Se c’è un attore archetipico di un personaggio è senza dubbio Michael Keaton, che nell’immaginario collettivo sta tra Batman e Beetlejuice. Un peccato, anche solo considerando film come Birdman ad esempio, e senza contare questo “La memoria dell’assassino”, al netto di una forma didascalica forse rivedibile. In originale era più suggestivamente Knox Goes Away, “Knox va via”: questo perchè in effetti il motivo ricorrente dell’intera trama è legato al dover andare (in clinica, o all’altro mondo) da parte del protagonista. Gli restano poche settimane di vita, così si ritrova costretto a riorganizzare la propria vita e gestire al meglio i propri affetti prima di salutare definitivamente il mondo.
La malattia citata nel film è realmente esistente e si tratta di una malattia degenerativa che si scopre affliggere il nostro John Knox, per gli amici “Aristotele” – per via della sua passione per la lettura e i saggi filosofici in generale. Nonostante una laurea e due dottorati, l’uomo è dedito alla professione di killer su commissione. La malattia è quella di Creutzfeldt-Jakob, che produce un esito fatale e che si manifesta attraverso perdite di memorie e allucinazioni. Non il massimo delle condizioni per l’operatività di un killer su commissione, che infatti manifesta dei sintomi durante il lavoro ed uccide involontariamente tre persone. Da qui in poi sarà un gigantesco dominio che il protagonista riuscirà a controllare solo in parte, coinvolgendo alcune persone della propria famiglia allo scopo di far uscire dai guai il figlio, accusato di omicidio e grottescamente recàtosi al padre per avere supporto.
I toni sono quelli dello humour nero classico, tra detective acuti e sarcastici e bande di criminali dal lato umano, ed i personaggi sono classicamente quelli che ci si aspetterebbe dal noir: la prostituta dall’animo nobile e colto, il figlio irruento e vagamente patriarcale, i veri amici che si rivelano come tali e altri che, per dire così, lo dimostrano un po’ meno. Di per sè Knox Goes Away è un thriller dai toni leggeri e digeribili, nonostante si tratti un tema delicato come quello delle malattie neurodegenerative e si riesca, quasi incredibilmente, a condirlo con vari tocchi din umorismo ben piazzati. Di sicuro non si tratta di un capolavoro, ma non è quello che stavamo cercando, consapevoli di aver assistito ad un nuova prova alla regia di Keaton solida e convincente. Un film che diverte e convince abbastanza, al netto di qualche lungaggine che serve più che altro per far quantomeno intuire, in alcuni casi, la profondità dei personaggi.
La trama probabilmente è un po’ tirata per le lunghe, e le due ore a cui si assiste non dicono granché su una storia che poteva raccontarsi anche con più dono della sintesi. Ma alla regia piace indugiare sulle caratteristiche dei singoli personaggi e sulla loro psicologia interiore, in particolare su quella di John con la quale sarà impossibile non empatizzare. i voti di memoria di John se proprio vogliamo essere pignoli in alcuni casi hanno una natura poco chiara, cioè non si capisce troppo che cosa causi il problema e che cosa esattamente John non ricordi: dei flash sullo schermo ci evocano questi vuoti, ma in alcuni casi producono un effetto confondente sullo spettatore che, ad un certo, viene da pensare fosse proprio quello che ci si voleva produrre.
Al Pacino interpreta, per inciso, la parte del vecchio criminale che aiuta il protagonista nei propri scopi.