Che cos’è davvero l’ideologia woke

La cultura o ideologia “woke” è un termine che ha guadagnato popolarità negli ultimi anni, specialmente nei contesti sociali e politici, e si riferisce a una consapevolezza e attenzione particolare verso le questioni di giustizia sociale. Originariamente, “woke” è un termine dello slang afroamericano che significa “essere svegli” o “essere consapevoli”, e si è evoluto per indicare una maggiore coscienza e sensibilità riguardo a vari temi come il razzismo, il sessismo, l’ineguaglianza economica, i diritti LGBTQ+, e altre forme di discriminazione e ingiustizia. Resta vero che in molti contesti, inclusa l’Italia, il termine “woke” viene spesso utilizzato in maniera dispregiativa o come insulto. Questo uso riflette una reazione contro alcune delle idee e delle pratiche associate alla stessa. Come già l’idea del politicamente corretto e della cancel culture, si tratta di una terminologia a retaggio quasi esclusivo di idee conservatrici.

Un concetto che è stato svuotato, distorto e manipolato in modi che sarebbero ridicoli, se non fossero tragici. Quello che dobbiamo comprendere è che il termine, alla sua origine, aveva una radice di consapevolezza sociale. “Woke“, in inglese, vuol dire letteralmente “sveglio“, “risvegliato“, un risveglio rispetto alle ingiustizie sociali, in particolare quelle legate al razzismo e alle disuguaglianze di classe. Era, insomma, una presa di coscienza dalla realtà brutale in cui viviamo. Ora il problema con il “woke” oggi è che è diventato una sorta di spauracchio, una minaccia invocata dai conservatori e dai neoliberisti, come se fosse il nuovo mostro sotto il letto. Ma in che senso? Il vero mistificatore qui non è il “woke” come concetto di consapevolezza sociale, ma piuttosto come esso viene manipolato e travisato da chi ha interesse a preservare l’ordine capitalistico.

Il “woke” non è una minaccia per la società; è una risposta al fallimento di una società che non ha mai veramente affrontato il razzismo, la discriminazione e la disuguaglianza economica.

Se guardiamo alle critiche conservatrici, troviamo un fenomeno interessante: quasi mai viene usato il termine “svegliato” o la traduzione italiana “risvegliato”. Perché? Perché questo sarebbe troppo chiaro, troppo facile da smascherare come un movimento che si basa sulla presa di coscienza. Invece, si preferisce usare “woke”, che suona strano, esotico, come qualcosa di distante dalla realtà della gente. È come se volessero mantenere una distanza tra ciò che è radicale e ciò che potrebbe veramente cambiare le cose. Così, la critica conservatrice al “woke” non è mai una critica all’effettiva consapevolezza sociale, ma una critica a una forma di resistenza, alla possibilità di cambiamento, che minaccia lo status quo. Per certi versi l’assurdità è che si mette in discussione un concetto che è legato a un movimento di liberazione e giustizia sociale. Chi ha paura del “woke” in realtà ha paura di una vera trasformazione sociale, una che sfida le strutture di potere che perpetuano la disuguaglianza. È il classico caso di chi difende la stabilità di un sistema che ha creato queste ingiustizie e non vuole fare i conti con la sua responsabilità storica.

La minaccia è quella di un sistema che si ostina a negare il bisogno di cambiamento radicale. E, stranamente, è proprio chi sostiene lo status quo che ha paura della “sveglia”.

Aspetti basilari del “woke

Mentre la cultura woke ha come obiettivo la promozione della giustizia sociale e l’eliminazione delle discriminazioni, il termine “woke” è spesso usato come insulto per criticare un atteggiamento percepito come eccessivo o intollerante, soprattutto nel contesto di una polarizzazione politica e culturale. Vediamo i principali aspetti di questo fenomeno:

