is immutable Stefan. No matter how painful it is, We can’t change things. We can’t choose differently with hindsight. We all have to learn to accept that.“). In certe versioni di Bandersnatch viene altresì suggerita l’esistenza di realtà parallele per cui, in sostanza, ogni scelta sarebbe possibile, equivalente e sostanzialmente di poco conto rispetto a qualsiasi altra. Da qui l’onnipresenza, in alcune biforcazioni narrative, della Y rovesciata come simbolo dei singoli “bivi” (per la cronaca: in una ipotetica storia con solo dieci livelli di profondità – o scelte possibili – possono essere concepite fino a 2x2x2x2x2x2x2x2x2x2 = 1024 storie differenti; per comprimere la storia e prevedere addirittura scelte retroattive, a questo punto, Slade immagino abbia dovuto chiedere aiuto ad uno staff di matematici).

Esistono cinque possibili finali di Bandersnatch (l’impresa vera è quella di non fare spoiler, in questa fase): il protagonista muore, viene imprigionato per omicidio, combatte contro il padre e la psicologa, scopre di essere sul set di un film e – meraviglia delle meraviglie – rivive all’infinito la medesima storia, l’unica – significativamente – in cui il suo videogame venga valutato al meglio dalla critica. Non solo, peraltro, ci sono tanti finali: esistono anche sotto-combinazioni degli stessi, per quanto alcuni elementi della narrazione siano comuni e riutilizzati in più contesti. Se lo spettatore riprova a cercare un finale alternativo, in sostanza, potrebbe imbattersi in numerose sorprese – tra cui uno dei sopraelencati finali, considerato particolarmente raro. Il punto è capire fino a che punto abbia voglia di farlo, ma l’idea che mi sono fatto è che molti di noi abbiano esplorato fino in fondo tutte le possibilità.

I videogame rappresentati rappresentano uno scenario tipico dell’epoca: quasi esclusivamente ZX Spectrum, gran computer per l’epoca. Il videogame diventa una vera e propria rappresentazione della realtà e dell’universo: non sappiamo quanto sia convinta questa affermazione, anche perchè la trama è piuttosto soggettiva (follia? Metafora?), ma nella versione che ho visto io – ad esempio – Pac Man rappresenta un uomo intrappolato in un labirinto dal quale non può uscire (se esce da un lato, infatti, rientra dall’altro).

Bandersnatch fa riferimento al neologismo di Lewis Carroll nel romanzo del 1872 “Attraverso lo specchio“.

 

 

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