Jacques Ellul, il teologo che teorizzò la propaganda nel 1962

Di Jan van Boeckel, ReRun Productions - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=44342274

Tra gli studi sull’anarchismo meritano una menzione particolare quelli incentrati sul suo legame con il cristianesimo, di cui il teologo Jacques Ellul fu precursore. L’anarchismo cristiano fa riferimento ad un passaggio della Bibbia (Libro dei Giudici) in cui sembra si faccia spazio, nel Discorso della montagna, all’idea che un sovrano avrebbe provocato solo oppressione e repressione sul popolo, facendo appello come possibile alternativa ad un popolo che possa obbedire a Dio senza alcun intermediario. Idea affascinante quanto utopica, verrebbe da dire ancora oggi, tanto più se si considerano gli studi di Ellul sul potere della propaganda e sulla sua capacità di guidare il nostro agire. L’idea di propaganda è, forse non a caso, declassata a prodotto commerciale con cui costruire pseudo-sottoculture alternative: felpe, magliette, cappellini modello I want to believe, io desidero credere in qualcosa, sono consapevole della propaganda e la combatto dall’interno, facendomi guidare da un potere insito negli e-commerce e senza assolutamente mettere in discussione il capitalismo, motore immobile dell’universo. Sarà utopico, sarà inconcepibile, sarà contraddittorio? Non importa, perchè la propaganda ha cristallizzato certe idee e le ha iniettate nella nostra mente da tempo, ed è forse troppo tardi per tornare indietro.

Il saggio Propaganda (J. Ellul, 1962) non è solo indicativo della propaganda politica, che sarebbe già di per sè clamoroso per la quantità di riferimenti e approfondimenti in esso presenti. Ciò che rende unico il lavoro di Ellul (dei primi anni Sessanta, recentemente pubblicato in Italia da Piano B editore) è nel titolo completo dell’opera: “come si formano i comportamenti degli uomini“. Hai detto niente. Una riletture della propaganda in chiave non solo ideologica, tecnica e morale, ma altresì psicologica, sul piano sociale e come chiave di volta per determinare il nostro agire quotidiano. Sicuramente inquietante come idea, ma realistica.

Pubblicato a Parigi nel 1962, Propaganda di Jacques Ellul è un saggio politico poderoso e approfondito, di circa quattrocento pagine dense di riferimenti politici d’epoca (un intero capitolo, quello finale, è dedicato alla propaganda di Mao Zedong, ad esempio). L’idea dell’educazione marxista permanente, per intenderci – ma anche quella dell’indottrinamento di massa, in vista di un futuro in cui quel tipo di potere possa consolidarsi. Un classico della propaganda, insomma, che culmina con l’idea del lavaggio del cervello dei prigionieri politici già sperimentato da altre nazioni.

Diventa indicativo, soprattutto, il concetto indicato da Ellul come “cristalizzazione psicologica“, ovvero il processo mentale secondo cui l’agire, i pregiudizi, i pensieri vengono incanalati e globalmente chiarificati dall’incedere della propaganda, che trova una risposta ad ogni incertezza e fornisce risposte chiare, non contraddicibili, prive di dubbi e incertezze. L’individuo ha bisogno di giustificazioni per votare, comportarsi nella vita di ogni giorno, vivere la propria esistenza, e la propaganda ben costruita può abilmente tessere una rete di relazioni, idee e pensieri in grado di dargli supporto incondizionato. Così facendo l’umanità, conclude Ellul, finisce per perdere ogni spirito critico e ogni capacità di flessibilizzare il pensiero, rifugiandosi nelle false certezze cristalizzate o cementificate offerte dalla propaganda. Il saggio è del 1962, è bene ricordarlo, ed è ampiamente influenzato dallo studio della propaganda dei regimi (ferita all’epoca ancora aperta): del resto si applica con disinvoltura anche oggi alle nuove tecnologie e alla tecnocrazia dei social network. Questi ultimi, lungi dal favorire il libero scambio di idee, si configurano sempre più come rigide macchine di ingegneria sociale, dove il consenso viene fabbricato per via algoritmica.

Tale processo di cristallizzazione ricorda per altri versi il meccanismo di difesa inconscia dell’Io scoperto dai tempi di Freud, che si rifugia in una struttura rigida per proteggersi dall’angoscia dell’incertezza del vivere quotidiano. Come nella più classica nevrosi, l’individuo cede il proprio potenziale creativo e dialettico, preferendo il rassicurante conforto di una narrazione preconfezionata che non richiede sforzi critici. Laddove il Sé potrebbe abbracciare la complessità e la fluidità del reale, la propaganda lo spinge a un processo regressivo: la dipendenza infantile da un’autorità superiore, un papà autoritario che offre verità assolute, schemi binari di interpretazione del mondo. È il trionfo del Super-Io autoritario sulla spinta del principio di piacere, sulla forza dirompente della pulsione di vita, che potrebbe (e forse dovrebbe) invece sovvertire l’ordine simbolico imposto.

Tale dinamica – lungi dall’essere spenta, al giorno d’oggi – non è altro che la codificazione del controllo sociale e del dominio sistematico sull’individuo. La propaganda non è solo un mezzo, ma un fine: eliminare ogni possibilità di dissenso, sabotare alla radice l’autonomia di pensiero, che è il primo motore del cambiamento radicale. L’anarchismo, che rifiuta ogni forma di autorità imposta, si oppone alla cristallizzazione descritta da Ellul proprio perché ne riconosce l‘essenza mortifera: cementare l’immaginazione, ridurre l’umano a ingranaggio, spogliare l’esistenza della sua componente più ribelle, il pensiero critico. Nel mondo descritto dalla propaganda, non c’è spazio per l’utopia, per il sogno di una società senza gerarchie e confini. La propaganda costruisce una gabbia invisibile in cui il potere si autoalimenta, soffocando la voce dell’individuo e relegandolo al ruolo di spettatore passivo di una realtà predeterminata.

Di Jan van Boeckel, ReRun Productions - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=44342274
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