Storia, teoria e pratica dell’accelerazionismo
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Accelerazionismo secondo Nick Land

Il primo Nick Land – ben distinto dall’ultimo, che diventa più o meno consapevolmente ideologo virtuale della cosiddetta alt-right – propone una concettualizzazione dell’accelerazionismo in termini filosofici:

Chiunque si stia esprimendo sul concetto di accelerazionismo – scrive Land su Jacobite, con un certo gusto del paradosso – dovrebbe fare in fretta. È intrinseco alla natura stessa dell’argomento. In passato, è stato catturato da tendenze che sembravano troppo veloci decenni fa, mentre acquisiva consapevolezza di sé. Oggi ha guadagnato notevole velocità, rispetto ad allora.

L’accelerazionismo è abbastanza antico da aver sperimentato diverse ondate, è un tema che ritorna in modo insistente o ripetitivo, e ad ogni ripresentazione la sua sfida diventa più urgente. Tra le sue prospettive c’è l’aspettativa che tu sia troppo lento per affrontarlo coerentemente. Eppure, se eviti di considerare la domanda che pone, a causa della sua estrema velocità, potresti perdere – tu inteso come umanità, forse in modo significativo. È una sfida difficile. I vincoli temporali, per loro stessa natura, sono difficili da concepire. Di solito, l’opportunità di riflettere è stata erroneamente considerata una costante storica, anziché una variabile. Se mai c’è stato tempo per pensare, crediamo che ci sia ancora e che ci sarà sempre. La possibilità che lo spazio temporale per prendere decisioni stia subendo un processo di compressione sistematica è una prospettiva negata, persino tra coloro che dimostrano una chiara e straordinaria attenzione verso l’aumento della velocità del cambiamento.

In termini filosofici, il profondo dilemma dell’accelerazione si presenta come un problema trascendentale: ci descrive un orizzonte assoluto che, allo stesso tempo, viene chiuso. Il pensiero richiede tempo, e l’accelerazionismo suggerisce che stiamo per esaurire il tempo per pensare, se non l’abbiamo già fatto. Nessun dilemma contemporaneo può essere affrontato in modo realistico finché non riconosciamo che la possibilità di farlo sta velocemente collassando. Si potrebbe pensare che quando inizierà un dibattito sull’accelerazione, sarà esattamente troppo tardi. La profonda crisi istituzionale, che rende questo tema “scottante” ai nostri giorni, ha il suo fulcro nell’implosione della capacità sociale di prendere decisioni.

Agire in qualche modo, a questo punto, richiederebbe troppo tempo. Di conseguenza, gli eventi continuano ad aumentare e sembrano sempre più sfuggire al controllo, persino in modo traumatico. Proprio perché ci troviamo di fronte a un problema di freni e controllo, l’accelerazionismo ritorna in primo piano. L’accelerazionismo collega l’implosione dello spazio decisionale all’esplosione del mondo che è la modernità.

Accelerazionismo, politica e sociologia quotidiana

Illuminante il passaggio che per Land si riconduce all’Anti-Edipo di Deleuze&Guattari, opera di complicatissima lettura del 1972 sulla falsariga di Nietzsche e di ciò che venne battezzata come “anti-psichiatria” (termine che non deve far pensare ad un “negazionismo” della psichiatria: al contrario, il movimento guidato da Guattari ha semmai contribuito a spostare l’attenzione sulle critiche alle pratiche psichiatriche dominanti, e ha influenzato il campo della psicologia e della salute mentale, portando a un maggior coinvolgimento dei pazienti nella loro cura e all’adozione di approcci più umani e individualizzati. casi estremi di maltrattamenti di pazienti erano all’ordine del giorno fino agli anni Settanta, e sono testimoniati indirettamente da film come Requiem for a dream).

Tornando all’accelerazionismo, anche se sarebbero stati necessari ancora quarant’anni per arrivare al termine «accelerazionismo» – scrive ancora Land – il concetto era già lì nella sua interezza. Si parte dall’Anti-Edipo:

«Ma quale via rivoluzionaria, ce n’è forse una? Ritirarsi dal mercato mondiale, come consiglia Samir Amin ai paesi del Terzo Mondo, in un curioso rinnovamento della “soluzione economica” fascista? Oppure andare in senso contrario? Cioè andare ancora più lontano nel movimento di mercato, della decodificazione e della deterritorializzazione? Forse, infatti, i flussi non sono ancora abbastanza deterritorializzati, abbastanza decodificati, dal punto di vista di una teoria e di una pratica dei flussi ad alto tenore schizofrenico. Non ritirarsi dal processo, ma andare più lontano, «accelerare il processo», come diceva Nietzsche: in verità, su questo capitolo, non abbiamo ancora visto nulla.» (Deleuze e Guattari, L’anti-Edipo, 1972, pg.272)

