Apolide!

Nell’ombra senza tempo, oltre il velo che separa i mondi conosciuti, giaceva una landa arida e desolata conosciuta solo come l’Esilio. Era un luogo in cui gli esseri respinti da ogni dimensione e realtà si ritrovavano, un luogo dove le anime smarrite vagavano come spettri, un limbo in cui la normalità cedeva il passo all’orrore cosmico. In questo luogo desolato, viveva un essere chiamato semplicemente “l’Apolide”. Una creatura senza nome né volto, abbandonata dalla realtà e dall’identità. La sua forma era una sorta di nebbia oscura, contorta e inquietante. Era incapace di comunicare come gli esseri umani, privo di qualsiasi caratteristica che potesse essere compresa o addirittura osservata. Era come se il tessuto stesso dell’universo avesse deciso di negargli l’esistenza. Chiunque osasse avventurarsi nell’Esilio avrebbe potuto intravedere solo una vaga oscurità che si agitava, un senso di disorientamento e oppressione che avrebbe avvolto la mente. Coloro che avevano la sfortuna di fissare lo sguardo sull’Apolide rimanevano imprigionati in una sorta di trance, incapaci di distogliere lo sguardo da quell’orrore inafferrabile. Ma c’era una leggenda, un racconto sussurrato tra gli esiliati, che narra di un viandante coraggioso che avrebbe avuto il potere di liberare l’Apolide dalla sua esistenza senza fine. Si diceva che solo colui che avesse guardato negli occhi vuoti dell’Apolide e non ne fosse stato schiacciato avrebbe avuto il potere di sciogliere il suo legame con l’Esilio.

Un giorno, un animo coraggioso si spinse oltre il velo e si addentrò nell’oscurità. Uno sguardo era sufficiente a rendere molti folli, ma l’anima temeraria non vacillò. Lo fissò, sfidando l’orrore cosmico, cercando di vedere oltre la nebbia oscura e cogliere una scintilla di verità. In un attimo di connessione profonda, l’essere senza nome lo guardò e vide dentro di sé, sentendo un’intensa sensazione di vuoto e perdita. Quell’anima non fuggì dalla paura, ma la abbracciò, cercando di comprendere l’essenza stessa dell’Apolide.

E in quel momento, come un eco lontano, l’oscurità si dissipò. L’Apolide si trasformò in una nebbia meno densa, una nebbia che sembrava fondersi con le lacrime e il coraggio del viandante. Una fiamma di consapevolezza accese i suoi occhi senza forma, e per la prima volta in età senza tempo, l’Apolide conobbe un senso di esistenza. E così, il viandante aveva rotto la maledizione dell’Esilio, riportando un po’ di luce nell’oscurità. Ma a quale costo? La conoscenza proibita di ciò che giace oltre il velo era stata svelata, e le conseguenze avrebbero continuato a maturare in modi inimmaginabili, sconvolgendo le fondamenta dell’universo noto.

Chi è un apolide?

Un apolide è una persona che non possiede la cittadinanza o l’appartenenza a uno Stato. Gli apolidi non sono riconosciuti come cittadini da alcun governo o autorità statale. Questo stato di apolidia può essere il risultato di vari fattori, tra cui cambiamenti nelle frontiere nazionali, discriminazione, mancanza di documenti legali o il fallimento nel soddisfare i requisiti per ottenere la cittadinanza di un particolare paese.

Gli apolidi possono affrontare sfide significative nella loro vita quotidiana, poiché spesso si trovano privi di accesso a servizi pubblici, diritti fondamentali e protezioni legali. In molti casi, la condizione di apolidia può causare problemi nell’ottenere occupazione, istruzione, assistenza medica e viaggi internazionali.

Le Nazioni Unite hanno lavorato per affrontare la questione dell’apolidezza attraverso trattati e convenzioni internazionali che cercano di proteggere e promuovere i diritti degli apolidi. La Convenzione delle Nazioni Unite del 1954 relativa allo status degli apolidi e la Convenzione del 1961 sulla riduzione dei casi di apolidia sono esempi di tali sforzi.

Tuttavia, nonostante gli sforzi internazionali, la questione degli apolidi rimane un problema serio e complesso che richiede attenzione e cooperazione a livello globale per garantire i diritti e la dignità di queste persone vulnerabili.

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