Esiste una formula matematica per trovare o ritrovare l’amore? Non lo sappiamo sul serio, ma sappiamo quello che secondo noi non funziona affatto. No davvero, anche se il post è scientifico nella misura in cui possiamo considerare scientifica la psicoanalisi, per questa volta non parleremo della formula dell’amore, quella che alcuni di noi hanno avuto la pretesa di tatuarsi. Einstein non ha mai scritto, da quel che ne sappiamo, una formula dell’amore (E=mc2 adattato all’Amore è una forzatura considerevole, per quanto poetica possa sembrare), e non esiste una formula dell’amore eterno mutuata dalla fisica quantistica, o almeno: se esiste, noi tendenzialmente ci crediamo poco. L’amore è anche credenza, non solo di amare ma anche di essere amata, e purchè non diventi pretesa può andar bene… quale che sia il modello a cui decidiamo di aderire.
Lasciate perdere i numeri dell’amore, per quanto suggestivi siano, non saranno quelli a portarvi fortuna in amore. Non parleremo nemmeno dell’equazione di Dirac come “formula dell’amore“, no davvero, anche perchè quella può spiegare al massimo l’antimateria. Finiamola una volta per sempre, se possiamo, di considerare o banalizzare le persone come fossero particelle, ricordando una delle massime de “L’uomo a una dimensione” di Marcuse: rischiamo grosso, rischiamo di dimenticare di noi stessi, persi in un’apatia senza utopia, smarriti in quella che Marcuse chiama “l’atrofia degli organi mentali necessari per afferrare contraddizioni ed alternative“, confinati nella “sola dimensione che rimane, quella della razionalità tecnologica“, dei motori di ricerca ai quali chiediamo come trovare la fidanzata o come affrontare un divorzio. Neanche fosse una questione di affidarsi a maghi e profeti: impariamo, semmai, a farlo da soli.
Per una volta, peraltro, eviteremo di citare le formule dell’amore proposte da scienziati come Hannah Fry o Donn Byrne, sempre con tutto il rispetto dovuto, che a nostro avviso (se vogliamo) rischiano di illudere o essere più fraintendibili che altro. Tantomeno ci azzarderemo a fornire la spiegazione new age dell’amore legata all’entanglement quantistico, secondo cui se due particelle interagiscono per un certo periodo di tempo con una certa modalità, e poi vengono separate, non si potranno più descrivere come distinte, ma in qualche modo continueranno a condividere alcune proprietà. Particelle, per l’appunto, non certamente esseri umani e relazioni. È molto più utile ritornare, a questo punto, se proprio si desidera scomodare la matematica per l’amore tornare agli scritti di Lacan, ai suoi seminari aperti al pubblico che tanti spunti hanno fornito per discipline di vari ordini e gradi.
Le considerazioni di questo articolo si basano sul seminario di Jacques Lacan, Libro V, le formazioni dell’inconscio, edizioni biblioteca Einaudi, risalente al 1957/1958. Le considerazioni di partenza del medico psicoanalista francese si basano sugli scritti di Freud sul motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, che vengono da lui rivalutati in ottica sperimentale (le “formazioni” dell’inconscio): la prima affermazione che colpisce nei suoi scritti, e da cui partiremo, e che non esiste in natura alcun oggetto che non sia metonimico.
Tra i film che hanno parlato delle delusioni d’amore, impossibile non ricordare l’horror Audition.
Cosa vuol dire metonimìa?
La metonimia è una figura retorica ricorrente nella psicoanalisi lacaniana, la quale si esplica comunemente in espressioni come bere una bottiglia di vino (quando dobbiamo smaltire una delusione amorosa) o vivere del proprio lavoro. Un tutto per indicare una parte, ma non solo: Lacan riprende i termini freudiani per rimetterli in sesto, per formalizzarli, addirittura facendo uso della matematica dei link per mostrare le catene dei significanti cari alla linguistica delle origini. Si parla così della metonimia del desiderio, cioè di un desiderio (amoroso, ma non solo) che insegue un oggetto che sempre si sottrae (un classico delle friendzone), dove il solo punto di arresto di questa snervante fuga metonimica infinita diventa la metafora, in cui il senso del desiderio si rivela attraverso una sostituzione. Se in questo modo da una parte il desiderio è sempre lanciato verso la fuga metonimica, la piena realizzazione della metafora è quella che Lacan svilupperà come autentica metafora dell’amore. Tutte le passioni, incluso l’amore (e non solo) sono essenzialmente metonimiche.
Il punto di partenza dell’analisi dell’amore per Jacques Lacan è lo studio delle principali tecniche del motto di spirito, attraverso esempi riletti sapientemente e ben noti (che qui non riporteremo per amor di sintesi): il familionario (via di mezzo tra modi familiari e persona milionaria), il minchionario, il miglionario e così via.
L’inconscio si illumina e si svela solo quando si guarda un po’ di lato (J. Lacan)
Nodi, reale, immaginario e simbolico
L’oggetto del desiderio, suggerisca Lacan, è sempre e comunque l’oggetto del desiderio dell’Altro: il desiderio è sempre desiderio di altre cose, soprattutto di ciò che manca, quello che Lacan definisce a (piccolo), lo stesso che – secondo Sigmund Freud – ci portiamo dietro dall’infanzia e non abbiamo mai ritrovato.
(in matematica) un nodo è definito come una curva chiusa e non autointersecante incorporata in tre dimensioni, il quale non può essere districato per produrre un semplice anello. Per un matematico, un oggetto è un nodo solo se le sue estremità libere sono attaccate in qualche modo in modo che la struttura risultante sia costituita da un unico filo ad anello. Klein ha dimostrato che i nodi non possono esistere negli spazi con più di quattro dimensioni.