Il punto di un’analisi del capitalismo, o del nichilismo, è di realizzare qualcosa di più. Il processo non va criticato. Scrive ancora Land: il processo è la critica, che si autoalimenta, intensificandosi costantemente. L’unica via d’uscita è attraverso, che significa sempre più all’interno. Anche Marx può essere considerato un proto-accelerazionista nel «Discorso sul libero scambio» del 1848:

In generale attualmente il protezionismo è misura conservatrice, mentre il libero scambio agisce come forza distruttiva. Esso distrugge le vecchie nazionalità e spinge agli estremi l’antagonismo fra proletariato e borghesia. Il libero scambio affretta la rivoluzione sociale. È solo in questo senso rivoluzionario, o signori, ch’io voto pel libero scambio.

In questa germinale matrice accelerazionista, non sussiste nessuna distinzione tra la distruzione del capitalismo e la sua intensificazione. L’auto distruzione del capitalismo è la sua stessa essenza, conclude Land. Il destino sembra segnato: non serve più opporsi al capitalismo, ma basta seguirne i flussi per ottenere il suo collasso naturale. Con conseguenze oggetto di dibattito da anni, e su cui non è facile trovare una risposta netta (possiamo accelerare ma non prevedere il futuro, insomma).

Seguono ulteriori distinguo e analisi che potete trovare nel blog di Alessandro Longo.

Accelerazionismo: come definirlo, a questo punto?

Secondo una comune e popolare definizione, si intende per accelerazionismo l’idea per cui l’unico modo per superare il sistema capitalistico attuale consiste nell’accelerarne la tendenza innata alla disgregazione, esasperandone l’uso e mostrandone così le contraddizioni e le effettive debolezze. Ma già su questo punto non vi è accordo universale, essendo l’accelerazionismo composto da mille correnti che non danno per scontato, ad esempio, che la tendenza del capitalismo sia effettivamente quella di autodistruggersi. Peraltro, per capacitarsi della varietà e fluidità dell’argomento, vale la pena di osservare che già l’Anti-Edipo di Deleuze-Guattari – un saggio destrutturalista che ha fatto scuola, nell’ambito – criticava il capitalismo più per l’inefficenza esibita dallo stesso che per questioni morali.

L’accelerazionismo di sinistra, ad esempio, afferma che la propria politica andrebbe spinta nella direzione di immergersi massivamente nelle nuove tecnologie, per evitare che forme di luddismo o rigurgiti anti-tecnologici finiscano per espellere il progressismo dalla dialettica globale (cosa che, a ben vedere, è una critica abbastanza sensata). Il suo obiettivo è quello di salvare disperatamente il mondo, in questa accezione. L’accelerazionismo di destra, mutuando la propria visione da varie teorie del complotto, in alcuni casi, rinnega la demonizzazione del capitale e si pone in maniera antitetica. In quest’altra accezione non si tratta di salvare l’universo bensì di invididuarne le forze frenanti e costruire così un nuovo ordine. Altri accelerazionisti, inoltre, non accettano la polarizzazione del dibattito tra destra e sinistra e la identificano in modalità ancora diverse.

Paradossalmente, poi, la prassi dell’accelerazionismo (letteralmente, che cosa fare per accondiscendere alla sua ideologia) consisterebbe (soprattutto per i teorici apolitici) in una anti-prassi, vale a dire: un mix tra il Do what thou wilt (“fa ciò che vuoi”) di Aleister Crowley ed un grido, questa volta libertario, che risponde allo slogan “lascia andare”, perchè solo così – liberando il flusso tecnologico e lasciandolo fluire nel tempo – si potrà pervenire al post umano. Non sono poche le correnti accelerazioniste dal sapore mistico e concettuale, ma la teoria (politica, ma anche psicologica e filosofica, verrebbe da scrivere) di suo rimane  materialista, di ispirazione al più cyberpunk, ibrido tra varie tendenze post moderne.

Storia del movimento accelerazionista

Per costruire questo articolo ci siamo basati sulla lettura del breve, ma illuminante saggio di Tiziano Cancelli, How to accelerate.

Più che corrispondere ad una vera e propria ideologia ben definita, l’accelerazionismo si muove da alcuni scritti di filosofia anni 70 (tra tutti, l’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari) e da lì muove in infinite, frammentatissime varianti, che vanno da una distinzione binaria tra accelerazionismo di destra e di sinistra, passando per xenofemminismo, accelerazionismo gender, nero e incondizionato. Più che un movimento bisognerebbe parlare di range di idee, che sono state diversamente coniugate da progressisti come reazionario, che strizzano l’occhio a varie forme di anarchismo e che si basano sull’idea di accelerare i processi sociali.