  1. Stereotipi e Caricature: Spesso, chi usa “woke” in modo dispregiativo lo fa per ridicolizzare o criticare chi è percepito come eccessivamente sensibile, politicamente corretto o moralmente superiore. In questi casi, “woke” diventa sinonimo di estremismo ideologico o di intolleranza verso opinioni diverse.
  2. Critiche alla Cancel Culture: Una delle principali critiche alla cultura woke riguarda la “cancel culture” o “cultura della cancellazione”, dove individui o gruppi vengono boicottati o esclusi per comportamenti o opinioni considerati inaccettabili. I detrattori vedono questo fenomeno come una minaccia alla libertà di espressione e un metodo coercitivo di imposizione di norme sociali. La “cancel culture” (o “cultura della cancellazione”) è un concetto che suscita molte discussioni e controversie, e la percezione della sua esistenza e delle sue implicazioni può variare ampiamente. Alcuni vedono la cancel culture come una minaccia reale alla libertà di espressione, mentre altri la considerano un fenomeno esagerato o persino immaginario.
  3. Polarizzazione Politica: In molti paesi, inclusa l’Italia, l’uso di “woke” come insulto è spesso parte di una più ampia polarizzazione politica. Chi critica la cultura woke può farlo per difendere valori tradizionali o per opporsi a ciò che vede come un cambiamento sociale troppo rapido o radicale.
  4. Resistenza al Cambiamento: Spesso, il termine “woke” viene usato in maniera negativa da chi è resistente o contrario ai cambiamenti promossi dai movimenti per la giustizia sociale. Questo può includere opposizione alle politiche di diversità e inclusione, ai diritti LGBTQ+, o alle campagne contro il razzismo e il sessismo.
  5. Appropriazione e Degradazione del Termine: Con il passare del tempo, il termine “woke” ha subito una trasformazione nel suo significato originale. Inizialmente un termine positivo che indicava consapevolezza e impegno sociale, è stato poi appropriato e degradato dai suoi detrattori per discreditare e ridicolizzare coloro che sostengono tali cause.

Il termine “woke” è in altri termini un’espressione inglese che ha assunto diversi significati e sfumature nel corso del tempo. Originariamente, “woke” è stato utilizzato nel contesto dei diritti civili e della giustizia sociale per descrivere l’essere consapevoli delle ingiustizie razziali e sociali. Nel corso degli anni, però, il termine è stato oggetto di dibattito e ha assunto anche connotazioni più ampie. Oggi, “woke” è spesso usato per riferirsi a una sensibilità o attenzione elevata nei confronti delle questioni sociali, politiche e culturali, come il razzismo, il sessismo, l’omofobia e altre forme di discriminazione. Tuttavia, può essere anche usato in modo critico per indicare un eccesso di sensibilità o percepita ipocrisia nell’affrontare tali temi. In quest’ultimo senso, il termine è spesso utilizzato per criticare persone o movimenti che sembrano enfatizzare in modo eccessivo la loro consapevolezza sociale, a scapito di altri aspetti della discussione.

Storia del termine woke

L’uso del termine woke (dal 2012 circa) nel dibattito politico si collocava inizialmente nell’ambito del Black Lives Matter, il movimento attivista che lotta contro il razzismo attraverso periodiche manifestazioni, soprattutto negli USA e in particolar modo nei confronti di frequenti episodi di violenza razziale. Se la pagina Wikipedia di BLM è particolarmente chiara e dettagliata, quella del termine Woke – nell’ipotesi che le tassonomie e le interpretazioni fornite dagli autori di Wiki siano indice, in qualche modo, di una qualche chiarezza collettiva a livello di significato – sono semplicemente confuse.

Woke viene usato anche in Italia da diversi Youtuber, che sfruttano un po’ l’onda del trend (come del resto proviamo, nel nostro piccolo, a fare anche noi), un po’ finiscono per metterla su un piano che aderisce al bastian-contrariarismo, al pregiudizio spiattellato come manifesto culturale, al gusto di andare “contro” qualcosa che diventa (secondo loro, ma soprattutto secondo i loro seguaci) pensiero critico.

L’idea a mio avviso assurda è che la carta dell’anti-marketing sia, in definitiva, già abbastanza per collocarsi nella propria nicchia – anche a costo di diventare promotori di pensiero becero e anti-culturale (pensiamo ad esempio ai corsi di seduzione che si alimentano, in molti casi, sull’insoddisfazione sociale da incel). E nel mentre vale la pena ricordare ciò che pensava Hicks sull’anti-marketing.

