Laissez bronzer les cadavres: il western noir anomalo e spettacolare
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Un’artista ed uno scrittore suo amante vivono isolati dal mondo nella Francia del sud, visitati da un avvocato di loro conoscenza che ha fatto un patto con un gruppo di rapinatori. L’incontro tra questi mondi scatenerà un inferno di ferocia ed avidità…

In breve. Un western modernizzato a forti tinte pulp, surreale nella sua rappresentazione dell’avidità e del cinismo dei personaggi. Non c’è scampo: da non perdere.

Presentato al festival di Locarno nel 2017, adattamento del romanzo del 1971 di Jean-Patrick Manchette e Jean-Pierre Bastid noto col titolo Che i cadaveri si abbronzino (e pubblicato in Italia da Le Edizioni del Capricorno in una collana noir), Laissez bronzer les cadavres (in inglese Let the Corpses Tan) si presenta fin dai primi fotogrammi nella sua visionarietà da film d’autore, con una cura per il dettaglio (frequentissimi i primissimi piani sull’espressività dei personaggi, su ciò che fanno e ciò che mangiano) tale da renderlo un inclassificabile (e splendido) ibrido tra più generi. Se Tarantino verrà in mente in più – anche per i numerosi richiami nella colonna sonora, che comprende brani degli score di Kill Bill Vol. 2 e Quando il sole scotta, così come di Chi l’ha vista morire? – il film di Cattet/Forzani non può certamente essere visto in ottica puramente citazionista o riduzionista. Significherebbe limitarlo in un piccolo sottoinsieme di possibili significati, cosa che Laissez bronzer les cadavres rifiuta categoricamente, rientrando nella singolare forma di un pulp-thriller da lasciarsi scorrere addosso senza farsi troppe domande (e senza stare qui a cercare di scriverci troppo, probabilmente). Non mancano gli omaggi visuali a certo cinema pulp anni 70, con un tocco di psichedelia e di indefinito – probabilmente funzionali a rendere la visione una specie di esperienza “alla Lynch”.

Potremmo pensare per molti tratti ad uno spaghetti western modernizzato, a cominciare da molte ambientazioni desertiche e dal sole, onnipresente non come elemento vitale bensì corrosivo dei cadaveri, come da titolo; altresì sarebbe lecito accostare lo stile di alcune riprese a Pulp Fiction (da cui si eredita il montaggio non lineare degli eventi, e la ripresa dei vari punti di vista dei personaggi al limite dell’ossessione), ma il parallelismo dovrebbe fermarsi qui. Considerare tarantiniano Laissez bronzer les cadavres è (per quanto lecito) potenzialmente riduttivo, perchè la Cattet e Forzani osano calcare la mano (in senso narrativo, introspettivo e simbolico) come (credo) difficilmente avrebbe osato il maestro americano, ricalcando da europei stilemi di genere prettamente europei (guarda caso) ed esplicitando alcune sequenze in un modo così poco hollywoodiano e feticistico (la sequenza del pissing, ad esempio).

Il film richiama una serie di sotto-storie e di potenziali sotto-significati tutti da scoprire, che probabilmente chi abbia letto il romanzo originale potrà cogliere nel migliore dei modi: rimane criptica, anche dopo la seconda visione che mi sono riservato, la figura della ragazza conturbante ed inquadrata perennemente in ombra, a rappresentare probabilmente una vicenda del passato della protagonista (la giovane stessa?) avvenuta in quei luoghi. Del resto sembra lecito pensare che la doratura a cui sono sottoposti i personaggi abbia valenza simbolica, specie quando venga miscelata al sangue ed ai 250kg di lingotti oggetto dei desideri di molti. E qui bisogna fermarsi per evitare di azzardare letture fuori luogo: un film del genere va visto coi propri occhi, per poterlo giudicare. In fondo della narrazione relativamente importa, perchè il destino dei protagonisti è già raccontato dal titolo, che dice tutto senza fronzoli, delineando un fato indifferente, nichilista e corrosivo. Corrosivo è anche l’aggettivo che sembra più azzeccato per descrivere l’intera pellicola, un lavoro fuori dal tempo per essere del 2017 e bello, spietatamente bello, come pochi film del genere abbiamo avuto l’onore di visionare in questi anni.

Nella colonna sonora troviamo vari omaggi al cinema di genere italiano: Sunny Road to Salina di Christophe (Daniel Bevilacqua), Matalo! (Theme Song) di Migliardi-Roli, Faccia a Faccia (tratto dal film omonimo di Sergio Sollima), Severamente (tratto da Giornata nera per l’ariete), Solo Grida (Chi l’ha vista morire?) di Ennio Morricone e Zombie Parade di Nico Fidenco (tratto da Zombi Holocaust).

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