Nel complesso e ricchissimo scritto di Gilles Deleuze e Felix Guattari, si pone l’accento soprattutto sul fenomeno della schizofrenia, interpretata come la dinamica imposta dal capitalismo che va per la maggiore: al netto di considerazioni cliniche, uno schizofrenico tenta di liberare le forze del proprio desiderio, considerato qui autenticamente rivoluzionario e perennemente represse dalla rigidità del sistema. Si trovano tracce di accelerazionismo, tra gli altri, anche ne Lo scambio simbolico e la morte” di Jean Baudrillard.

CCRU

La formalizzazione avviene mediante il CCRU (Cybernetic Culture Research Unit), un collettivo che nasce nell’ambito dell’università di Warwick nel 1995 e persiste fino al 2003, guidata essenzialmente dai due filosofi Sadie Plant e Nick Land. In questa fase si prefigura come una forma di tecno-pessimismo, con l’idea portante di effettuare mashup concettuali tra più ambiti e prendendo il via dal nichilismo “no future” che guidò il punk rock del 1977.

Alla base della primissima forma di accelerazionismo sviluppata nella metà degli anni Novanta vi è il concetto di perdita del controllo: l’uomo non può controllare la tecnologia che sta creando, per cui non solo la subisce, ma desidera subirla. Alla fine del processo le macchine arrivano alla senzienza, diventano autocoscienti e non avranno più, letteralmente, bisogno dell’uomo. La profezia assume un tono chiaramente apocalittico, per quanto le sue declinazioni non siano sempre unilaterali e anzi, in alcune lettura, venga il sospetto che si tratti più di una fine simbolica (dettata dall’adesione intellettuali a singolari forme di esoterismo, cyberpunk e politica) che materiale.

L’esperienza si conclude con una scritta emblematica che celebra, probabilmente, la nullificazione di quell’atto creativo in nome dell’accelerazionismo, fatto porre a quanto sembre dall’università nell’aula dove ebbe inizio il CCRU: il CCRU non esiste, non è mai esistito e mai esisterà.

In termini psicoanalitici alla base dell’accelerazionismo vi è il desiderio, l’immaginazione, strumenti mediante i quali possiamo superare le costrizioni moderne ed esplicarle grazie alle tecnologie (un esempio concreto potrebbe essere: superare i limiti geografici connettendoci in una videochat casuale con una persona dall’altra parte del mondo). Nello scontro che caratterizza la società moderna tra ordine e caos si colloca l’outside, l’Altrove accelerazionista, ciò che si trova oltre per definizione e che andrebbe accolto con curiosità e passione. L’idea è quella di collocarsi in una nuova dimensione umana che distrugga quella attuale e possa costituire un autentico post-umanesimo digitale. Anche perchè, citando uno dei capisaldi accelerazionisti, il solo modo per uscire dall’impasse moderno è attraversare la modernità, ovvero “l’unica via di uscita è attraversare“: “THE ONLY WAY OUT IS THROUGH“.

Tecnologia e accelerazionismo

Sembra consolidata l’idea che la tecnologia si stia sviluppando in modo capillare, anno dopo anno, arrivando non solo a condizionare il modo di fare del nostro quotidiano ma anche il modo di essere e di agire: l’avvento dell’internet delle cose (IoT), le app per fare qualsiasi cosa (dal dating al farsi portare la cena a casa), i social network e la loro diffusione massima di fake news, sono tutti aspetti che dimostrano come il potere possa, nonostante tutto, consolidarsi anche mediante le nuove tecnologie. L’accelerazionismo rigetta l’atteggiamento semplicemente anti-tecnologico e, al contrario, considera le tecnologie sovversive, potenzialmente in grado di modificare la realtà.

Intensificare lo sviluppo tecnologico (accelerare, in questo senso), di fatto, è l’unico modo per direzionare un cambiamento sociale che sarà, ovviamente, di natura diversa in base al modo in cui sarà realizzato. In questo rientreranno complesse teorie sul tempo (distinto tra frattale e lineare) e su come interpretare gli eventi che accadono all’interno del mondo. Accelerazione non è, comunque, solo velocità: si tratta sempre di una spinta localizzata, puntuale, che può avvenire per definizione in modi contraddittori e diversissimi tra di loro. Ciò dovrà fare i conti con un uomo che dovrebbe, in teoria, smettere di porsi in modo egoistico ed antropocentrico al centro della questione: cosa che pone sviluppi ulteriori da considerare e che, nel tempo, dovrà essere riconsiderata dai singoli come dalle forze politiche di ogni dove, tra emergenza climatica, geopolitica e sanitaria raccontata dagli anni in cui viviamo.

Nella speranza, forse, di riuscire a ricostruire dalle macerie in cui ci troviamo.

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