Dieci brani indimenticabili degli Squallor

Stando a Wikipedia inglese (in genere affidabile, almeno nella nostra esperienza) gli Squallor sono assimilati al genere della comedy music, e furono attivi tra il 1973 ed il 1994. A quanto pare, pero’, erano già attivi verso la fine degli anni ’60. Immersi professionalmente nell’ambiente della produzione discografica dell’epoca, vivevano ogni giorno a contatti con i maggiori musicisti dell’epoca, mal sopportandone i vezzi e le vanità; e fu così che fondarono gli Squallor, ispirandosi nello stile alla visione di un suggestivo film (Il mio amico il diavolo di Stanley Donen, ed in particolare al cantato-parlato sfoggiato da uno dei personaggi).

Siccome noi frequentavamo i cantanti, che sono i peggiori scassacazzi mondiali, quando facevamo gli Squallor ci sfogavamo contro i cantanti, quelli seri.» (Alfredo Cerruti)

Nella loro carriera realizzarono 14 album in studio, dalle copertine allusive e dai titoli provocatori, e anche due film – uno dei quali, Uccelli d’Italia, divenne uno dei capisaldi del trash assieme ad Arrapaho. Non si esibirono mai dai vivo ma, ancora oggi, sono ricordati come una band innovativa e “avanti” rispetto alla media: non semplicemente come proto-rock demenziale, ma anche come espressione di una musica dadaista, dai tratti sbroccati e provocatori, che sarebbe rimasta scolpita nell’immaginario collettivo italiano per anni.

Di seguito una rassegna ragionata dei migliori 11 brani degli Squallor, ovviamente secondo noi.

Ti ho conosciuta in un clubs

Al netto dell’inglese maccheronico di clubs, è una parodia dei brani romanticheggianti dell’epoca (era il 1973), il brano parte con una delle contrapposizioni più lapidarie e geniali mai scritte:

ti ho conosciuta in un clubs, eri bellissima, ma avevi un solo difetto: non c’eri.

38 luglio

“Il pezzo” degli Squallor sull’amore perduto, impresso nella memoria dei fan da sempre e, a quanto risulta anche dal documentario sulla band – venne totalmente improvvisato da Alfredo Cerruti – Tratti illogici, incoerenti e volutamente demenziali attraversano quasi tutto il brano, con uno splendido arrangiamento e l’effetto straniante di una semantica votata al dadaismo e al non-sense. L’effetto fu devastante: era nato un nuovo genere musicale, in cui la musica era in linea con quella ripulita e perbenista dell’epoca ma che, al tempo stesso, era totalmente folle dal punto di vista semantico.

La storia è quella di un elettrotecnico, che vive dei tormenti da amore non corrisposto. Almeno, così sembra.

Appare evidente l’influenza del brano Drimbel Wedge and the vegetation tratto dal film Bedazzled (Il mio amico il diavolo), principale fonte di ispirazione della band. Per la cronaca, nel film Stanley è una rock star la cui fama sarà di breve durata, usurpato da un nuovo arrivato chiamato “Drimble Wedge and the Vegetation” (George) che intona il brano con tono di voce staccato, fermo e soprattutto parlato (uno stile molto riconducibile al marchio di fabbrica Cerruti degli Squallor) del proprio disinteresse per chiunque, a parte se stesso.

Probabilmente, per certi versi, una sorta di parodia del movimento britannico psichedelico in voga all’epoca, o di artisti come il primo Syd Barrett.

Arrapaho

La colonna sonora dell’omonimo film (per la cronaca, ne hanno prodotti due: Arrapaho e Uccelli d’Italia), oggetto di culto nel mondo dei  b-movie ancora oggi.

Marcia longa

Pezzo considerevolissimo per via di una singolare caratteristica: ci sono due voci narranti sovrapposte, una sul canale destro l’altra sul canale sinistro. A parte l’effetto psichedelico che prova questa scelta, sentire i due commentatori fare la cronaca di un evento sovrapponendosi, insultandosi ed arrivando allo zenith dadaista-surreale con un mitico:

mettetevi un dito in culo e la vita vi sorriderà!

https://open.spotify.com/track/4GwhA1HhsEM7TFChQoGY4J?si=a1a79a8c137f4b70

Marcia dell’equo canone

Abbastanza sulla falsariga del pezzo precedente, vede ancora una volta la voce narrante che racconta di improbabili case. Tra le perle del brano, il narratore che non sembra sapere più cosa dire, ad un certo punto, per poi esplodere in un epico “ma comme cazz è ‘llonga ‘sta marcia!”.

Come vedete, su una casa c’è già uno che si vuole suicidare perché l’ha appena vista
E’ di sedici piani, bianca, con delle stanze dove centra solamente di sbieco
Perché si centra di chiatto non centra
E appena ha visto l’architetto, i due si sono afferrati per il collo
C’è voluto l’intervento dei pompieri per staccarli

[…]

Questa è la casa per la sarta: come vedete, è una casa di ‘mmerda
C’ha un monolocale intrinsico senza luce, così la sarta cuce ad occhio

Cornutone

Il computer Amedeus

Uno dei pochi pezzi con synth, in cui si notano vari dettagli sbroccati parodici sull’avvento degli home computer (era il 1985) quanto, sentiti oggi, profetici:

Ho due software, uno che fa i bucchini, e un altro che lo piglia in culo,
nuovi giochi elettronici che servono a insegnare ai nostri figli come chiavare.

Pret a Porter

Pezzo dichiaratamente anti-clericale, è presentato dal personaggio di Fravolone e si gioca su un’ipotetica sfilata di moda di un gruppo di preti. Si tratta di un travisamento volontario e demenziale dell’espressione prêt-à-porte, in francese “pronto a portare“.

Berta

Alla base dell’episodio raccontato, una delusione d’amore: lui torna disperato quanto sbroccato da lei, che a sua volta non le manda a dire.

Senti pirla,a me, nun me passa manco p”o cazzo ra mochetta ‘e Zambelletti, ‘e chella bucchina ‘e mammeta, ‘e capito? ‘I stò pe cazzi re miei, ‘e sorde ‘e tengo, a fella ‘e carne m”a magno tutt ”e juorne, a te e sta’ seiciento ‘e merda ch t’hanno accattato ‘e genitori tuoi. Ahhhhhh.
Io mi alzo la mattina: me faccio nu bello bagno, me magno n’uovo,
e chi cazzo mo fa fa?

Mi ha rovinato il ’68

Non potevo che chiudere la rassegna su questo pezzo, uno dei pochissimi ad essere cantati e noto (oltre che per l’arrangiamento, come al solito mostruoso) per la splendida voce di Totò Savio, il quale racconta dei tormenti di un ex sessantottino – ed in cui ovviamente il 69 non è semplicemente l’anno successivo ma anche, per non dire soprattutto, una posizione sessuale.
Il ’68 lo passammo in trincea
gridando forte giù le mani dal Vietnam
Era la storia che apriva strade nuove
e finalmente fu il 69.
E non mi pento del mio passato
ma il ’68 mi ha rovinato.
Generazione maledetta la mia
noi siamo ancora l’Italia che scia
Verso il domani, verso il non si sa
perché fa rima con la libertà.
Quante illusioni occupazioni e cortei e
lacrimogeni e botte per star con lei
Finché una notte al fuoco dei falò
Mi disse scusa e un altro si chiavò.
https://open.spotify.com/track/1a0jehRTX9FjUJzupMAIv6?si=5610f3dfdfde498d
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