H2Odio: è il caso di dire acqua in bocca
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H2Odio di Alex Infascelli non è un film perfetto: anzi, tutt’altro. Le pecche ci sono e sono evidenti, a cominciare dalla recitazione, che non riesce a sostenere il ritmo di una sceneggiatura ambiziosa che richiede il giusto impegno, visti i temi che il lungometraggio affronta.

Il regista di Mi chiamo Francesco Totti, prima di dedicarsi al sempiterno e immortale mito di Roma (città e team calcistico), nel film del 2006 si concentra su un delirante universo tutto al femminile, in un metaforico e gigantesco, ma allo stesso tempo claustrofobico, teatro dove vengono messi in scena i più oscuri e spaventosi turbamenti dell’animo umano. Siamo di fronte a una pellicola che, se affrontata in tempi più maturi, avrebbe potuto certamente competere con capisaldi del cinema horror e thriller contemporaneo. Ma non piangiamo sul latte (o meglio, sull’acqua – capirete presto perché) versato e parliamo, invece, di ciò che di bello c’è in H2Odio.

Il film si concentra sull’originale quanto pericoloso progetto di un gruppo di amiche: quello di affrontare un periodo di digiuno per depurare corpo e mente, nonché dimagrire, nutrendosi soltanto di acqua. Per farlo si recano su un’isoletta dove sorge la casa di infanzia di Olivia, la più motivata delle ragazze, di cui abbracciamo fin dai primi minuti il punto di vista, poiché regia e sceneggiatura ci fanno immergere nel suo racconto tramite la stesura di un diario indirizzato alla sorella gemella Helena; le altre amiche, invece, ben presto ne hanno abbastanza del digiuno e iniziano a mangiare di nascosto alcuni snack che hanno portato con sé da casa. Non sanno però che questo gesto scatenerà una reazione a catena senza esclusione di colpi.

Il tema più evidente di H2Odio è senza dubbio il digiuno come atto per migliorare la propria immagine di sé: un argomento di cui a lungo si è dibattuto nei primi anni 2000 – e che ancora oggi tiene spesso banco nei dibattiti di stampo sociologico – senza dubbio delicato e pericoloso se non affrontato con la giusta consapevolezza. Ben presto, come si può ben immaginare, le cose cominciano a precipitare prendendo una piega inquietante: la tanto motivata Olivia, infatti, al tempo stesso è la meno preparata psicologicamente ad affrontare il digiuno. Preda da sempre di traumi e di un segreto che ne condiziona l’esistenza, arriva sempre di più a straniarsi e a rifugiarsi in una extra-dimensione rappresentata proprio da quel diario che scrive per la sorella, con cui si percepisce esservi un rapporto morboso fin dalle prime righe. 

Questo ci permette di affrontare quello che è in realtà il tema principale di H2Odio: la sindrome del gemello scomparso o evanescente, che consiste nell’assorbimento di un feto da parte dell’altro in una gravidanza inizialmente gemellare; si dice che il gemello assorbito lasci tracce di sé nell’altro, attraverso la comparsa di piccoli elementi organici come capelli, denti od ossa fetali o addirittura tramite una predisposizione caratteriale a presentare tratti più “oscuri”. E proprio tutte queste caratteristiche collimano nel comportamento di Olivia, che scrive a una Helena che, in realtà, non è mai esistita, se non durante il primo trimestre di gravidanza della loro madre, impazzita per la perdita della piccola. Olivia è sempre stata abituata a vivere una doppia vita: da una parte a contatto con il vuoto, con la grande assenza rappresentata dal fantasma della sorella; dall’altra invece, in un’espressione decisamente borderline, con il peso della stessa, tremendamente angustiante. Olivia porta infatti dentro di sé da sempre la sorella mai nata, e con lei il senso di colpa: il digiuno a base d’acqua, elemento notoriamente purificante, serve allo stesso tempo a riempire il vuoto e a depurarla di ogni rimorso.

Se l’atto di non mangiare appare da fuori come il desiderio di scomparire fisicamente attraverso un dimagrimento sempre più estremo, nel profondo della psicologia di H2Odio viene esasperato al punto da diventare trasparente, proprio come l’acqua utilizzata per nutrirsi e riempirsi. Acqua che, inoltre, ha un profondissimo significato per Olivia, in quanto è una costante che la accompagna dal grembo materno, dove era immersa nel liquido amniotico, fino all’acme del suo delirio in età adulta, in cui si esplica anche il complicatissimo rapporto con la madre. 

Allo stesso modo della sorella Helena, quindi, anche la madre è una presenza assente nella vita di Olivia, cresciuta con l’angoscia e con il senso di colpa nutrito in continuazione dalla genitrice, che cresce la figlia in un ambiente malsano dove vive indisturbato il fantasma di una bambina che non solo non è mai nata ma che, in effetti, non ha neppure avuto il tempo di formarsi a dovere. Il rapporto tra madre e figlia diventa morboso e ossessivo, fino a risolversi nella pazzia e nell’annichilimento. Avendo bene a mente la tradizione horror e citando a modo suo Carrie – Lo sguardo di Satana, Infascelli ripropone un rapporto madre-figlia tremendamente malsano, che non si risolve solamente in una pioggia di sangue (letteralmente) ma in un epilogo dove nessuno ha scampo, che ricorda un po’ il meccanismo utilizzato da Agatha Christie in Dieci Piccoli Indiani.

Checché se ne dica, il cinema italiano ha una grande memoria e tradizione cinematografica nel campo dell’orrore: basterebbe soltanto un po’ più di consapevolezza e di autocritica, al fine di migliorare e smussare i propri limiti. Se ciò fosse stato fatto, H2Odio avrebbe potuto essere un film decisamente bello, e non solo interessante dal punto di vista analitico e rappresentativo. Un vero peccato, e – per restare in tema – un vero vuoto.

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