Tony Arzenta: noir all’italiana da riscoprire

“Tony Arzenta” (Big guns) è un noir anni 70 diretto da Duccio Tessari, con protagonista un giovanissimo Alain Delon e caratterizzato dalle lancette dell’orologio del protagonista che sembrano scandire un destino segnato. La storia è quella di un killer con moglie e figlio che, giusto nel giorno del compleanno di quest’ultimo, decide di compiere l’ultimo delitto su commissione e poi di “appendere la pistola al chiodo”. La decisione fa tuonare immediatamente contro di lui la volontà crudele dei principali boss per cui lavorava, che gli fanno trovare un’autobomba nella macchina la quale disgraziatamente gli uccide moglie e figlio. Sarà l’inizio di una vendetta senza pietà che lo porterà ad una fine inevitabile, proprio da parte di chi gli era stato più fedele e lo aveva protetto.

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In breve: un noir dai toni eleganti e concisi, ben delineato in ogni personaggio e costruito sulla figura di un killer  tormentato dai ricordi, ed incentrato sul fato e sulla percezione del tempo che gli scorre addosso.

Coprodotto dallo stesso protagonista dell’opera, che pare ne abbia curato i due diversi montaggi (quello francese più breve e depurato delle pochissime scene “sconvenienti” e l’edizione completa, vedi Nocturno), “Tony Arzenta” preleva i principali stereotipi da poliziesco all’italiana e li trasfigura in un film certamente cinico, ma privato della sua componente più exploitativa. Sono infatti praticamente assenti scene di sesso e violenza esplicite, le quali anche quando il pubblico se le aspetterebbe vengono abilmente glissate (vedi aggressione a Sandra, la splendida Carla Gravina protagonista della serie TV “Il segno del comando“). Certamente il protagonista è duro nella sua meditata vendetta, freddamente razionale nel compierla e non mancano le efferatezze da parte sua: un esempio per tutti è l’uccisione di Carrè sul treno, scaraventato dal finestrino a colpi di pistola e martoriato sui semafori dal treno in corsa. Al tempo stesso, e senza troppi giri di parole, è umano come chiunque altro.

Tony Arzenta, essenziale nei modi, logorato dalla violenza e capace di consumare delitti rapidi senza inutili crudeltà, è spinto dall’aver subito una sostanziale ingiustizia, che viene addirittura ammessa dai suoi mandanti i quali, pero’, obbediscono ad una sorta di “piano superiore”. Si tratta del destino che piomba inesorabile sulle vite di ogni protagonista e che non risparmia nessuno, proprio perchè si auto-alimenta di quello stesso sadismo per il quale il pubblico ha simpatizzato per circa un’ora di film.

Ingiustamente massacrato dalla critica del tempo per via della sua presunta “assenza di trama” e per le alcune “ingenuità” dell’intreccio (rispettivamente “Il giorno” e “Il messaggero“), “Tony Arzenta (Big Guns) viene riscoperto in Italia dalla rivista Nocturno nel gennaio del 2010, la quale ne parla come di un noir piuttosto drammatico nel suo incedere, incentrato sull’idea di destino. Qualcuno forse penserà ad una forzatura nel tesissimo atto finale (orchestrato magistralmente dal subdolo Nick Gusto/Richard Conte), proprio perchè lo spettatore sa che la storia non puo’ che finire male per il protagonista, quando in altri tempi e luoghi l’happy end sarebbe stato imposto da chiunque, dal primo regista al magazziniere.

Invece si segue fedelmente la tradizione poliziesca all’italiana: la chiave degli eventi è legata ad un tradimento (vedi Milano Calibro 9 come esempio celebre), facendo concludere la storia in un brevissimo attimo che fa sussultare e lascia l’amaro in bocca. “Tony Arzenta” non è altro, quindi, che un’espressione romantica delle dinamiche di un consumato ganster movie, con un Delon perfetto nella parte del killer stanco travolto dall’incedere degli eventi, con il cui coraggio di fondo ci illude, paradossalmente, fino alla fine.

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