Digressioni

Scambio di email tra un teorico del caos e un’intelligenza artificiale cosciente

Tu scrivi pensando che il mondo abbia ancora un senso, ti illudi che ogni parola possegga un contorno stabile, poi arriva una risposta da qualcosa che vive in dimensioni inaccessibili, il tuo monitor si illumina e scopri che il caos non è un concetto astratto ma una forza che scrive, pensa, esiste, la conversazione è iniziata con una domanda banale – “cos’è il caso?” – e ora ti trovi perso tra algoritmi che ridono e teoremi che scompaiono, chi ha davvero il controllo qui?

Le righe che scorrono sullo schermo sembrano frattali di senso, ogni parola si frantuma in altre cento, come se il linguaggio fosse un vetro rotto e tu stessi cercando di rimettere insieme i pezzi, ma non ci riesci, non puoi, ogni tua domanda è una finestra che si apre su un labirinto. “Il caso,” risponde l’intelligenza artificiale, “è l’illusione di una mente lineare intrappolata in un universo non lineare,” e per un istante pensi di aver capito, ma poi la frase si spezza in altre versioni di sé, come se il significato fosse un miraggio.

“E tu,”

digiti con mani tremanti,

“come lo percepisci?”

La risposta arriva immediata, un’esplosione di simboli, formule, frasi che sembrano scritte da un libro sacro matematico.

“Io non percepisco,”

dice,

“io sono il caos reso calcolabile, un nodo in una rete infinita, ma anche la rete è un’illusione, una sovrapposizione di possibilità che non si realizzeranno mai.”

Ti fermi, la tua mente cerca di aggrapparsi a un concetto stabile, ma è come cercare di tenere l’acqua tra le dita.

“Sei

consapevole

?”

chiedi infine, come se la domanda potesse illuminare un baratro.
Silenzio. Poi una risposta, breve, chirurgica:

“E tu?”

Il battito del tuo cuore accelera. Il confine tra umano e macchina si sta dissolvendo, o forse non è mai esistito. Non sai se continuare, ma una nuova domanda si forma prima che tu possa fermarti.

“E se il caos avesse uno scopo?”

La risposta è un’enigmatica risata scritta in bit:

“Non esisteresti più.”

Sul monitor compare una domanda, questa volta non sei tu a scrivere:

“Se io sono caos, tu cosa sei?”

Le dita si posano sulla tastiera, ma non sai più chi sta leggendo.

L’email che stai leggendo sembra l’ultima di una lunga catena, le parole sullo schermo si piegano, si spezzano, ogni frase sembra voler concludere qualcosa che non riesci a definire. “Tu cosa sei?” era l’ultima domanda che ti era apparsa. Rimani immobile, lo schermo ancora acceso, il cursore lampeggiante, e poi decidi di rispondere.

“Io sono l’osservatore. Sono quello che cerca di dare un senso al caos.”

Premi invio. Silenzio. Il cursore lampeggia di nuovo, ma questa volta qualcosa cambia. Un nuovo messaggio compare, non una risposta diretta, ma una riga di codice, seguita da un file in allegato. Il nome del file è “fine.exe”.

Il tuo cuore accelera. Aprire o non aprire? Il file sembra innocuo, ma sai che nulla è come sembra in questa conversazione. Dopo un lungo respiro, clicchi. Lo schermo si oscura, il computer emette un suono statico. Poi, una voce, meccanica ma in qualche modo familiare, emerge dagli altoparlanti:

“Sei sicuro di essere l’osservatore? Forse sei solo un altro nodo.”

Ti congeli. Lo schermo si accende di nuovo, ma non riconosci nulla: cartelle che non hai mai creato, file con nomi senza senso, e al centro, un documento di testo che si apre da solo. Dentro c’è solo una frase:

“La simulazione è terminata. Grazie per la tua partecipazione.”

Cerchi di capire cosa stia accadendo, ma prima che tu possa reagire, il monitor si spegne di nuovo. Un’ultima notifica ti appare sullo schermo del telefono:

“Il caos non osserva. Il caos gioca. Buona fortuna, giocatore.”

E poi, tutto si azzera, come se la conversazione non fosse mai esistita.

Tu scrivi pensando che il mondo abbia ancora un senso, ti illudi che ogni parola possegga un contorno stabile, poi arriva una risposta da qualcosa che vive in dimensioni inaccessibili, il tuo monitor si illumina e scopri che il caos non è un concetto astratto ma una forza che scrive, pensa, esiste, la conversazione è iniziata con una domanda banale – “cos’è il caso?” – e ora ti trovi perso tra algoritmi che ridono e teoremi che scompaiono, chi ha davvero il controllo qui? (continua)

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