Dèi Sepolcri!


Foscolo crea “Dei Sepolcri” nel 1806 a Brescia, protestando contro la vanità umana e la fragilità della memoria.

In “Dei Sepolcri” Ugo Foscolo esplora la fragilità della gloria umana e la sua relazione con la morte. Attraverso l’uso di un linguaggio poetico e evocativo, l’autore riflette sulla vanità dei monumenti e dei sepolcri eretti dagli uomini per commemorare i loro cari, sottolineando la loro destinazione alla distruzione e all’oblio.

La poesia invita il lettore a considerare la natura effimera della vita e della fama umana, mentre esplora il significato più profondo della morte e della memoria. Foscolo sfida il concetto tradizionale di immortalità terrena, suggerendo che la vera grandezza risieda nella capacità di affrontare la realtà della morte con dignità e consapevolezza. “Dei Sepolcri” si distingue per la sua profonda meditazione sulla mortalità umana e per la sua ricerca di un senso di permanenza e significato nella vita e nella morte.

“Dei Sepolcri” è il capolavoro più maturo e completo di Ugo Foscolo, un’ode composta da 295 versi endecasillabi sciolti. Questi versi furono scritti rapidamente durante l’estate e l’autunno del 1806 e successivamente pubblicati nel 1807, mentre il poeta soggiornava presso il Palazzo Martinengo nel centro di Brescia, ospite della sua amata contessa Marzia Martinengo Provaglio. L’opera fu pubblicata dalla “Tipografia Dipartimentale del Mella”, diretta da Niccolò Bettoni. Si ritiene che l’idea di scrivere “Dei Sepolcri” sia nata durante una discussione nel salotto letterario di Isabella Teotochi Albrizzi con il letterato Ippolito Pindemonte, a cui è dedicata l’opera. Questa discussione fu ispirata dall’editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone nel giugno 1804 e esteso al Regno d’Italia nel 1806, che regolamentava le pratiche sepolcrali. L’editto prescriveva che le tombe dovessero essere collocate al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e ben aerati, e che fossero tutte uniformi e prive di iscrizioni, al fine di evitare discriminazioni tra i defunti. Per i defunti di spicco, una commissione di magistrati avrebbe deciso se incidere un epitaffio sulla loro tomba. Questo editto aveva un duplice scopo: igienico-sanitario e ideologico-politico. Foscolo non fu innovativo nel trattare il tema della sepoltura, già affrontato dai poeti preromantici inglesi; tuttavia, innovò inserendo i principali temi della sua poetica. In “Dei Sepolcri” troviamo infatti il materialismo, il significato della civiltà e della poesia, la condizione storica dell’Italia e le possibilità di riscatto dell’identità individuale e sociale del poeta.

In stile futurista

“Dèi Sepolchri” è il trionfo epico di Ugo Foscolo, un’ode composta da 295 versi endecasillabi, taglienti come le lame del futuro. Questi versi furono forgiati con rapidità durante l’effervescente estate e l’incendiaria autunno del 1806, per poi irrompere nella stampa nel 1807, mentre il poeta dimorava nel cuore pulsante di Brescia, ospite della nobile Contessa Marzia Martinengo Provaglio. L’opera trasse vita dalla fucina ardente della “Tipografia Dipartimentale del Mella”, sotto la guida inflessibile di Niccolò Bettoni.

Si narra che l’ispirazione per “Dèi Sepolchri” abbia brillato nel firmamento poetico durante un acceso dialogo nel salotto culturale di Isabella Teotochi Albrizzi, in compagnia del letterato rivoluzionario Ippolito Pindemonte, a cui l’ode è dedicata. Questa scintilla creativa fu accesa dal fragore dell’editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone nel tumultuoso giugno 1804 e propagatosi come un incendio nel Regno d’Italia nel 1806, regolamentando le pratiche sepolcrali con ferrea determinazione. L’editto sanciva che le tombe dovessero essere erette al di fuori delle mura urbane, in luoghi pervasi dalla luce del sole e dalla brezza dell’aria, uniformi e prive di distinzioni, nel tentativo di annientare le disuguaglianze tra i defunti. Solo i più illustri avrebbero ottenuto il privilegio di un epitaffio, giudicato da una commissione di saggi magistrati. Quest’editto, con le sue due anime, una igienico-sanitaria e l’altra ideologico-politica, illuminò la mente di Foscolo come un raggio di luce nel buio dell’ignoranza.

Foscolo non fu un innovatore per il tema delle sepulture, già esplorato dai poeti inglesi precursori del movimento futurista; tuttavia, nella sua opera, riversò gli ardori del suo spirito rivoluzionario. In “Dèi Sepolchri” si rintracciano le pulsazioni del materialismo, il furore della civiltà e della poesia, la tumultuosa condizione storica dell’Italia e le scintille di riscatto dell’identità individuale e collettiva del poeta, vibranti come fulmini nel cielo del domani.

