Film di satira fantascientifica di John Carpenter: il suo primo lungometraggio prodotto in strettissima collaborazione con Dan O’ Bannon (sceneggiatore di Alien di Ridley Scott nonchè regista del cult “Il ritorno dei morti viventi“).
In breve: weird, ultra-trash e zeppo di ingenuità (spesso volute), merita di essere visto nonostante la lentezza di fondo anche solo per gli strepitosi 15 minuti conclusivi. Meglio l’alieno pallone che viene sgonfiato da un ago, oppure la bomba che inizia a discutere di filosofia?
Dark Star è il nome dell’astronave che sta viaggiando nello spazio alla ricerca di pianeti instabili da abbattere: il suo equipaggio è composto da cinque astronauti piuttosto atipici, affetti da paranoie e schizofrenie che – a differenza del clima claustrofobico che si instaura ne “La cosa” – vengono ritratte in maniera piuttosto demenziale. Il sergente Pinback, in particolare, si configura come un burlone che si diverte a stuzzicare i propri compagni e che possiede idee alquanto bislacche. Sua è stata, ad esempio, quella di adottare come mascotte della nave un alieno trovato chissà dove, che ha la forma in tutto e per tutto di un pallone aerostatico con due mani artigliate al posto delle zampe (il ticchettare delle sue dita è, di per sè, già di culto!).
Carpenter se ne sbatte della eventuale forma poco credibile da Z-movie di “Dark Star”: quello che conta è divertirsi e possibilmente divertire, ad esempio mostrando una sorta di “confessionale” nel quale gli astronauti descrivono i propri disastrosi rapporti sociali con gli altri membri dell’equipaggio, lamentando di amenità come chi ha dimenticato il compleanno di qualcuno. I problemi degli astronauti sono di natura molto goliardica: è finita la carta igienica a bordo, oppure è stata caricata a borda una piantina di un pianeta sconosciuto che “rutta e scoreggia“.
Chi se ne importa, alla fine, se si vede benissimo che “l’alieno” altri non è se non un pallone gonfiato che, dopo aver fatto i dispetti a Pinback (rischiando di ammazzarlo, peraltro), viene letteralmente bucato (!) da una siringa contente un anestetico. Successivamente, con la collaborazione del computer di bordo (un’evolutissimo “Hal” parodiato da 2001 Odissea nello spazio) si viene a scoprire che per colpa di un guasto la bomba della nave avrebbe deciso di farsi esplodere: a questo punto il tenente Dolittle ingaggia una discussione con la macchina a suon di filosofia (!), e si fa convincere di non compiere la detonazione fino all’inaspettato (e geniale) finale.
“Dark star” è un film avanti per la sua epoca anche se, bisogna dire ad onor del vero, possiede alcuni difetti che lo rendono un film piuttosto “grossolano”, se si vuole, e poco adatto ad essere visionato dal pubblico moderno (o dalla sua maggioranza). Da non perdere per nessun motivo la chicca finale del surf, cosa che accomunerà questo film con il successivo “Fuga da Los Angeles“.
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