The Machine Girl è un delirio splatter per soli amanti del genere

The Machine Girl è una liceale senza una mano, che ha perso il fratellino tragicamente ed ha sete di vendetta nei confronti dei sadici bulli che le hanno fatto il torto.

Se non ci fosse lo splatter di mezzo non sarebbe diverso da un prodotto destinato unicamente a dei ragazzi. Invece proprio il gore, non troppo diverso da quello del “cugino” Tokio Gore Police, rende questo lavoro adatto solo ai cultori del genere, ed esclude – per forma, sostanza e modalità – chiunque altro volesse avvicinarsi all’opera. Incentrato sulla vendetta – interpretata come un obbligo a cui è impossibile sottrarsi, pena la dannazione: nonostante la serietà dell’argomento trattato (il bullismo), litri di sangue, trama da seguire e a tratti cartooonesco.

Una donna forte, giovane, bella e portata a risolvere le questioni con la violenza: sembra quasi la definizione della Thurman di Kill Bill, per un ennesimo horror giapponese di ottima fattura quantomeno a livello di impianto scenografico. Il regista, Noboru Iguchi, si muove con destrezza sia nel campo del terrore che in quello del porno, a quanto ne sappiamo, e questo dovrebbe dare un indizio su quella che dovrebbe suggerire una certa versatilità da un lato, e far sospettare un film facilone dall’altro. È bene precisare, comunque, che la componente erotica è ridotta a vaghissime suggestioni, mentre le uniche cose esplicite sono la violenza, il sangue ed il gore. Davvero tanto sangue, in un film in cui la cosa più normale è l’amputazione di un arto. Tra le sequenze memorabili, il sushi a base di dita umane, la tortura dei chiodi ed il mitragliatore attaccato ad un braccio (già visto in Planet terror in modo simile).

Non è diversa dal solito la sostanza da manga favolistico, almeno in primissima istanza, che viene poi declinata con una violenza come sempre spinta fino al parossismo. C’è anche una sorta di effetto collaterale nell’assistere alle scene di violenza, che si esplicano in un duplice aspetto: da un lato la forza (prima di tutto interiore) di Ami, che fa apparire quasi ridicoli i suoi apparentemente temibili nemici (scena del tentato stupro). D’altro canto, è proprio la pochezza dei cattivi ad apparire prepotente sullo schermo, ed il paradosso è che i “buoni” si trovano a soffrire proprio per questo motivo. È anche possibile, inoltre, che ci sia qualche messaggio subliminale dietro al bullo che brucia gli yen che ha ricevuto dai ragazzini che tormenta; ma nel contesto diretto in cui ci troviamo qualsiasi lettura appare, a mio parere, come una gigantesca forzatura.

Ottima prova alla regia di Iguchi, ad ogni modo, che speriamo continui a mantenersi prolifico come molti altri suoi connazionali. A parte Ami, prototipo di liceale giapponese da sogno erotico, menzione particolare per la madre yakuza Violet Kimura (Honoka), bella e convincente nella propria sadica interpretazione. Il finale, poi, è un crescendo, anche se qualcuno dirà che è abbastanza prevedibile. Ci crediate o no, il regista è il simpaticone nella terza fotografia.

Approfondimento: tutti i personaggi di The machine girl

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