Il capo degli yakuza (Anjo) viene brutalmente assassinato senza una ragione chiara mentre, al tempo stesso, un gruppo di persone fa sparire ogni prova rubando 300 milioni di yen. Si delineano a questo punto due figure contrapposte all’interno del film: da un lato il masochista Kakihara, membro di spicco della banda e particolarmente devoto al boss, dall’altro il giovane Ichi, apparentemente timido ed introverso e dotato di un inquientante lato oscuro…
In breve. Il regista dimentica le introspezioni di Audition e produce uno dei film più noti al pubblico occidentale (oltre che più violenti). Storia poco lineare e in parte alquanto intricata, accompagnata da una spirale di sangue e morte che non lascerà indifferente lo spettatore, rendendo il prodotto decisamente sconsigliabile alla parte più “disneyana” del pubblico ma, al tempo stesso, bilanciando sapientemente vari elementi (stemperando a volte con l’ironia più cupa) per costruire un film tutto sommato avvincente e convincente. Un pulp fumettistico, proprio perchè volutamente esagerato in vari passaggi, che sarà difficile dimenticare.
Chiunque si sia degnato di vedere il film in questione (cosa tutt’altro che scontata, come ormai sono convinto avvenga nel mondo di certa critica) saprà che, tanto per dire la più eclatante, Ichi non è affatto il biondino in copertina (Kakihara) bensì si tratta di un insospettabile nerd, che sotto le opportune condizioni, va in giro vestito da supereroe con un numero “1” stampato sulla schiena e un’affilata lama installata sulla scarpa. Bisogna aggiungere a questo punto che “Ichi the killer” racconta la duplice storia di un ragazzino tormentato, manipolato e pieno di problemi, dotato al tempo stesso in un’insospettabile lato sadico (uccide sempre in modo ultra-splatter), mentre il lato-Kakihara è quello di un masochista puro (vedi ad esempio i tagli sul viso). Una storia che ricalca quella del manga di Yamamoto, che Takashi Miike riprende con grande maestria registica e con uno stile che richiama in parte gli splatter nipponici tipo Tokio Gore Police, in parte il pulp violento del Tarantino dei tempi migliori. Dal film di Nishimura “Ichi the killer” eredita, a parte la violenza visiva – che qui è altrettanto esplicita, oltre che legata quasi sempre ad una componente cruda e al tempo stesso “fumettistica” – un tocco di umorismo nero che serve alla fine ad alleggerire il carico per lo spettatore. Si pensi, ad esempio, alla scena in cui Kakihara pratica “solo una piccola tortura” al povero Suzuki – lo appende a dei ganci da macellaio riversandogli olio bollente addosso! – il quale appartiene ad una banda rivale che egli crede responsabile della scomparsa di Anjo.
C’è da aggiungere, inoltre, che non si tratta di una black comedy tradizionale come quelle a cui siamo stati abituati negli anni: di fatto è un film lontano dagli stereotipi (è pur sempre la riduzione filmica di un manga pluri-censurato) che, per questo motivo, si finisce inevitabilmente per odiare o amare senza vie di mezzo. Piuttosto inquietante, inoltre, è la violenza sulle vittime, specie quando esse siano donne, trattate sempre con piglio materialista e – secondo alcuni – ad un passo dalla misoginia. Del resto lo sviluppo di “Ichi the killer” non lascia un quadro propriamente rassicurante sul genere umano, sconfinando in uno scenario nichilista nel quale, molto semplicemente, finisce per avere la meglio chi riesca a manipolare i propri simili in modo più convincente. Il film comunque, per quanto annegato nella violenza, non sembra manifestare una volontà puramente anti-donna bensì più genericamente anti-umana, soprattutto in considerazione del fatto che il vero focus della storia è, in fondo, la contrapposizione tra Ichi e Kakihara. Ben lungi dall’essere semplicisticamente – come ci si potrebbe aspettare – le classiche “due facce di una stessa medaglia”, si tratta di due personaggi dai caratteri parecchio complessi, simili per certi versi ed altrettanto difficili da paragonare. Il primo, ad esempio, è pericoloso quanto facilmente manipolabile da Jijii (interpretato dal grande Shinya Tsukamoto), il quale ha instillato nel ragazzo un falso ricordo in modo da far leva sul suo senso di colpa. D’altro canto il masochista Kakihara è anche artefice delle più crude – e sostanzialmente inutili – sofferenze ai suoi rivali, che diventano quasi un paravento per praticare l’agognato autolesionismo – ad esempio tagliandosi la lingua ed offrendola alla banda rivale, o facendosi pestare ferocamente dalla bella Karen (Paulyn/Alien Sun), aspetto che peraltro sembra ribaltare qualsiasi ipotesi di misoginia all’interno del film (non è questo il punto, insomma). Il tocco di manga si nota, tra le altre cose, nella componente sessuale – e sessuofoba – che accompagna l’intero film, a cominciare proprio dal protagonista, un ragazzino timido e complessato che arriva a confondere l’amplesso con l’omicidio. In questo senso “Ichi the killer” è un film sostanzialmente in controtendenza rispetto a qualsiasi altra opera simile, e fermo restando i parallelismi stilistici elencati in precedenza piacerà soprattutto – o quasi esclusivamente – a chi apprezza la corrente di cinema orientale di questo genere o, al limite, il regista a prescindere.
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