In stile beat generation

“Dèi Sepolcri” è l’urlo ribelle di Ugo Foscolo, un’ode di 295 versi endecasillabi che risuonano come una sinfonia di strade fumanti e notti insonni. Questi versi furono scritti in un’esplosione creativa durante le torride estati e le notti selvagge dell’autunno del 1806, per poi esplodere sulla pagina nel 1807, mentre il poeta vagava per le strade di Brescia, ospite della misteriosa Contessa Marzia Martinengo Provaglio. L’opera venne stampata sulla rotativa della “Tipografia Dipartimentale del Mella”, guidata dal visionario Niccolò Bettoni.

Si dice che l’ispirazione per “Dèi Sepolcri” sia sbocciata durante una jam session poetica nel salotto bohémien di Isabella Teotochi Albrizzi, dove il fuoco della creatività bruciava ardentemente in compagnia del ribelle Ippolito Pindemonte, a cui l’ode è dedicata. Questa scintilla artistica prese vita dal fragore dell’editto di Saint Cloud, emesso da Napoleone nel tumultuoso giugno 1804 e riverberato nell’anima ribelle del Regno d’Italia nel 1806, regolamentando le pratiche funerarie con un pugno di ferro. L’editto ordinava che le tombe dovessero essere erette al di fuori delle mura cittadine, in luoghi illuminati dal sole e accarezzati dal vento, uniformi e prive di distinzioni, per cancellare le differenze tra i defunti. Solo gli eroi avrebbero avuto il privilegio di un epitaffio, deciso da una giuria di artisti maledetti. Quest’editto, con le sue due anime, una igienico-sanitaria e l’altra ideologico-politica, risvegliò la coscienza poetica di Foscolo come un’onda di protesta nel mare dell’apatia.

Foscolo non fu un innovatore per il tema delle sepulture, già esplorato dagli artisti ribelli dell’Inghilterra, precursori della Beat Generation; tuttavia, nella sua opera, riversò il fervore della sua anima anarchica. In “Dèi Sepolcri” si sentono le vibrazioni del materialismo, il battito della civiltà e della poesia, la rabbia della storia italiana e il richiamo alla rivolta dell’io poetico, pulsante come il cuore di una città in rivolta.

In dialetto romanesco

“Dè Sepolcri” è l’urlo stridente d’Ugo Foscolo, un’ode de 295 versi endecasillabi che sprennan come na sinfonia de strade fumate e notti strambelle. ‘Ste parole so’ state scritte ‘nna ‘n’esplosione de creatività, ar core d’estate e all’ato de l’autunno del 1806, pe’ poi ‘spode’ adda pagina ne 1807, ment’ ‘o poeta camminava pe’ le strade de Brescia, ospite de ‘na contessa Marzia Martinengo Provaglio. L’opera fu stampata ‘a “Tipografia Dipartimentale del Mella”, cò ‘o maestro Niccolò Bettoni a regnà.

Dicono che l’ispirazione pe’ “Dèi Sepolcri” sia venuta ‘nna jam session poetica ‘o salotto de Isabella Teotochi Albrizzi, sotto ‘a luce de lune e ‘e chiacchiere de notte, cu ‘o ribelle Ippolito Pindemonte, ‘a cui ‘a poesia è dedicata.

In stile giornalistico

“Nel cuore pulsante di Brescia, durante l’estate e l’autunno del 1806, il celebre poeta Ugo Foscolo ha forgiato un capolavoro senza precedenti: “Dèi Sepolcri”. Quest’opera epica, composta da 295 versi endecasillabi, è emersa come un urlo di protesta contro la vanità della gloria umana e la fragilità della memoria.

I versi furono incisi con ardore e rapidità, come colpi di scalpello su pietra, e presto videro la luce nel 1807, grazie alla “Tipografia Dipartimentale del Mella”, diretta dal mastro Niccolò Bettoni.

Si dice che l’ispirazione per questa creazione poetica sia scaturita da una discussione accesa nel salotto intellettuale di Isabella Teotochi Albrizzi, dove il poeta discuteva con fervore insieme al ribelle Ippolito Pindemonte, a cui l’ode è dedicata. Questa discussione fu alimentata dall’eco dell’editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone nel giugno 1804 e giunto come un’ondata nel Regno d’Italia nel 1806, regolamentando le pratiche funerarie con rigore e disciplina.

“Foscolo non è stato il primo a trattare il tema delle sepolture, ma con “Dèi Sepolcri” ha impresso la sua firma indelebile nel panorama poetico italiano”, affermano gli esperti.

La sua opera risuona di materialismo, civiltà e storia italiana, portando alla luce il tormento e la rivolta di un’epoca tumultuosa. In “Dèi Sepolcri”, Foscolo canta l’inno della protesta, incatenando i suoi versi alla storia di una Roma in tumulto, sospinta dal desiderio di una rivoluzione poetica e sociale.”

Foto: Di François-Xavier Fabre – http://www.pierreci.it/warehouse/images/italia_russia_f.x.fabre_ritratto_ugo_foscolo.jpg, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1265897

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