Che vuol dire woke

Il termine “woke“, di per sè, si riferisce in genere a un atteggiamento o una consapevolezza sociale riguardo alle ingiustizie, in particolare legate alle questioni di discriminazione, disuguaglianza e identità. In alcuni contesti, l’uso del termine “woke” sembra voler essere stato associato a un’eccessiva sensibilità politica o a una mentalità eventualmente rigida, che è una mentalità insidiosa perchè finisce per farci aderire ad una mentalità maschia, circolare, autoreferenziale, autogiustificativa, che fa addirittura sembrare “eccessiva” la rivendicazione sacrosanta di un diritto.

Woke mind virus“, come scrisse una volta Elon Musk su Netflix e sulla sua deriva “politicamente corretta“, a suo dire, può quindi essere impiegato per descrivere un modo di pensare che, secondo alcuni, si starebbe diffondendo troppo rapidamente o in modo troppo dogmatico, influenzando il dibattito pubblico in modo controverso o negativo.

Le critiche alla cultura “woke” sono interessanti forse più della cultura woke stessa, ammesso che sia quantificabile e qualificabile e che non rientri, come temibile anche per il politicamente corretto, nel nugolo dei nemici immaginari che servono ad avere un bersaglio contro cui scagliarsi, fare dibattiti o scrivere libri. Di fatto, quelle critiche sono interessanti perchè non possono essere ridotte a un’unica provenienza politica, per quanto poi woke venga usato quasi sempre come termine discriminatorio da conservatori di vario ordine e grado. Più in generale questa forma di critiche sono affette da diagonalismo, se preferite sono trasversali, figlie di un irreversibile sparigliamento delle carte che subiamo ormai da molti anni, nella società in cui viviamo.

Le critiche alla cultura “woke” possono provenire da diverse prospettive e posizioni politiche, e se a volte possono presentare punti di vista vagamente interessanti, in altri casi sono figlie degeneri di benaltrismo, qualunquismo, presunto acume sociale, sfoggio di culturame alternativo e soprattutto desiderio egotico di porsi al di sopra della massa a cui tutti, senza eccezioni, ci riteniamo superiori.

Vale anche la pena di chiedersi come questa ennesima tassonomia del pensiero, questo tag che etichetta il modo di pensare delle persone (o cerca di farlo, in qualche modo) non sia diversa dall’uso del termine incel (involuntary celibate), ad esempio, e di come il diagonalismo faccia la propria comparsa in una mentalità tendenzialmente sempre più liquefatta, per cui dalla stessa persona potrebbero arrivare discorsi contro il nazi-femminismo (ad esempio) ed essere a propria volta accusati di essere woke nei confronti del razzimo.

La pagina sul termine Woke di Wikipedia, ad esempio, è attualmente imbottita di dettagli poco chiari in merito, ad esempio la descrizione delle motivazioni che spingono i conservatori all’uso del termine:

cio che invece la maggior parte delle persone considera normale buona educazione, per esempio non usare termini dispregiativi per persone di colore

oppure un esempio di quello che caratterizza questo genere di discussioni, ovvero il fenomeno del puntacazzismo:

Il termine awake, tuttavia, viene tuttora utilizzato dagli oppositori dell’ideologia woke e politicamente corretta per distinguersi appunto dai sostenitori e portavoce di quest’ultima, da qui lo slogan “Awake, not woke”

Se in questi termini sembra in sostanza di assistere ad un catfight scoordinato e vuotamente irriverente, vale la pena ricordare che le tassonomie si diffondo con facilità sui social, e vale la pena evocare la regola 12 di internet: “tutto quello che scrivi potrà essere usato contro di te“, unita alla successiva regola 13: “tutto ciò che scrivi potrà essere travisato e trasformato in altro“. Che è anche quello che è successo a Pepe The Frog, da webcomic a fumetto simbolo dell’alt-right trumpiana senza soluzione di continuità, con tanto di causa vinta dall’autore.

