The Commodore Wars 8-Bit Generation: la storia retrocomputing più bella, su Prime Video
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Un sogno che credo di aver fatto più volte da ragazzino-adolescente commodoriano della prima ora doveva riguardare l’espansione: da quel pochissimo che ricordo, frammenti onirici che probabilmente sto in parte reinventando, avevo davanti a me un videogioco in grado di connettersi a livelli sempre nuovi, una specie di open space ben prima che internet e il web fossero mezzi di comunicazione o suggestione di massa. In una versione da incubo, peraltro, quel videogame sembrava ribellarsi al suo utilizzatore, dando spaventosi messaggi di errore sullo schermo rigorosamente verde, a cristalli liquidi come di moda per l’epoca. Un sogno premonitore ricorrente che raccontava, sia pur in modo parziale, quel che sarebbero stato il futuro (quantomeno il mio da consulente informatico e blogger).

Il mio caro vecchio Commodore 64, nuovamente in funzione (foto di qualche anno fa).

Tomaso Walliser scompare prematuramente circa un anno fa, dopo aver realizzato la regia di due documentari giusto a tema retrocomputingEasy To Learn, Hard to Master: The Fate of Atari e naturalmente quello di cui parleremo oggi, The Commodore Wars. Il suo contributo alla causa della promozione della knownledge a tema è fondamentale, a nostro avviso, per l’aspetto più storico-divulgativo legato all’argomento, da tempo dibattuto tra mitologia, vera storia e realtà. The Commodore Wars – 8-Bit Generation racconta ovviamente della nascita e del successo del C64, il mitologico computer Commodore su cui molti attuali quaranta/cinquantenni hanno costruito la propria passione tecnologica, facendola in alcuni casi diventare la propria professione.

Geek: nel gergo di Internet, persona che possiede un estremo interesse e una spiccata inclinazione per le nuove tecnologie.

Il documentario si basa su un lungo intreccio ricco di dettagli geek, a cominciare dalle origini (la produzione di calcolatrici) fino ad arrivare all’idea di vendere computer programmabili, idea attuabile nel mercato dell’epoca e demolita, passo dopo passo, dall’idea che il computer debba essere uno strumento decadente, estetizzante e puramente funzionalista da usare per accoppiarsi o farsi portare cibo a casa.

All’epoca non era solo questione di dare qualcosa di “concreto” alle persone: il computer sembrava (o aveva la parvenza di essere) uno strumento per sognare, per rivivere idee, per provare a creare qualcosa di nuovo come le centinaia di videogiochi che vennero spontaneamente proposti, creati e lanciati sul mercato dell’epoca. Secondo una banale ricerca su Wikipedia, per la cronaca, esisterebbero almeno 2.100 videogiochi accreditati per C64, industria in cui anche l’Italia fu prolifica grazie a titoli come Mille Miglia, L’impiccato, Torri di Hanoi e Strip Poker. Il sogno di ogni geek dell’epoca era, naturalmente, di realizzarne uno, per quanto molti di noi non avessero idea di come far diventare un programmino in BASIC qualcosa di simile ad un videogioco.

Non sarebbe nemmeno passato troppo tempo (?) dal 1982, anno in cui il Commodore 64 venne ufficialmente lanciato (fino alla bancarotta dell’azienda, avvenuta nel 1994), ma sembrano trascorsi eoni lovecraftiani da allora, cedendo il passo ad un’informatica sempre più brainless e incentrata sul godereccio, sulle fake news, sulle app che oggi sono fondamentali e domani non servono a ncazzo e naturalmente sulla bolla egoistica della post verità, il mondo immaginario in cui ognuno di noi si barrica, incurante della realtà, preso a darsi delle spiegazioni autoriferite e alla meglio soddisfacenti. No, signori, non vi daremo certo la soddisfazione di attribuirci nostalgismo da psichiatrica, o che davvero pensiamo si stava meglio quando si stava peggio, o che siamo dei boomer menopeggisti e benaltristi (i veri computer erano altro o Ben Affleck, direbbe Maccio Capatonda). All’epoca, semplicemente, si stava: il computer era prima di tutto un mondo da esplorare, e per quanto sia difficile credere che tutto il suo pubblico fosse composto da nerd infallibili a noi, spudoratamente, piace crederlo lo stesso.

Basterebbe citare, in questa fase, quattro dei colossi in ballo: Steve Wozniak, Federico Faggin, Bill Gates e Jack Tramiel, coinvolti a vari livelli nello sviluppo del Commodore 64 così come lo abbiamo conosciuto negli anni. Wozniak realizza il primordiale Apple I, destinato ad essere surclassato dal Commodore; il fisico Faggin sviluppa la tecnologia MOS alla base di qualsiasi hardware dell’epoca; Gates è noto in questa fase per aver ceduto di diritti del BASIC alla Commodore, per la prima e unica volta nella propria vita; Tramiel, naturalmente, è l’imprenditore “nudo & crudo” che inventa il Commodore, ci crede profondamente e lo promuove secondo i dettami “religiosi” e messianici del marketing d’epoca. Non sapremo mai con certezza quanto si ritenesse che questi computer potevano avere davvero un futuro: quello che è sicuro è il documentario li celebra più che degnamente. E a noi va benissimo così.

Foto di copertina: Alcuni diritti sono riservatiScott Schiller.

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