Guida pratica a One second dei Paradise Lost

Quando i Paradise Lost pubblicarono “One Second” nel 1997, il mondo del goth e del doom ne fu traumaticamente scosso. Questa, quantomeno, è la sensazione che si prova ad ascoltarlo oggi, per un album che rappresenta probabilmente un punto di svolta nella carriera della band britannica, segnando una transizione dal classico stile doom-death verso un suono differente. Per alcuni melodico, per altri commerciale, ma la verità è che i dischi probabilmente vanno ascoltati senza emettere etichette di genere e senza soffermarsi sull’ossessione di catalogarlo in un settore che, per One second, finisce per stare stretto sempre e comunque.

“One Second” è un’opera che esplora il dolore con una freschezza sorprendente e a tratti emozionante, e sembra riuscirci al punto di mettere in risalto le vulnerabilità dell’ascoltatore stesso. L’album si apre con la traccia omonima, che introduce in un’atmosfera di malinconia e introspezione, fornendo delle coordinate musicale che sembrano tributare più i Depeche Mode delle origini che i Moonspell, per intenderci. La melodia oscura e l’approccio vocale di Nick Holmes, che passa da toni growl a canti più puliti, mostrano una maturità artistica e una volontà di esplorare nuove dimensioni sonore.

Una delle caratteristiche distintive di “One Second” è il suo equilibrio tra il metal e l’influenza alternative rock ed elettronica. Brani come  “In This Light” esibiscono un’abilità sorprendente nel combinare riff potenti e melodie accattivanti. Questo cambiamento stilistico potrebbe aver sorpreso i fan più affezionati al sound doom-death della band, ed ha finito per allargare il seguito della band. Mercy, ad esempio, è uno dei brani che evocano più la succitata band di Dave Gahan e Martin Gore, ma è probabilmente “Say Just Words” la vera gemma del disco, uno dei brani da includere ineludibilmente nella ipotetica lista dei cento migliori pezzi metal di sempre.

Ogni brano di One second è una finestra su un diverso aspetto dell’esperienza umana, trattando temi di disillusione, ricerca di senso e conflitto interiore.La sperimentazione è costantemente presente nel disco ed appare evidente nella varietà dei brani, nella capacità di trovare un equilibrio musicale senza eccedere nei brutalismi nè nelle trovate meno epiche o, se preferite, più commerciali. “Fader” è un’altra traccia particolarmente intensa, che riflette un’atmosfera di crescente disperazione, mentre “Soul Courageus” offre un’introspezione profonda e personale, con un testo che espone una vulnerabilità rara per il metal dell’epoca e per un genere forse troppo legato al mito dell’uomo invincibile (oltre che ineluttabilmente maschio etero). Un disco che non piacerà a tutti e non è piaciuto a molti, senza dubbio, del resto quale opera metal ha prodotto consensi unanimi – a parte Powerslave e Painkiller?

La produzione dell’album, curata da Simon Efemey e da Greg Morrow, è impeccabile, riuscendo a mantenere un equilibrio tra il suono pesante e l’aspetto più atmosferico e melodico delle canzoni.

“One Second” è un album che rappresenta un’evoluzione significativa per i Paradise Lost, segnando un passo audace verso nuove direzioni musicali e tematiche. Con il suo mix di metal e alternative rock, melodie avvincenti e una produzione raffinata, l’album non solo testimonia la capacità della band di reinventarsi, ma offre anche un’esperienza d’ascolto emozionante e memorabile. È un capitolo fondamentale nella discografia dei Paradise Lost e una dimostrazione della loro abilità nel fondere il cuore del metal con una sensibilità più ampia e accessibile.

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