Punti chiave della cultura woke

Ecco alcuni punti chiave sulla cultura woke:

  1. Origini: Il termine è emerso nel contesto della lotta per i diritti civili negli Stati Uniti, in particolare all’interno della comunità afroamericana, come espressione di consapevolezza riguardo alle ingiustizie sociali e alla necessità di restare vigili contro le discriminazioni.
  2. Evoluzione: Negli anni recenti, “woke” è diventato un termine più ampio utilizzato per descrivere chiunque dimostri una particolare sensibilità verso le questioni sociali e sia impegnato in movimenti per il cambiamento sociale e l’uguaglianza.
  3. Critiche: La cultura woke è anche oggetto di critiche. Alcuni ritengono che il termine venga usato in modo eccessivo o che porti a un atteggiamento di superiorità morale. Altri criticano il fenomeno della “cancel culture” associato alla cultura woke, dove persone o aziende vengono pubblicamente condannate e boicottate per comportamenti o opinioni considerati inappropriati.
  4. Impatto: La cultura woke ha influenzato vari settori della società, tra cui media, politica, istruzione e industria. Ha portato a un maggiore dibattito sulle politiche di diversità e inclusione, e a cambiamenti nelle pratiche aziendali e istituzionali.

In sintesi, la cultura woke rappresenta un movimento che promuove una maggiore consapevolezza e azione contro le ingiustizie sociali, ma è anche oggetto di dibattito e critiche riguardo alle sue implicazioni e modalità di espressione.

Monologo standup sulla cultura woke

[Rivolgendosi al pubblico, con tono deciso e un po’ stizzito]

Ah, questi “woke”… ma chi si credono di essere? Quando ero giovane io, il mondo andava avanti senza tutte queste storie, senza dover stare attenti a ogni parola che esce dalla bocca! Oggi sembra che non si possa dire più nulla senza offendere qualcuno. “Oh, non puoi dire questo, non puoi dire quello”, e perché mai? Perché qualche gruppo di ragazzini che vive su internet ha deciso che ora bisogna cambiare tutto? Che ora bisogna stare sempre sul chi vive per non urtare la sensibilità di qualcuno?

I “woke”… mah, io li chiamo “svegliati”, ma non nel senso buono! Sembrano sempre pronti a saltare addosso a chiunque non si allinei con il loro modo di pensare. Hanno quest’idea che il mondo debba essere un posto perfetto, dove nessuno si offende mai e tutti si sentono sempre accettati. Ma vi pare normale? Quando ero giovane io, si cresceva affrontando le difficoltà, non scappando da esse. E invece questi qui cosa fanno? Si rifugiano dietro uno schermo e si mettono a fare le prediche su come dovremmo vivere, come dovremmo parlare, come dovremmo pensare. È tutto sbagliato!

E poi, questa tecnologia! I social, internet… non fanno altro che amplificare le loro lamentele. Ai miei tempi, se avevi qualcosa da dire, lo dicevi in faccia! Adesso invece scrivono tutto su Twitter, Facebook, TikTok, e pensano che le loro opinioni siano l’unica verità. Non c’è più il rispetto per le opinioni altrui, non c’è più la discussione vera. Se non sei d’accordo con loro, sei automaticamente un nemico, un “bigotto”, un “ignorante”. E tutto questo per cosa? Per sentirsi superiori, per sentirsi moralmente migliori.

E non parliamo di questa ossessione per i “pronoun”, per “inclusività”. Ora devi chiedere il permesso pure per usare “lui” o “lei”. Non si può più parlare di uomo o donna senza fare attenzione a non offendere qualcuno che magari non si identifica in nessuno dei due. Ma stiamo scherzando? Questo mondo sta diventando assurdo, vi dico! Ai miei tempi, le cose erano semplici. C’era un uomo, c’era una donna, e punto. Non c’erano tutte queste complicazioni.

E sapete cosa mi fa più arrabbiare? Che queste idee stanno prendendo piede ovunque! Nelle scuole, nelle università, persino nei posti di lavoro. È come un virus che si diffonde e che non possiamo fermare. Io, però, non mi arrendo. Non mi farò piegare da queste sciocchezze. Non ho bisogno di un gruppo di “svegliati” che mi dica come vivere la mia vita. Ho vissuto abbastanza a lungo per sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato, e non sarà una moda passeggera a farmi cambiare idea.

[Concludendo, quasi con rassegnazione]

Ah, se solo potessero vedere quanto è ridicola questa loro battaglia… Ma tanto, tra qualche anno, quando cresceranno, si accorgeranno da soli di quanto tempo hanno sprecato a cercare di cambiare un mondo che, in fondo, non cambierà mai davvero.

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