Blasfemia


Mai più mi chinai e nemmeno su un fiore
Più non arrossii nel rubare l’amore
Dal momento che Inverno mi convinse che Dio
Non sarebbe arrossito rubandomi il mio
Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino
Non avevano leggi per punire un blasfemo
Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte
Mi cercarono l’anima a forza di botte
Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo
Lo costrinse a viaggiare una vita da scemo
Nel giardino incantato lo costrinse a sognare
A ignorare che al mondo c’e’ il bene e c’è il male
Quando vide che l’uomo allungava le dita
A rubargli il mistero di una mela proibita
Per paura che ormai non avesse padroni
Lo fermò con la morte, inventò le stagioni
Mi cercarono l’anima a forza di botte
E se furon due guardie a fermarmi la vita
È proprio qui sulla terra la mela proibita
E non Dio, ma qualcuno che per noi l’ha inventato
Ci costringe a sognare in un giardino incantato
Ci costringe a sognare in un giardino incantato
Ci costringe a sognare in un giardino incantato (F. De Andrè, Un blasfemo)

Il testo di Fabrizio De André riflette una visione critica nei confronti della religione e della concezione tradizionale di Dio. Il brano presenta un’interpretazione personale e iconoclasta della storia dell’umanità e del rapporto tra l’uomo, la conoscenza e la spiritualità.

De André inizia il testo esprimendo il suo distacco da idee religiose convenzionali, indicando che non si è più “chinato su un fiore” né ha “arrossito nel rubare l’amore” dalla propria esperienza spirituale. Questa affermazione potrebbe essere interpretata come una rottura con la religione organizzata o una rinuncia alle credenze tradizionali.

Nel testo, De André critica la rappresentazione di Dio come un ente che inganna e costringe l’umanità. Egli sostiene che Dio stesso non dovrebbe “arrossire nel rubare” l’amore dell’umanità, sottolineando una sorta di dualità tra l’idea di un Dio benevolo e il concetto di peccato originale.

La parte centrale del testo parla dell’arresto dell’artista per “le donne ed il vino,” ma sottolinea che non ci sono leggi per punire un blasfemo. Questo potrebbe essere interpretato come una critica alla priorità delle autorità religiose nel perseguire il cosiddetto “peccato” piuttosto che punire veri crimini.

De André poi esprime un punto di vista alternativo sulla storia dell’umanità e la storia di Adamo ed Eva. Afferma che Dio ha ingannato il primo uomo, costringendolo a vivere una vita di ignoranza e sogni nel giardino dell’Eden. Questo punto di vista ribalta la narrazione tradizionale della religione, in cui Dio è considerato il creatore benevolo dell’umanità.

Il testo suggerisce che la vera “mela proibita” non è stata offerta da Dio ma è stata inventata da qualcuno “che per noi l’ha inventato,” forse alludendo all’influenza delle istituzioni religiose o sociali che hanno manipolato le credenze umane.

In definitiva, il brano di De André è una riflessione critica sulla religione, sulla conoscenza e sulla condizione umana, invitando il lettore a sfidare le concezioni tradizionali e a cercare una comprensione più profonda e autentica della spiritualità e della vita.

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