L’angelo sterminatore: quando non si poteva uscire di casa, nonostante non ci fosse alcuna pandemia

Gli ospiti di una cena esclusiva si trovano nella singola condizione di non potersene andare dal ricevimento, rimanendo bloccati all’interno e dando progressivamente manifestazione ad una natura feroce e crudele.

In breve. Una satira surreale e incisiva contro il mondo borghese e le sue convenzioni. Attuale e godibile ancora oggi.

Incluso nella lista dei migliori film secondo il critico Roger Ebert, diretto nel 1962 da Luis Buñuel e considerato tra i film da vedere almeno una volta nella vita (lista “1001 Movies You Must See Before You Die” di Steven Schneider), L’angelo sterminatore (riferimento all’Apocalisse di Giovanni, ma anche ad un gruppo di Mormoni e al culto spagnolo degli apostolici del 1828) venne bannato nell’Unione Sovietica, perchè l’idea di un gruppo di ospiti incapaci di andare via da una festa fu considerata offensiva e anti-governativa. Lo stesso Ebert, del resto, sembra abbastanza sicuro del significato del film, che dovrebbe essere riferito alla situazione post guerra civile in Spagna: la classe operaia è stata oppressa, mentre quella più abbiente festeggia banchettando, intrappolata in un vicolo cieco in cui il ricevimento non finisce mai. Questo li porterà all’esasperazione, mostrando al mondo il loro isolamento e le loro peggiori tendenze sociali. In realtà Buñuel lascia campo libero alle interpretazioni dello spettatore, nè ha mai ufficializzato il reale significato della storia, che rimane pur sempre un film annesso alla corrente artistica del surrealismo – per cui non sembra neanche lecito attribuirgli un significato univoco.

All’inizio del film possiamo vedere un gruppo di ospiti eleganti che si reca ad una cena, proprio mentre la servitù (o buona parte di essa) decide di andare via prima del tempo, spaventati da qualcosa di imprecisato. Solo in un secondo momento avverrà il blocco: ma nessuna porta è sbarrata, nessuna minaccia tangibile gli impedisce di andare via, ma gli ospiti non se ne vanno lo stesso. Tanto che i padroni di casa sono costretti ad improvvisare un pernottamento ed una prima colazione, finchè la situazione degenera: finiscono le provviste di cibo e acqua, costringendoli a sacrificare un animale, bruciare parte dell’arredo per riscaldarsi e sfondare un muro a picconate per avere dell’acqua. Gli ospiti tirano anche fuori il proprio lato selvaggio e aggressivo, mentre una coppia arriva a suicidarsi silenziosamente.

Tutto ovviamente si incentra sulla situazione di blocco degli ospiti, e non sulla figura dell’angelo (che di fatto non compare mai). La situazione di stallo è tipica nelle circostanze, quando inspiegabile nella sostanza: nessuno può uscire dall’appartamento e nessuno può entrarvi, come se ci fosse un misterioso “blocco” astratto ad impedirglielo. Una misteriosa ed intangibile forza sembra quindi impedire ai presenti (e a qualsiasi altro personaggio esterno) di fuggire via o di intervenire, quale che sia la circostanza che li spingerebbe a farlo (la ricerca di un cucchiaino per il caffè o la necessità di procurarsi dell’acqua). L’unica possibilità è quella di affidarsi al flusso degli eventi, soluzione ideata da uno degli ospiti e che sembra rivelare la natura piatta e conformista degli stessi: l’idea di evocare gli eventi passati e seguire la massa funziona, per cui l’unico modo di uscire dalla stanza sarà quello di farlo tutti assieme. Non mancano riferimenti biblici nella trama, a partire dalla presenza degli animali (l’orso e le pecore), in particolare gli ovini sono utilizzati a simboleggiare il senso di colpa e di espiazione da dover scontare (“Dovremo aspettare il sacrificio dell’ultimo agnello“). I sopravvissuti, del resto, andranno in chiesa per devozione e per essere riusciti a salvarsi, salvo rimanere bloccati anche lì – e in tal senso, senza dubbio, il finale con la rivolta in piazza ed i colpi di fucile accompagnati dall’ingresso delle pecore, rimangono come singolare conclusione del film, enigmatica quanto suggestiva.

Fin dal titolo “L’angelo sterminatore” evoca scenari misteriosi, quasi stregoneschi o esoterici – ed è un dato di fatto che esca fuori progressivamente il “lato oscuro” degli eleganti ed impeccabili ospiti. L’inizio della cena è elegante, formale, decisamente contenuta entro canoni di stile elevati, impenetrabili. In seguito assisteremo ad un’invocazione al signore delle tenebre da parte di una delle ospiti, che cercherà di pregare il diavolo per salvarsi da quella situazione (e verrà invece aggredita da una surreale mano che cerca di strangolarla). Curiosamente non mancano riferimenti indiretti al post-apocalittico (il padrone di casa ipotizza pubblicamente che il resto del mondo si sia estinto, e che siano rimasti solo i presenti: l’isolamento del gruppo è quasi romeriano, in tal senso, per quanto non esista alcuna minaccia concreta lì fuori). Si segnala poi un’affermazione attribuita al regista che affermò di non essere realmente soddisfatto del film, e se l’avesse girato in seguito avrebbe inserito elementi più estremi (addirittura cannibalismo: ecco perchè potrebbe essere lecita una rilettura ed un accostamento con film che sarebbero usciti qualche anno dopo, a partire da L’ultimo uomo della terra (1962) e La notte dei morti viventi del 1968). A questo punto si potrebbe quantomeno chiarire (almeno in parte, s’intende) lo spirito del film, che satireggia sul comportamento ipocrita della società altolocata, e potrebbe venire in mente lo stesso espediente che ha reso (ad esempio, ovviamente mutatis mutandis) Society uno degli horror più politicizzati e simbolici mai visti.

Di sicuro “L’angelo sterminatore” è uno di quei film da cui farsi travolgere, seguendo il flusso surreale degli eventi – tanto astratto quanto coerente nelle sue conclusioni; e solo così, a mio avviso, si potrà goderne appieno, al cospetto di uno dei capolavoro del cinema di ogni tempo.

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