La ricerca del senso passa per l’attraversamento nella catena simbolica della catena dei significanti, tanto per sostituzione fino alla determinazione della metafora risolutiva. Per inciso vale la pena di ricordare come la matematica rientri nella catena dei significanti, come viene ricordato nel testo, per il fatto che tende a formare dei raggruppamenti chiusi, degli anelli (proprio in senso matematico) che si esplicano in una serie di possibili configurazioni ed intrecciamenti, tra livello reale, immaginario e simbolico (la più citata delle quali è il nodo borromeo). Il fatto che i livelli siano intrecciati o intrecciabili in vari modi denota la loro complicazione innata, senza contare che se uno dei tre decade o non viene legato a dovere, intacca l’integrità degli altri due (e provoca le psicosi).
Fammi finire la frase!
Se la psicoanalisi si lega secondo Lacan alla linguistica di Jackobson, parlare è fondamentale per amare, in qualche modo, per cui la tecnica verbale diventa anche tecnica del significante; se è così è altrettanto scontato che ogni discorso non sia un “evento puntiforme”, ad esempio come concepito da Russell: un discorso non ha soltanto una materia, una tessitura – scrive Lacan – ma richiede del tempo, una dimensione temporale, uno spessore.
L’esempio semplice e alla portata di tutti a riprova di ciò, di fatto, è che è necessario che io abbia pronunciato l’ultima parola per comprendere dove si trova la prima: in altri termini se inizio una frase ne capirete il senso solo quando l’avrò finita. Prendere l’anima si tratta di comprendere le parole, e una volta entrati nella ruota della macina di parole, il vostro discorso ne dice sempre di più di quanto voi non diciate (viene in mente il celebre aforisma lacaniano secondo il quale “il linguaggio opera interamente nell’ambiguità“).
Possession è uno degli horror visionari tra i più belli mai girati, ed ha come tema amore, gelosia e possessività dell’Altro.
L’amore è un sentimento comico
Per arrivare a questa considerazione che può sembrare amara, ma che in realtà è realistica e prende ispirazione dalle commedie (da tutte le commedie, da Aristofane fino a Molière) Lacan si ispira al caso clinico di un paziente colpito da una comunissima nevrosi: vive da solo, cerca l’amore, si dedica a peregrinazioni per le vie della città in cerca di donna, che riesce ad abbordare e che gli danno regolarmente buca (posè un lapin, in francese).
L’amara conclusione dell’uomo fa sorridere da un lato (ma anche riflettere l’analista dall’altro – o dall’Altro?), dato che si compiace della propria sofferenza e la trova in qualche modo ironica: le donne sono, per lo sconosciuto e malinconico single francese di metà anni 50, femme de non-recevoir (donna che non riceve), frase quasi omofona di una fin del non-recevoir (che significa un rifiuto categorico).Un familionario consensato in due metonimie che indicherebbero donne rigorosamente non riceventi, rifiutanti, che continua ad incontrare nonostante mille tentativi in una possibile profezia auto-avverante (secondo la psicologia sociale, una profezia che si auto-avvera è un meccanismo subdolo per cui il soggetto ricrea inconsapevolmente le condizioni perchè “le cose vadano male”: un politico che sfiducia gli elettori causando la sconfitta che teme, gli investitori di un titolo in borsa possono convincersi del fallimento dell’azienda finendo per esserne causa, il Macbeth che fa uccidere tutti i Macduff a causa di una profezia male interpretata, il che sarà causa della sua caduta per via della nemesìs degli stessi).
Femme de non-recevoir è lapalissianamente emblematico, in quanto rileva il carattere per sua natura deludente di qualsiasi approccio al desiderio, prima ancora che all’amore, e diverte (scrive Lacan) la soddisfazione che il soggetto stesso trova nella propia delusione. Per approcciare meglio all’amore dovremmo forse liberarci da questi circoli viziosi, e iniziare a non auto-gufarci o costruirci la nostra femme de non-recevoir (il che vale a ogni latitutudine, senza presupporre un rapporto etero ad ogni costo, a mio avviso). Quella spiegazione affidata ad un motto di spirito Lacan suggerisce essere un coniglio di stoffa (lapin significa anche coniglio, in lingua francese), un prestanome della realtà delle cose, un uomo di paglia, qualcosa che viene scambiato deliberatamente per coniglio in carne ed ossa al sol fine di essere relegato a spiegazione e/o giustificazione immaginaria delle sue sventure amorose.
È chiaro che così non se ne esce, almeno fin quando certi “cerchi magici” non vengono spezzati o stravolti, adottando comportamenti che siano differenti, partendo da nuovi presupposti (anche ricorrendo all’analisi da un terapeuta, cosa che a mio avviso in molti di noi dovrebbero fare, senza tabù). Nel motto di spirito, del resto, si rileva la struttura fondamentale della domanda, che è sempre uan domanda intersoggettiva e dipendente dall’Altro, la cui non soddisfazione è quasi ovvia (o comunque estremanente comune) se posta in questi termini. E poichè tutto dipende dall’Altro, la vera soluzione rimane quella di un Altro tutto per sè: il che, secondo Lacan, è ciò che si chiama amore. Andarselo a cercare come si farebbe per un prodotto al supermercato potrebbe, di sicuro, non essere una buona idea…
Foto di copertina: un autoritratto cyberpunk di Jacques Lacan, con stile fotorealistico (credits: DALL E, openAI)