I love you Baby Reindeer, sent by my iPhone


Quando una serie tv diventa in brevissimo tempo un cult è perché sa toccare le giuste corde con perizia. Perché è perfettamente figlia del suo tempo. Un tempo sgrammaticato e iperconnesso. Proprio come Martha Scott, la stalker del comico Donny Dunn, che diventa per lei Baby Reindeer, Piccola Renna.

Sappiamo già che ciò che si narra è ispirato a fatti realmente accaduti e che la stalker reale, guarda un po’, sta pensando di citare in giudizio l’autore/attore Richard Gadd, perché con la sua opera sarebbe lui a vestire ora i panni dello stalker.

Non voglio tediare nessuno con un’inutile sinossi a rischio spoiler, vorrei invece offrire qualche considerazione che mi proviene dalla mia professione, che è quella di psicologa.

Raccontando la sua storia nuda e cruda, senza lesinare i retroscena e le sottostorie ancor più nude e più crude, Richard Gadd fa ciò che ogni buon psicologo del 2020 esorta caldamente a fare per trovar salvezza. E cioè “Essere vulnerabile”. E infatti la salvezza la trova eccome, sia come essere umano, sia come professionista dello spettacolo, a cominciare dai palchi di stand up comedy per finire in bellezza con una tra le più gettonate serie targate Netflix.

Essere vulnerabile, leggi anche “mostrarsi in tutta la propria vulnerabilità”, lo salva e lo riscatta dalle dipendenze: quella da sostanze e quelle affettive. Si smarca così da un losco figuro abusante (e non vi dico altro) e si smarcherà pian piano dalla morsa venefica, eppure anche morbosamente godibile talvolta, della sua stalker. Insomma, se non ho più paura dei miei segreti, se sono disposto a parlare con chiarezza delle mie scelte più discutibili, se riesco a confessare ai miei genitori chi sono davvero, sono libero. Libero dalle minacce, libero dai sensi di colpa, libero dai rimorsi. Libero da chi mi tiene in pugno e vorrebbe inguaiarmi. Forse anche libero da me stesso. Questa è una delle più grandi lezioni che ci offre Baby Reindeer.

Ma Richard Gadd va oltre. Si mostra così vulnerabile da cercare nei suoi stessi atteggiamenti e comportamenti quei fattori che hanno reso possibile l’aggancio della vittima al suo stalker. No, non si tratta di victim blaming, c’è differenza. Scaricare la colpa sulla vittima è operazione bieca e manipolatoria: non è la stessa cosa di analizzare cosa nel nostro fare (o nel nostro non fare)  contribuisce a innescare e mantenere una relazione malsana. E lui questa analisi la fa e ce la porge senza sconti. Si mette in discussione fino in fondo. Anche qui una lezione per niente banale.

E per niente banale è la centralità della tecnologia in tutta questa storia. Si parte dalle email per passare agli sms e ai lunghissimi e innumerevoli vocali che Martha manderà quotidianamente al suo Baby Reindeer, che passerà quasi tutto il suo tempo ad ascoltarli e a catalogarli, anche – ma non solo!- per trovare qualcosa di utile per incriminarla. Baby Reindeer è una visione coinvolgente, ben scritta e recitata assai credibilmente, che ci mette in guardia da come può cambiare la vita in una sera soltanto, offrendo un tè alla persona sbagliata.

Il nostro voto

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